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Il mercato delle vacche

Gennaio 10
23:00 2011

L’indegno mercimonio operato di recente dal Presidente del Consiglio al fine di acquisire in Parlamento i voti necessari a riceverne la fiducia ha causato un vasto e animato dibattito etico-politico. Qualcuno ha pure sollecitato l’intervento della magistratura ma purtroppo, salvo sorprese, non succederà, non potrà succedere un bel nulla. Premesso che non vi è qui alcuna intenzione di giustificare l’ingiustificabile, va chiarito che esiste un problema di fondo, dato dal netto discrimine che separa la legge morale dalla legge civile. Partiamo da un esempio clamoroso, quello del già ministro Scajola, le cui vicende sono ben note. Lui si dimise dall’incarico solo per motivi etici, di dignità, di correttezza morale, ecc., tutto insomma meno che perché costrettovi da una legge dello Stato: fino a che non fosse stato giudicato ed eventualmente condannato da un tribunale, avrebbe potuto rimanere tranquillamente al suo posto. Certo, con una notevole faccia di bronzo, ma questa non è un reato e la legge – come è noto – non punisce né le intenzioni né tanto meno la ‘faccia tosta’.
Allo stesso modo, o quasi, bisogna leggere le vicende a cui ci riferiamo ora. Leggete con estrema attenzione il laconico dettato letterale dell’art. 67 della Costituzione: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questa stringatissima disposizione significa semplicemente che ogni parlamentare, una volta eletto, è legalmente libero di fare politicamente quel che gli pare, anche di saltellare ogni giorno da un partito all’altro. Non ha alcun vincolo col partito che lo ha sostenuto, al di fuori della normale riconoscenza e gratitudine. Egli è stato eletto dal popolo e solo al popolo rende conto alle scadenze convenute, non al segretario politico del partito. Atteso che la Costituzione fu scritta da austeri e rigorosi padri della Patria che certe faccende cialtronesche nemmeno osavano immaginarle, in pura linea teorica non parrebbe nemmeno vietata la compravendita dei voti. Il problema, semmai, sarebbe quello di dimostrare nelle aule giudiziarie – con i fatti e non con i gossip – il dolo, ossia che la dazione di denaro – ove ci fosse realmente stata – ha causato un illecito arricchimento da parte di qualcuno o un danno alle casse dell’Erario. Al cospetto del giudice non può portarsi come prova, ancorché fondata, la semplice voce popolare del “tanto lo sanno tutti”.
Sembrerà banale, ma il punto è tutto qui. Possiamo stracciarci le vesti come ci pare, levare altissimi lamenti, lanciare accuse di tradimento, offendere giustamente coi peggiori epiteti, ma finché non viene dimostrata l’esistenza d’un reato il parlamentare è libero per legge di comportarsi da voltagabbana. E ciò, paradossalmente, in omaggio alla più elementare libertà individuale, quella di espressione, che proprio la Costituzione tutela come bene supremo quasi ad ogni riga.
Tutto ciò cosa vuol dire, che approviamo forse il comportamento dei ‘votivendoli’? Assolutamente no, ovviamente, ma molto realisticamente dobbiamo prendere atto della profonda mutazione genetica dei costumi sociali.
Quello che ‘moralmente’era inconcepibile pochi anni addietro è ormai prassi corrente e gli esempi sono ormai numerosissimi in ogni campo, non solo politico, anche se proprio la politica è lo specchio più fedele della società corrente. Eppure, vi fu un tempo in cui la gente addirittura si suicidava pur di non subire in pubblico l’onta del disonore…
Duemila anni fa Tacito, nel suo trattato De Germania, mostrava di ammirare profondamente quel popolo barbaro e rude perché, nonostante l’arretratezza socioculturale, «presso di loro valevano più i buoni costumi che altrove le buone leggi». Più o meno quello che gli inglesi avrebbero poi chiamato gentleman agreement, il naturale comportamento da galantuomo. Insomma, almeno finora la legge non ha avuto bisogno di disciplinare quelle labili materie quali la ‘buona educazione’, il ‘senso dello Stato’, la ‘correttezza civile’, che dovevano rimanere appannaggio del singolo individuo, in quanto una semplice infrazione di tal codice non scritto l’avrebbe screditato più di una condanna per omicidio. Oggi ci si ricopre di disonore con la massima disinvoltura perché è meglio perdere la faccia che un pingue incarico: del resto basta guardare certi personaggi televisivi i quali neanche arrossiscono più nell’ammettere comportamenti un tempo più che censurabili. Ormai converrà, purtroppo, cominciare a pensare anche a disciplinare con norme apposite comportamenti che – a partire da quelli dei parlamentari ‘in vendita’ – scendano giù giù a regolare ope legis perfino quella che le nostre madri chiamavano semplicemente ‘buona creanza’.

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