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Aprile 08
13:29 2010

La politica non è un basso espediente per arricchirsi, ma un’alta modalità di contributo per la collettività. Modalità che quando è virtuosa procura stima e onore. Ed è virtuosa – cioè positiva – quando produce buon governo, accompagnato da rigore nei comportamenti. La politica pretende slancio ideale, incorniciato tra principi e moralità. Il ripresentarsi a cadenza montante di situazioni di corruzione nella pubblica amministrazione è inquietante. Denota che l’effetto correzionale di Tangentopoli è evaporato; che gli istinti di profitto, sganciati dalla paura di conseguenze penali (che dalle parti mie convinse due a fermarsi per un giro), stanno riproponendo l’inestinguibile spinta agli intrallazzi, ai guadagni facili.
C’è un problema diffuso di cultura. Una società in cui si insegna il mito del successo e dei soldi ad ogni costo porta a tale gelatinoso malcostume. Forse ciascuno dovrebbe cominciare ad interrogarsi, per chiedersi come stiamo educando i nostri giovani: figli-nipoti-allievi. Chi insegna loro che l’onestà è un valore? Se si sta ripresentando, come è evidente, una nuova questione morale, non sono giustificabili le filiere autoreferenziali, sottratte ad ogni controllo, nelle quali fatalmente chi ha il senso dell’interesse privato finisce per prevalere e mortificare chi alla pubblica amministrazione si accosta animato da spirito di servizio. Troppa libertà d’azione, la mancanza di ogni effettivo monitoraggio nella gestione civica, espone chi la manovra a tentazioni forti di violazione delle regole, della buona condotta, della buona finanza. Il rendiconto delle cose fatte non è solo un fastidio burocratico, ma un atto di responsabilità, che dà persino maggiore garanzia a chi opera nella norma. La trasparenza richiama credibilità, e incoraggia persone qualificate all’impegno pubblico. Se so come vengono spesi i soldi, anche miei, sto più tranquillo, anch’io posso propormi per la gestione. Ogni struttura, dalla statale alla paesana, presuppone per una conduzione specchiata, convincente, principi di etica e di responsabilità oggettiva, senza i quali i corpi istituzionali e societari non funzionano. Ogni livello finanziato da denari pubblici, dalla Protezione Civile ai Centri Anziani, deve prevedere chiarezza totale nelle iniziative e nelle spese, per non scadere nel grigiore di gestioni private di soldi comuni. Altri episodi sono di apparente minore rilevanza, ma non meno significativi e utili per rafforzare la dichiarazione iniziale. In questi mesi abbiamo assistito al moltiplicarsi di esempi di corruzione della vita amministrativa, persino squallidi nelle modalità, come la mazzetta intascata per strada da un consigliere comunale milanese. Da ogni regione è stato un emergere sconfortante di infedeli e concussi, amministratori disinvolti e imprenditori senza scrupoli. Un fenomeno trasversale agli schieramenti politici, segnato più dall’avidità e dall’intemperanza individuali che dalle ragioni di appartenenza a un partito o a un gruppo. Le cricche d’affari grandi e piccoli prosperano. Alcuni non si vergognano nemmeno, addirittura se ne vantano. Considerano governo nazionale e comuni non soggetti superiori da amministrare al meglio nel rapporto tra spesa e risultati, ma li considerano occasioni da sfruttare per arricchirsi. Come quello che alle tre e mezza di notte rise per il terremoto in Abruzzo. La realtà, amara, è che dovremmo domandarci tutti se il livello della nostra società non sia sceso sotto il limite di guardia. Alla corruzione diffusa, così come allo scarso senso della legalità, ci si arrende facilmente. Come ci si rassegna a vivere in un paese spaesato o in un ambiente saccheggiato. Ma, l’esempio, per le nuove generazioni, è diseducativo e devastante. Un’ultima considerazione. Lo stato corrente delle cose ha di fatto abolito un sistema consolidato di controlli e di legittimità sugli atti degli enti locali. Spesso la burocrazia centrale soffocava, con ritardi e osservazioni, la corretta volontà amministrativa. In diversi casi, però, l’accresciuta autonomia locale non si è accompagnata a maggior rigore e senso di responsabilità. Ma piuttosto all’idea perversa che l’eletto sia legittimato a tutto e le regole un intralcio residuale del passato. L’annacquamento complessivo, poi, del ruolo di quella che era la minoranza (o opposizione) consiliare aggiunge pezze d’appoggio forti alla riflessioni.

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