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Creditore di Roma

Ottobre 28
16:17 2010

Libero.

La facciata dell’albergo che ospita giornalmente orde di turisti giapponesi mi si para davanti come se volesse, lei, essere salutata per prima. Abbasso con rispetto il capo e riprendo a camminare, voglio sapere se il chiosco del signor Gino, quello in cui prendevo la grattachecca nelle estati fraciche di Roma, c’è ancora.
Libero. Lungotevere Gianicolense mi spinge verso il centro, non sono io a sceglierlo, è lui che mi indica la strada, non ci sono svolte interessanti da prendere, paradossalmente mi lascio accompagnare. Cammino senza forzature, la città corre, sgomita; un anziano dallo sguardo attento rivendica il suo diritto di guidare strombazzando ad ogni incrocio anticipando così, di molto, il suo imminente sopraggiungere. Libero. Lo slancio vitale di un paio di ginnasiali è trattenuto a terra dal peso di due zaini enormi e dall’alto da un cielo plumbeo e minaccioso. E davanti la preoccupazione per i compiti di domani.

Quando ero io come loro no, questo non succedeva; si correva verso casa per salutare per primi la mamma, si schernivano gli storni che gracchiavano e i compagni di classe che acciaccavano la cacca per strada. E neanche il più arduo problema di matematica avrebbe destato più attenzione di Letizia, commessa sedicenne alla pasticceria Cecere.
Libero. In lontananza avverto una signora che presumo essere dei Parioli: un tailleur, una collana di perle che figurerebbe meglio ad una serata di gala e non a far pendant con le buste di plastica bianca della spesa, con quel mezzo filone che spunta fuori come a voler tentare una fuga.
E’ lei…! Si, ho scelto…è con questa signora elegante che sto per incrociare che darò il mio secondo buongiorno al mondo:
“Buongiorno signora, vado bene per ponte Cavour?”
La bella signora mi osserva perché obbligata, non c’è niente di me che possa indurla a pensare male, è lei piuttosto a sentirsi in imbarazzo: “sì..guardi..ehmm, sempre dritto, una decina di minuti e arriva..”, risponde con la voce affannata. La ringrazio e proseguo, la mia immagine è intatta, non la sua, quella sì che è una donna vincolata a un uomo d’affari che la obbliga a vestirsi bene e a sobbarcarsi di buste della spesa. Libero.
Proseguo, in cuor mio faccio gli auguri alla signora nella sua prigione dorata e, perché no, al mezzo filoncino ancora intrappolato nella sua prigione di plastica.
Le macchine sfilano una dopo l’altra: una grigia, una bianca, una grigia, due grigie, tre grigie, bianca, toh..una gialla! E poi ancora una tripletta: grigia, grigia, grigia. Stufo. Mi sorprendo a pensare a questo. Sono uscito da appena un quarto d’ora e sono già stufo di questo mondo. Grigio. Adolescenti che si trascinano, donne che si ingioiellano per fare la spesa, auto grigie per restare anonimi e un pizzico di metallizzato per osare poco poco. Libero. Attraverso la strada una ventina di metri prima del semaforo e delle strisce pedonali, un po’ di rischio merita il non dover sfilare davanti ad una giuria di automobilisti severi. Non mi va di sottopormi al loro verdetto, anche se la mia immagine è di nuovo pulita. Dopo tanti anni. Il lungotevere da questa parte è più bello, è più vero, è lui.
Mi affaccio sul costone, l’acqua è tetra, piccoli mulinelli increspano e dal fondo affiora un ramo di faggio piuttosto grande, il copertone di una vecchia utilitaria indica il livello del fiume. Mi viene voglia di costeggiarlo davvero questo Tevere, ma poi ho paura di fare brutti incontri là sotto: un drogato, un emarginato, un malintenzionato che vuole rapinarmi…al mondo non sai mai chi hai di fronte.
Libero. Taglio per ponte Matteotti e mi sento ancora meglio, Lungotevere delle Armi è meno frenetico e anzi, c’è perfino qualche negozio. Mi diverto a presentarmi ai titolari, a chiedere informazioni, a domandare se hanno un disco in vinile di Jimmy Hendrix, quello del sessantanove. E loro mi rispondono no, che non c’è e io giù a raccontare di quell’anno, la mia età me lo permette, loro pensano che io sia solo un vecchietto nostalgico e malinconico e allora mi fanno la cortesia di ascoltare. E così vinco io. E racconto a questi tristi venticinquenni che nel sessantanove Gino c’era, eccome se c’era; ma c’erano anche i motorini con la trasmissione a catena, c’erano le feste in casa, c’erano gli inverni che non finivano mai ma che quando finivano, finivano davvero. C’erano i baci che non erano passatempo, erano fermatempo perché in quei momenti tutto si bloccava e scompariva: preoccupazioni, litigi, contrasti, inflazione, bombe. Libero.
