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Il fuoco della poesia di Davide Rondoni

Il fuoco della poesia di Davide Rondoni
Maggio 01
02:00 2008

Iconoclasta di un mondo sgretolato, impegnato in astrusi, grotteschi esercizi volti a vanificare la morte in una cultura anaffettiva nel suo essere sentimentalista, Rondoni accende luci e speranze attraverso allegoriche, colorate finestre ritratte nella copertina, novello surrogato di stelle per una perduta, sublimante tradizione. Invoca poesia, consapevole suggestione di appartenenza ad altro perché di stelle, in fondo, siamo costituiti. Dell’umano calore, della vita e dell’oltre, piccole frammentarie luci ritraggono un ulteriore cosmo, una comune origine per un divenire ignoto nella chiave di un medesimo mistero da condividere. Rondoni, con “Il fuoco della poesia”, v’intraprende il suo ponderato viaggio nell’ “oggi”, come cattolico allineato e assumendone con coraggio le scelte, ma in una dimensione comunque universale e illuminata di esegesi poetica da cui non possiamo prescindere sebbene, beninteso, restino sempre opinabili talune identità di posizioni. Si apre con un nodo epistolare pretestuoso, che “da palo in frasca” riesce a dialogare nell’armonioso caos poetico con la cronaca di tutti i giorni. L’autore veste i panni del bardo indignato per il suo paese, ma anche quelli del crociato, baluardo di cristianità contro le volgarità di questo mondo, “il niente della schiavitù” in un vuoto di valori, l’indifferenza del vivere. Nel merito e nella qualità delle motivazioni, resta il miracolo dell’amore, se autentico. Sì, perché tra i mali elencati nell’anamnesi di cronache l’ipocrisia imperversa come una cancrena conclamata nel nostro vivere, anzi non vivere. Famiglia evocata tra “ronde” di mamme, insita in una tradizione incapace di rigenerarsi e che, proprio nell’amore, non è più in grado d’interrogarsi sull’inadeguatezza e il disagio di spazi e ruoli come pure dei mezzi legislativi. Famiglia che, a mio parere, dovrebbe estendersi ed evolversi per salvaguardare un futuro piuttosto che riproporsi nella sua dissoluzione. “La tradizione è sempre da conquistare, diceva Eliot”, non da emulare. Lo sguardo poetico di Rondoni si sofferma su tematiche delicate e di rilievo come aborto, fecondazione assistita, omosessualità ed eutanasia riuscendo a esemplificare i più convincenti spunti tra strisce di cocaina e “ansia di prestazione” o nella tv “droga psicologica”, “dio algido del nostro tempo”. Inevitabilmente si attraversa la storia, quella più recente, che va dai kamikaze dell’ 11 settembre agli sciacalli di New Orleans, controfigura del “nostro cuore”. Rievocati anche gli anni Settanta che, secondo me, non sono soltanto un modello diseducativo anzi, c’era un vivido, libero e sincero senso di ricerca spirituale e amore, soprattutto nel filone di certa cultura hippy-psichedelica. Oggi c’è la “generazione bancomat”, priva di un riferimento educativo autentico e libero, che segna il “nulla” evocato attraverso i versi di Montale. Qualche laico qua e là additato, come Grillini con l’aneddoto dantesco o la Hack in tutto il suo “livore anticattolico dal sapore ottocentesco”. Rilevante l’attestato di stima per il coraggio della Fallaci, a testimonianza vengono riportati eloquenti frammenti di una conversazione: “le due grandi questioni sono Dio e la libertà”. Pertanto, di fronte a una Chiesa schietta con le sue “indicazioni” nel rispetto della “libertà di chiunque” coesiste il Voltaire di “non sono d’accordo con le tue idee, ma darei la mia vita perché tu possa esprimerle”. Viceversa, sull’altro fronte, troviamo intolleranza ed estremismo con tutto il male che ne consegue. Per “uscire dal Novecento”, certamente, occorre rivalutare quegli aspetti spirituali più evoluti e saldamente rappresentati dalle religioni piuttosto che accomunarli nel “brodo di cultura del nuovo fanatismo”, così come Rondoni ravvisa in Wiesel. Fondamentali restano “gli artisti. Meno noiosi dei filosofi, della grande maggioranza dei preti e dei commentatori”, perchè quel “tacito, infinito andar del tempo” è una “costante cosmologica” che riporta a sottili equilibri che soltanto un poeta può cogliere.

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