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Enrico Fermi e la Pila Atomica

Enrico Fermi e la Pila Atomica
Aprile 08
07:46 2021

Che cosa ci fa un fiasco di autentico vino di Chianti nello scantinato di uno stadio di football americano dell’Università di Chicago nell’anno 1942 in piena seconda guerra mondiale? Il vino italiano viene servito in bicchieri di carta a quarantadue scienziati, provenienti dall’Europa e dagli USA, per festeggiare un evento epocale: la criticità della prima pila atomica e l’inizio dell’era nucleare.
Direttore esecutivo e responsabile della grande impresa è un fisico romano emigrato negli USA per motivi politici: il suo nome è Enrico Fermi.
Tutti gli scienziati, che avevano partecipato alla prima criticità di un reattore nucleare ideato, progettato e realizzato dall’uomo, posero la loro firma verticale sul fustino del fiasco di Chianti. Eugene Wigner, il grande fisico teorico di origine ungherese responsabile di tutti i calcoli del progetto, lo aveva acquistato molti mesi prima, in previsione della felice occasione.
Tra i visi sorridenti e compiaciuti due emergevano su tutti: quello di Arthur Compton, premio Nobel per la fisica nel 1927 e responsabile in capo della Pila di Chicago e quello di Crawford H. Greenewalt, un colto e raffinato ingegnere chimico della Du Pont, che per meriti “nucleari” sarebbe divenuto addirittura presidente della grande multinazionale energetica degli USA. In seguito al successo dell’esperimento del 2 dicembre 1942, la Du Pont si sarebbe accollata la costruzione di una serie di reattori nucleari per la produzione di plutonio. Poi venne il momento solenne di telefonare alla Casa Bianca, dove le autorità politiche aspettavano l’esito dell’impresa. Fu Compton a parlare, il messaggio era ovviamente in codice:

«Il navigatore italiano è arrivato nel nuovo mondo.»
Dall’altra parte del filo si replicò:
«Come sono state le accoglienze?»
E Compton chiuse la chiamata dicendo:
«I nativi si sono dimostrati molto amichevoli.»

Chi era Enrico Fermi e qual è la sua storia?
Nel 2001, esattamente il 29 settembre, è stato ricordato il centenario della sua nascita. L’anno successivo, nella scadenza del 2 dicembre 2002, è stato commemorato il 60esimo anniversario dell’evento di Chicago: la prima produzione di energia nucleare attraverso una reazione a catena di neutroni termici in un reattore con combustibile in uranio e moderatore in grafite, innescata e controllata dall’uomo. E fu nel 2001 che io e Nicola Pacilio convenimmo di impegnarci – via via per oltre un anno – in una rubrica mensile sulla straordinaria esperienza che visse Enrico Fermi. Il titolo assegnato fu:

Enrico Fermi e la Pila Atomica

Ora, a distanza di venti anni di allora, ho deciso di realizzare questo libro per ricordare la straordinaria figura professionale di questo grande uomo di scienza. Il libro raccoglie quel lavoro e lo sviluppa nuovamente corredandolo di nuove e numerose immagini.
Ho mantenuto il taglio particolare che Nicola volle dare agli articoli mescolando la storia della vita di Fermi alla cronaca della realizzazione della prima Pila Atomica e della sua partecipazione al Progetto Manhattan. In molti capitoli si possono, infatti, notare alcune parti con fondo grigio che rappresentano quella cronaca “parallela” seppur disincronica nel tempo. Resta inteso che le intenzioni mie e di Nicola erano mirate a descrivere lo scienziato (e non l’uomo), raccontando la cronaca della sua vita che ha lasciato – nel bene e nel male – “segni indelebili” nel mondo:

(i) ha dato un impressionante contributo a tutta la fisica del Novecento attraverso le sue geniali intuizioni teoriche, per quanto riguarda la capacità di crescita complessiva delle conoscenze del mondo fisico. Le sue intuizioni indussero il mondo scientifico ad assegnargli il Premio Nobel nel 1938;

(ii) dopo essere emigrato negli Stati Uniti d’America, a causa delle leggi razziali, ha applicato le sue teorie per la realizzazione, a Chicago, del primo reattore nucleare a uranio: la Pila di Fermi;

(iii) ha poi preso parte, come direttore aggiunto dei Laboratori di Los Alamos e indiscusso leader scientifico, al Progetto Manhattan che ha condotto un folto gruppo di scienziati a sperimentare e poi costruire la prima bomba atomica i cui effetti letali si sono manifestati il 16 luglio 1945 nel corso del Trinity Test di Los Alamos.
Il 6 agosto del 1945 una bomba atomica, denominata Little boy, fu lanciata dal bombardiere Enola Gay sui civili della città di Hiroshima. La bomba causò 80mila morti e 70mila feriti; nei mesi successivi morirono altre 20mila persone che erano state esposte alle radiazioni.

Tre giorni dopo, un secondo ordigno nucleare, denominato Fat Man, fu lanciato su Nagasaki, una seconda città giapponese, causando la morte istantanea di almeno 40mila dei 240mila abitanti e oltre 55mila rimasero feriti. Incluse le persone esposte alle radiazioni nei mesi seguenti, il numero totale degli abitanti uccisi a Nagasaki è valutato intorno alle 80mila persone.
Non voglio qui esprimere un astratto umanitarismo, ma credo fermamente che il danno – in numero di vittime, oltre che materiale – del gesto deve essere comunque associato all’immenso danno etico che quelle azioni hanno espresso nella storia dell’umanità.
                                    Armando Guidoni

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