Era tanto tempo che avevo voglia di fare una passeggiata per Roma, questa Roma di ricordi, di strade antiche, questa Roma di quasi tremila anni, così ingorda che s’è mangiata anche qualcuno dei miei; questi trent’anni che a lei l’hanno resa più artificiale, più grossa, più falsa, ma che a me sarebbero serviti per capire, per cambiare, per essere diverso, per essere libero…libero…libero??!! Ma libero da chi? Da che cosa? Davvero se non avessi trascorso gli ultimi trent’anni della mia vita in carcere sarei oggi soddisfatto di me?? Quei trent’anni mi sarebbero serviti tutti per rimanere imprigionato al Ministero di Grazia e Giustizia (come impiegato e non come carcerato, sempre da quelle parti comunque), per sposare una signora ricca solo fuori, per crescere un figlio scontento di vivere ad appena quindici anni e per comprarmi un’auto grigia? Sarebbero serviti davvero trent’anni per fare tutto questo o sarebbe stata un’ingiustizia mortale anche dedicarvici un solo anno?
Ma io oggi sono creditore di Roma. Non so cosa sarei oggi se non avessi trascorso trent’anni della mia vita al carcere giudiziario di Regina Coeli; avvocato, magari penalista, oppure un commercialista, o come detto prima un grigio impiegato in un grigio ministero dentro una Punto grigia…metalizzata però.
No grazie, va bene così. Preferisco lasciare la risposta allo stato nascente, meglio credere che debba ancora “accasellarmi” come diceva un banditore d’asta in una fiera di quartiere di quando ero piccolo, piuttosto che sentirmi debitore nei confronti di una città dalla storia millenaria. Meglio essere creditore di Roma.
Lei può permettersi, dall’alto della sua grandezza, di guardare dall’alto verso il basso chiunque: i suoi quarantotto imperatori, i suoi sette colli, tutti i suoi gladiatori e tutte le sue colonie.
Io, ex potenziale impiegato dalla moglie finta e dal figlio mogio non posso far altro che osservare con profonda ammirazione il Pantheon, dal basso verso l’alto.
Oggi, primo giorno di libertà farò una bella passeggiata e farò pace con la mia città, questa Roma che quando ero giovane mi ha stregato, mi ha fatto credere un condottiero quando invece sono stato solo un usurpatore.
Oggi, dopo trent’anni sono libero, il mio conto col passato l’ho pagato tutto, sono libero di prendere per mano la mia stessa accusatrice, quella Roma che mi avrebbe forse fatto vergognare, oggi, di aver buttato al vento trent’anni della mia vita. Ma oggi, in questo oggi io sono libero e Roma quegli anni che mi appartengono se li è già presi, io nei suoi confronti, oggi, sono creditore.
E soltanto domani ricomincerò a non essere più libero perché dovrò cercarmi un posto dove dormire, una donna con la quale passare un po’ di tempo; e sempre domani ricomincerò di nuovo, come trent’anni fa, a sperare di far soldi, sperare di avere un figlio sul quale gettare le mie frustrazioni, ambire ad avere un’auto grigia metallizzata, come tutti.
Adesso no, adesso sono creditore di Roma perché è troppo tempo che ti neghi e trent’anni della mia vita valgono un giorno di te.
E allora forza, fammi vedere Roma mia tutte le bellezze che mi hai tenuta nascoste in questi anni. Fammi vedere Villa Borghese, fammi vedere Piazza del Popolo, il Pincio e Piazza San Pietro. E poi le fontane del Bernini, gli affreschi di Michelangelo, il Vittoriano. Ma fammi vedere anche, per favore, le borgate più emarginate, il pane scrocchiarello, la coratella d’abbacchio, le caldarroste, il burrone della Maranella, gli stracci al mercato di Porta Portese.
E se stasera proprio non riuscirò a trovare un posto dove dormire dammi pure l’alloggio; quella panchina a Villa Ada che ho visto poco fa andrebbe benone. In fondo, fino al tramonto, sono ancora un tuo creditore.

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