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CicloPoEtica 2010: un’esperienza d’incontro e confronto nella dialettica poetica

CicloPoEtica 2010: un’esperienza d’incontro e confronto nella dialettica poetica
Settembre 10
22:00 2010

ciclopoeticaCicloPoEtica è la terza rassegna itinerante recentemente ultimata dopo due edizioni del Sicilia Poetry Bike, con la “poesia in bicicletta” che approda lungo il corso del fiume Po mediante una denominazione preposta per rendere, sotto altra forma, l’iniziativa permeabile ai nuovi territori coinvolti e, nondimeno, rafforzarne i contenuti già insiti negli originari intenti. Viene evidenziato il lemma “ciclo” in funzione della maggiore diffusione della bicicletta nell’area interessata, come pure a sancire una continuità nel perpetuarsi dell’evento con altre titolazioni in diversi luoghi, volto tanto alla divulgazione quanto al consolidamento di una cultura d’innovazione nella tradizione. Inoltre, per sillabazione, viene estrapolato il fiume “Po” in quanto percorso determinante una comunanza geofisica che si riflette nei limitrofi insediamenti. L’assonanza è determinata da quanto viene evidenziato per esteso con “poetica”, relativa a costituire identità e peculiarità non solo in quanto espressione artistica, ma anche attraverso un immaginario collettivo nella funzione mitopoietica, quale collante di popoli e rispettive culture. In evidenza, inoltre, un ulteriore concetto, quello di “etica”, quale comune e nondimeno diversificato impegno per ciascuno di noi.
Coerente all’idea di un “pensiero” poetico attivo, ho sostenuto le molteplici tematiche insite nella manifestazione con la sola sintesi della poesia, quella del movimento lento, assecondato dalla zavorra di oltre mezzo quintale complessivo tra carico e mezzo. L’impegno civile nasce dalla stessa azione poetica intrapresa, volta a svincolare il verso dai circuiti chiusi innescati dall’ego del poeta. Un’efficace poetica è di per sé un ideale strumento politico, il solo autonomo e trasversale nonché capace di condizionare la stessa politica. Viceversa, lasciare spazio alla politica nella poesia significa condizionare contaminando quanto, per sua natura, dovrebbe essere etica stessa del vivere. Faccio quel poco che posso perché la poesia sia aperta, libera da recinti e qualitativamente accettabile, a partire dalla condizione esistenziale che l’ha generata è, peraltro, quanto commentavo in un post poco prima della partenza. Un’altra idea di fondo resta anche quella di uno strumento idoneo alla riappropriazione di un tempo narrativo, capace di sedimentare nella memoria dilatandosi. La visione di un film come “Poeti”, sollecitata ed accolta dall’amico e poeta Biagio Propato, mi ha reso ancor più cosciente di quanto, di fatto, la poesia sia divenuta ristagnante nella sua comunicazione, quindi incapace di tramandare raccontandosi, soprattutto se sullo sfondo si sollecita la compresenza del festival di Castel Porziano del ’79, il contrasto appare più che mai evidente. Un’incomunicabilità che persiste a prescindere dai successivi sviluppi telematici agglomeranti aree d’interesse. Dunque anni Settanta che, tutto sommato, non erano poi tanto bui e dogmatici come spesso si vuol far credere, se non per una fagocitante minoranza di fanatici; anni soprattutto umanistici, per ruoli e centralità della persona che risorgevano preminenti, destrutturando l’assetto ideologico sovrapposto al ’68 con uno spontaneismo finalmente libero da censure di costume. Quindi l’amore libero, da trasgressione ideologica, evolve in consuetudine di un libero vivere e condividere, apertura ed espressione di ogni individuo nel gruppo, un atto privato, finanche poetico, che viene a coincidere con quello pubblico divenendo politico. Col riflusso è l’egoismo trasgressivo a prevalere, complementare a spinte conservatrici e reazionarie, in una comune, apodittica solitudine. L’amore non sarà mai più libero bensì asservito a pornografici fini, tra sempre più labirintiche, ipocrite tutele di facciata.
Per il terzo anno consecutivo, incredibile ma vero, ho trovato ancora abbastanza energie per inseguire utopie percorribili nella malsana quotidianità che ci circonda. Una settimana di poesia e libertà, vissuta con un moto lento ma efficace, tanto nel verso quanto nel pedale cadenzato e capace, nel variare dei registri, di un sincretismo ancora possibile, quello percepibile attraverso un mezzo meccanico come la bicicletta, quale adeguato strumento per una poetica della condivisione. Otto tappe con eventi-sosta no-stop, da Torino a Venezia, si sono susseguite dal 2 al 10 agosto, sino all’epilogo di congedo: un happening tra strade frapposte a traghettamenti sulla laguna. Spesso, nelle più brevi pause del tragitto, ho avuto occasione dell’incontro conviviale con lo straniero, situazione peraltro evidenziata da un carico inclusivo di tenda, sacco a pelo e strumentazioni tali da essere sovente scambiato per un tedesco. Una velocità di crociera intono ai 16 chilometri orari, scandita perlopiù controvento ed in falsi piani sugli oltre 500 chilometri complessivi