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Gli “Stati generali della comunicazione per la salute”, un convegno riuscito nell’analizzare la realtà dei fatti

Gli “Stati generali della comunicazione per la salute”, un convegno riuscito nell’analizzare la realtà dei fatti
Marzo 07
18:05 2022

Cronache e riflessioniFra i convenuti importanti figure della Sanità e dell’Ordine dei giornalisti in Italia e nel Lazio (che qui non citeremo perché sarà facile ritrovarne i nomi): l’esigenza avvertita è quella di crescere al passo con l’Europa conservando le buone pratiche acquisite, divenute necessarie nell’emergenza pandemica, e premiando la professionalità. Soprattutto assumendo personale competente in materia di informazione.

Gli “Stati generali della comunicazione per la salute” tenutisi presso il Policlinico Umberto I di Roma il 4 e 5 marzo, hanno visto il succedersi di molti interventi interessanti di presidenti, coordinatori di organismi e istituti e capi ufficio stampa del comparto sanitario e dell’Ordine dei giornalisti con l’intento di capitalizzare ciò che la pandemia di Sars covid – 19 ha fatto emergere prepotentemente: la necessità di informazione professionale durante un evento importante come quello pandemico, informazione scambiata tra gli operatori sanitari e dalla Sanità veicolata ai cittadini in maniera più chiara possibile, non nevrotica, mettendo in campo empatia e giusti correttivi alle notizie false.

Gli addetti ai lavori nella sanità hanno fatto i conti con milioni di richieste dei cittadini in merito alla pandemia, a cui dover rispondere in tempi decenti; dal punto di vista dell’informazione da una parte è stata messa in campo molta buona volontà e l’esperienza di chi già trattava le notizie all’interno delle aziende sanitarie locali; dall’altra ha pesato l’ormai atavico mancato recepimento della L. 150/2000 che prevede la presenza di giornalisti all’interno degli uffici stampa, elemento che può aver pesato su alcune fasi di incertezza nell’informazione. L’incertezza si è raccontata ad alti livelli, come quello dell’Istituto Superiore di Sanità, poiché trasmettere informazioni durante una pandemia, il cui quadro andava mutando giorno per giorno, non ha sempre giovato all’autorevolezza. Per altri versi si è parlato di operatori nei vari gradi di formazione, come gli infermieri,  che al di là della retorica applicata dai media (angeli, eroi) non hanno potuto sempre contare su una buona reputazione presso i cittadini ( ‘grazie’ anche a comodi stereotipi mai messi in discussione) come lo stesso Ordine ha lamentato; un argomento, questo, sul quale l’Ordine sta cercando di fare cultura condivisa. Una necessità in questi due anni è stata quella di mettere in campo esperti di media, ‘della parola e del segno’ e che sapessero analizzare dati per verificare l’effettiva comprensibilità dei concetti veicolati al pubblico, della risposta (effetto di ritorno) per fasce di istruzione del pubblico stesso, esperti che sempre più si ha necessità che provengano dalla formazione umanistica.

Questo, in parte, il racconto del profondo gap avvertito fra operatori sanitari e dell’informazione tra notizie/dati e modi plurimi necessari per veicolarli, poiché un utente, un cittadino ‘fragile’, o sempre più investito di concetti complessi, può capitare che si rifugi nel panico, come si è visto verificarsi davanti alle notizie a volte contraddittorie e attorno all’argomento vaccini. In qualche relazione più avvertita è emersa la contraddizione rispetto al predicato secondo il quale si debba dare fiducia incondizionata ad ogni social, perciò utilizzarlo, in quanto espressione ‘di molti’ a volte, per il vero, nel segno di una comunicazione di pancia estremamente ‘semplificata’, o scegliere invece di non utilizzarlo per lo stesso identico motivo; oppure il predicato secondo cui comunicando bene migliorano anche i servizi: si può comprendere l’entusiasmo ma questo è un postulato contraddetto ampiamente da ogni trattato o trattatello sulla comunicazione la quale, semmai, ‘infioretta’ ma non può certo entrare nella sostanza d’un servizio (né migliorarlo né peggiorarlo perciò). Non è detto che questi tempi debbano rovesciare anche la didattica ‘classica’, se non la deontologia.

