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Il Simposio di Platone – 2

Aprile 11
09:08 2010

Come quarto, rimessosi dal singhiozzo, interviene Aristofane il quale spiega la propria devozione per Eros per mezzo di un fantasioso ma significativo mito. A suo parere, all’origine del mondo, gli esseri umani erano diversi da quelli attuali; essi erano congiunti attraverso la parte frontale, erano muniti di quattro mani, quattro gambe e due volti su una sola testa e possedevano tre generi: il maschile, il femminile e l’androgino, che partecipa sia della natura maschile che di quella femminile. La forma di questi umani era inoltre circolare.

Tuttavia, Zeus fu costretto a tagliare a metà questi esseri a causa della loro tracotanza, con il fine di renderli più deboli ed evitare che attentassero al potere degli dei. Da questa divisione, nacque negli esseri umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le parti non facevano altro che stringersi le une alle altre rischiando di morire di fame e torpore. Zeus, dunque, per evitare che gli uomini si estinguessero, inviò nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi potessero ricostruire, seppur in modo incompleto, l’unità perduta.
Per quarto, prende la parola il padrone di casa, Agatone. Egli definisce Eros come il dio più bello e nobile nonché il più felice e il più giovane tra tutte le divinità.
Socrate interviene per sesto. Tenta, all’inizio, di schermirsi per la sua scarsa capacità come oratore ma, convinto che “su ogni cosa basta dire la verità”, decide di partire dalla verità per tessere il proprio elogio su Eros. Per Socrate, Amore è amore per alcune cose, in particolare “di quelle di cui si avverte la mancanza”; a questo punto del discorso socratico si innesca quello di Diomita, sacerdotessa di Mantinea, secondo la quale “Amore non è bello né buono” bensì un qualcosa di mezzo tra bello e brutto, tra buono e malvagio, tra mortale e immortale. Concepito da Penia e Poros, egli si presenta come un essere intermedio tra il divino e l’umano.
Al termine del discorso di Socrate, irrompe nella sala del banchetto Alcibiade, completamente ubriaco, il quale, dopo una breve schermaglia con Socrate, ne tesse uno splendido elogio. Socrate, infatti, è stato per lui un maestro, un amico e gli ha salvato la vita in battaglia. Inoltre, ha resistito quando Alcibiade gli ha fatto spudoratamente dono della propria bellezza, poiché il suo spirito non mirava ai piaceri carnali ma era piuttosto desideroso di “contemplare la bellezza divina nel suo unico aspetto”.

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