di percorso effettuati zigzagando lungo il fiume Po, ha caratterizzato il mio incedere. A rendere più colorato ed epico il tutto, non sono mancate sequenze d’imprevisti. L’acquazzone di Pavia ha certamente contribuito ad un adattamento più anfibio della specie “ciclopoetica”, culminato con la bicicletta in mezzo metro di fango poco più avanti. A coronare la sequenza di avverse vicissitudini, seguirà il cedimento del copertone. Significative, tra le altre, alcune performance svoltesi in movimento con l’ausilio del megafono propagante “loop poetici”, un neorealismo che il tempo restituisce come dispensatore di poesia e il comune cinismo rende adulterato nell’omologante registrazione di un “arrotino” privato del suo fiato, un afflato poetico popolare ormai disperso nel disincanto. Variegata, indipendente e affiatata è parsa subito la compagine di oltre una dozzina di ciclisti partecipanti tramite iscrizione al Circolo dei Lettori. Una coerente preparazione atletica ha permesso loro di ultimare il tour gioendone a pieno. La presenza di meno biciclette storiche, elaborate o fantasiose a vantaggio di più collaudati e moderni cicli, ha prevalso nel gruppo che, a prescindere, come tale ha comunque avuto grande capacità d’impatto e visibilità. Due soltanto sono stati i ciclo-poeti al seguito, Ugo Magnanti ed Enrico Lazzarin, mentre si annoverano piuttosto presenze di ciclo-artisti, cicloamatori e cicloturisti. La poesia, in ogni caso, è stata comune denominatore ed espressione attraverso più forme per oltre una settimana trascorsa insieme. Rilevante e degna di nota la presenza di Irene Cabiati e le sue “orecchie poetiche”, capaci di suscitare congrua attenzione soprattutto durante il congedo alla volta di Venezia, per mezzo di un’istallazione mobile realizzata sulla rispettiva bicicletta; altrettanto validi e pressoché costanti gli interventi del “suonicista randagio” Daniele Contardo. Certamente tra i più vicini all’iniziativa, sia pure non prendendo parte agli spostamenti, è stato Tiziano Fratus, nelle determinanti tematiche socio-ambientali che lo caratterizzano. Notevole anche il livello di diversi artisti che si sono susseguiti nelle varie tappe, sebbene sia impossibile elencarli tutti, doverosamente ne rammento alcuni, come Luca Bertoletti, Michele Marziani e Giancarlo Micheli, senza escluderne altri. Itinerari coinvolgenti, non sempre convergenti e tuttavia significativi si sono alternati tra piste ciclabili, statali, provinciali e sterrati, assecondando ampi tratti di argine del Po. Alla via Emilia, sempre trafficata e pullulante di punti di ristoro ed accoglienti trattorie, si sovrappone il sole accecante che si riflette nei canali dei viottoli di campagna, tra indefinite quantità e varietà di zanzare con servizio continuato, nell’anelata ricerca di un primo borgo utile per rifocillarsi. Pedalare è la costante fede che tutt’intorno disperde un paesaggio lentamente, sfumato tra pensieri e motivetti che cadenzano il ritmo spezzando la fatica in sempreverdi canzonette evocative. Arrivare spesso all’ultimo momento, percorrendo fin oltre tratti di cento chilometri. Docce rimandate ed altrettanto appassionato sudore per montare attrezzature e conoscere i poeti del posto. Rapidi scambi di scalette ed efficaci, naturali dosi d’improvvisazione coinvolgono un pubblico sempre attento e numeroso. A Pavia si sfiorano un centinaio di presenze, arrivando non lontano dal gremito pubblico di Messina del 2008, con ospite Diana Battaggia e diversi autori di Lietocolle, come Dona Amati, intervenuti per la serata. Notevole impegno viene pure testimoniato da Eugenio Rebecchi di Blu di Prussia nella piovosa tappa piacentina. Ferrara, nondimeno, con gli Scrittori Ferraresi e Melinda Tamas Tarr cristallizza suggestivi momenti poetici, mentre Parma coniuga bene architetture e versi in una piazza. Momenti oltremodo condivisi in diretta streaming, perlomeno laddove possibile, con congrue punte d’audience di diverse decine di curiosi e afecionados, ma forse anche di semplici amanti della poesia.
CicloPoEtica è un progetto che nasce come diretta conseguenza del precedente Sicilia Poetry Bike, realizzato insieme ad Ugo Magnanti nonché curato e organizzato con Andrea Ingemi e Vittoria Arena. Inizialmente assemblato durante il tour del libro “Ad Istanbul, tra pubbliche intimità” a Varese, è stato curato e organizzato con Daniela Fargione. Determinante l’apporto al coordinamento di Gloria Scarperia e, per la gestione della sezione grafica, quello di Claudio Cravero. Complessivamente, in tre anni di attività “ciclopoetiche”, sono stati coinvolti quasi un centinaio di collaboratori e circa duecento artisti, evidenziandoli in tutta la comunicazione svolta, oltre venti sono state le località toccate in un costante, seppure a tratti gravoso, spontaneo palcoscenico poetico capace di suscitare adeguata attenzione dei media lungo tutto il percorso. Notevoli i riconoscimenti pervenuti da enti ed associazioni. Esigui e perlopiù privati gli sporadici concreti sostegni ricevuti.

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