La Sanità, in ogni caso si è voluta anche un po’ celebrare perché questi due anni di Sars covid- 19, che hanno lasciato il segno in termini di impegno, dedizione, senza tralasciare ciò che sono stati in termini umani, hanno anche insegnato molto e, infine, camici bianchi e operatori dell’informazione possono dirsi soddisfatti riguardo il loro contributo al tasso di vaccinazioni raggiunto a febbraio 2022 che sembra aver portato il Paese ad uscire dall’emergenza pandemica. Il covid non è più al primo posto nei notiziari, è vero, ‘buona notizia’, ma per gli addetti all’informazione l’attuale sopravvenuto disinteresse nei confronti della pandemia è una risposta alle tragiche notizie sul conflitto Russo-Ucraino: queste hanno soppiantato tutto quel che c’era prima data l’enorme portata del dramma.

Nell’arco degli ultimi due anni gli uffici stampa nella sanità si sono andati costruendo o ‘ricostruendo’, nel tentativo di mettere assieme istituzioni già presenti: Urp (Uffici relazioni col pubblico), addetti stampa sotto utilizzati (magari solo nel momento dell’incontro istituzionale), figure chiave, queste, che hanno ripreso a confezionare scambi di notizie all’interno dell’azienda o ad intessere un filo comunicativo continuo col cittadino tramite periodici d’informazione e social, oggi la sfida primaria da intrattenere, e prossime sfide come i Pua (Punti unici d’ascolto).

Ma se la Sanità ha bisogno di ritrovare e continuare a soddisfare la richiesta d’informazione di nuovi pubblici fidelizzati attraverso i maggiori social ormai super frequentati, l’Ordine dei giornalisti ha la necessità di essere presente oltre la L. 150/2000 in riferimento all’impiego di giornalisti nella pubblica amministrazione e oltre la L. 69/1963 (Ordinamento della professione di giornalista) ormai ritenuta da più parti superata.

Al netto dello sgomento riguardo una eventuale fine della professione giornalistica così come la si conosce, ma è ciò che sta accadendo da più di vent’anni, poiché questa è schiacciata da un lato dall’impossibilità di assunzioni in pianta stabile da parte di qualunque testata e, dall’altra, appare insidiata da nuove professionalità multitasking che spesso fanno della tecnologia il proprio vanto senza possedere una solida base culturale e deontologica per veicolare in modo adeguato i contenuti (con tutte le eccezioni del caso), l’Ordine dovrà fare posto alle nuove professioni, abbandonando le sue rigidità ataviche, anche per motivi di mera sopravvivenza. Dovrebbe riuscire a farlo imponendo comunque la verifica di un minimo di requisiti per chi accede alla professione giornalistica, anche quella completamente digitale; ‘accettando l’esistenza’ di giovani pubblicisti e donne, queste ultime sempre un po’ latitanti nelle cariche importanti, specialmente presso l’Ordine del Lazio, non è storia nuova; e, seppure in epoca di ‘laureificio’, mantenendo attivi, esaltandone il ruolo, tutti coloro che hanno fatto la pubblicistica per passione in anni in cui la laurea non era obbligatoria, ma hanno corso assieme al proprio tempo, aprendo, quando l’editoria digitale è diventata preponderante, i propri blog; gestendo i social, divenendo figure camaleontiche tra giornalismo classico e giornalismo 2.0 e futuri altri giornalismi.

Riuscirà la Sanità a vincere la sfida del continuare a comunicare sempre in modo chiaro e veloce ai cittadini e a compenetrarsi con le necessità informative anche in tempi di non emergenza? Ad assumere figure come quella del gestore di social media imprescindibile vicino alle figure dell’addetto stampa e del capo ufficio stampa?

Riusciranno gli Ordini, Nazionale, Regionale, a rendersi garanti del nuovo giornalismo e dei giornalisti della formazione continua, senza distinguere solo in base al dato anagrafico, di coloro che conoscono il lavoro di verifica della notizia e la buona scrittura, capaci di confezionare un servizio che possieda un punto di vista politico nella sua migliore accezione; di coloro che sanno che non basta la tecnologia per informare e davanti alla guerra ed alle epidemie sentono la necessità di studiare i contesti per concedersi una maggiore prospettiva? Questi i, non pochi, dilemmi.

Ai prossimi “Stati generali dell’informazione sulla salute”, giudicati in ogni caso, da tutti, un successo: utili per fare il punto sulla particolare declinazione dell’informazione in ambito sanitario. Per raccontare con franchezza cosa è andato bene, cosa ancora non funziona e quali azioni correttive mettere in campo. (S.G.)

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