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Ditirambi, lai e zagialesche

Agosto 17
12:55 2010

Ditirambi, lai e zagialesche, tutti “in fila per tre, per le strade del mondo”, immedesimano radici personificate, insite in antichi rituali pagani e propagate attraverso ballate medioevali. Sono il sapore di un retroterra mediterraneo, anello dove coniugare connotati e conoscenze di una cultura contadina scardinata da un erpice livellante. Giordano è ancora capace di trasmettere la poesia di una natura tuttavia tracotante, ancora intrisa di suadenti effluvi di erbe selvatiche, d’“uva settembrina” “bagnata dalla pioggia il giorno prima” e, naturalmente, dell’ “odore del pane caldo”. Il glicine in terrazza ritrae momenti di vita quotidiana scorrere dalla sua pergola lasciando sovvenire pregresse stagioni che il poeta, leopardianamente, condivide. Frequente è il ricorso all’endecasillabo alternato al verso libero e vincolato a temi classici, perlopiù bucolici. A Giacomo Giardina, poeta-pecoraio, viene dedicata una poesia, riferimento ad un’integrità culturale perduta che riporta a Pasolini, qualcosa poi ravvisabile soltanto ad alti livelli, ancora non adulterato attraverso la sottrazione d’identità della società dei consumi.  Un caso, quello di Giardina, assai interessante, con vicende alterne e perlopiù legate alla figura di Marinetti. Sullo sfondo un mare nostrum che vede migrazioni da sempre, navi che partono da Palermo e Napoli alla volta delle Americhe e “diseredati d’oggi/sui barconi alla deriva”. Il tutto in tempi che segnano un “battito” per una popolazione che “diminuisce”, svuota paesi con dialetti che muoiono “in bocca di chi parte e va lontano”. Restano uomini che sostano fuori, sotto aureole di fumo “qualche attimo, beati” d’interdizione. Scorrono scene di vita famigliare in cui l’attimo viene impresso e condiviso affidandolo in uno sguardo. Bella è il cagnolino rinvenuto, “cane o poesia” e “Il verso è soave luce/che fluttua lieve sulle parole”. La depressione è “un pensiero lungo che marcisce”, “verme putrefatto dentro notti insonni”, l’animo che degenera decomponendosi “impiccato all’albero del tempo”, mentre la mezzanotte è ancora occasione di un pudico spiarsi per acerbe passioni. Memorie di “qualche liretta/per comprare riviste e nuovi dischi/della Premiata Forneria Marconi” meglio situano taluni retaggi giovanili. Leonard Cohen, invece, è un malinconico vitto dell’anima che “casca/a fagiolo” da “radiodue”. Sociale e religione interagiscono in un dubbio magistrale e, dall’assunto cartesiano, riconducono a implicazioni trascendenti del pensiero agostiniano: “penso, dunque sono minuscolo/granello di sabbia nella immensità,/sale che le meningi spreme/nel caos e sulle forme del Signore”.

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