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La fissione nucleare compie 70 anni – 1

La fissione nucleare compie 70 anni – 1
Marzo 18
02:00 2008

Ernest RutherfordIn prossimità del Natale 2008, ricorre il 70esimo anniversario della scoperta della fissione nucleare da parte dei fisici Lise Meitner e Otto Frisch sulla base di dati sperimentali forniti dai chimici Otto Hahn e Fritz Strassmann. Controluce intende fornire un collage di scritti di autori vari che hanno narrato fatti e contorni di questa appassionante vicenda che ha cambiato la storia del mondo. I compilatori della raccolta, che uscirà in puntate mensili, sono Nicola Pacilio, docente di fisica dei reattori nucleari a Berkeley (California, USA) e Fabrizio Pisacane, ingegnere nucleare e ricercatore ENEA.

Energia dagli atomi?

Un robusto neo-zelandese. Nell’ultimo anno della prima guerra mondiale, a quanto si racconta, lo scienziato atomico Ernest Rutherford (1871-1937), già allora famoso, una volta tanto non si presentò a una seduta della commissione britannica di esperti incaricata di studiare nuovi metodi di difesa contro i sommergibili nemici. Quando più tardi venne rimproverato per la sua assenza, il robusto neo-zelandese, con il suo modo di fare disinvolto, sbottò in questa esclamazione: Parlate sottovoce per favore, adagio, prego! Torno proprio ora da esperimenti che lasciano intravedere che l’uomo riesca a scindere l’atomo. Se la cosa dovesse risultare esatta, sarebbe una scoperta molto più importante di tutta la vostra guerra. Nel giugno 1919, nello stesso mese in cui a Versailles e in altre località nei dintorni di Parigi, si cercava con trattati di pace di porre la parola fine a quattro cruenti anni di guerra, Rutherford pubblicò nel Philosophical Magazine le famose relazioni in cui spiegava come fosse riuscito, nei suoi esperimenti, a realizzare un antico sogno dell’umanità: bombardando con particelle alfa un elemento, l’azoto, lo aveva trasformato in altri elementi, e precisamente in ossigeno e idrogeno. La trasmutatio materiae, che per tanti secoli era stata il sogno degli alchimisti, era ormai un dato di fatto. Con la loro visione del mondo rivolta all’universale, però, quei precursori della scienza moderna avevano pensato non soltanto alle conseguenze materiali, ma anche a quelle morali di una tale impresa. Proibite ai potenti e ai loro armigeri l’accesso ai vostri laboratori – raccomandavano alle future generazioni di scienziati – poiché essi abusano del sacro mistero, ponendolo al servizio del loro potere.

Una etica per la scienza? Nelle relazioni di Rutherford sulla trasformazione dell’atomo dell’azoto, non si troverà invece alcuna osservazione del genere. Nel XX secolo, del resto, ciò sarebbe stato contrario a tutte le buone norme. Lo scienziato della nostra epoca non deve filosofare sugli effetti secondari delle sue scoperte – neppure se i suoi articoli appaiono sul Philosophical Magazine. Così si rispetta il principio che era stato già fissato dalle accademie scientifiche del XVII secolo, le quali avevano stabilito che nelle loro sedute non avrebbero potuto avere luogo dibattiti su problemi politici, morali e teologici. Ma, in realtà, già nel 1919, l’isolamento della ricerca scientifica non era più che una ipotesi di lavoro. Proprio quella guerra, che appena allora si era conclusa, aveva mostrato fin troppo chiaramente, con la sua tecnica degli armamenti fondata sulla applicazione di scoperte scientifiche, i rapporti quasi fatali tra i laboratori appartati dal mondo e la sanguinosa realtà dei campi di battaglia.
E anche nel laboratorio di Rutherford, la guerra aveva fatto bruscamente irruzione. I suoi boys, come egli chiamava i suoi assistenti e studenti affezionati a lui come a un padre, furono quasi tutti richiamati alle armi e H.G. Moseley, il più bravo dei suoi collaboratori, già nel 1915 era caduto sui Dardanelli. Persino il radio con cui compiva tutti i suoi esperimenti atomici gli venne sequestrato perché – ironia della sorte – era enemy alien property, un bene appartenente al nemico. Infatti, prima dell’inizio della guerra, il Radium-Institut di Vienna aveva concesso in prestito al collega Rutherford, 250 milligrammi della preziosa sostanza. Gesto non gravoso per gli austriaci prima del 1914, poiché i giacimenti del Joachimstahl boemo, i soli allora conosciuti in Europa, appartenevano ancora alla imperial-regia duplice monarchia.

Rutherford e il radio austriaco. Rutherford non riconobbe mai la confisca di questo radio a opera del suo governo. E non si considerò per nulla soddisfatto neppure quando le autorità inglesi gli riconsegnarono il pregiatissimo materiale perché provvisoriamente potesse continuare a servirsene. Famoso per la sua inflessibilità e saldezza di principi, lo studioso insistette: intendeva restituire personalmente quel prestito personale ai suoi amici sul Danubio, una volta finite le ostilità, o almeno indennizzarli nella dovuta misura. E con la sua risolutezza nei confronti delle autorità, la spuntò. Il 14 aprile 1921, egli poté finalmente scrivere a Stefan Meyer, che per anni era stato suo collega, nella Vienna travagliata dalla inflazione: Sono molto in pena per le notizie che Lei mi ha dato sulla stato delle finanze del Radium-Institut. Ma non dubito di potere ottenere il denaro per acquistare al suo prezzo, qualunque esso sia, la piccola quantità di radio che con tanta generosità mi è stata prestata dall’Accademia viennese e che mi è stata così utile nelle mie ricerche. Meyer gli comunicò che il prezzo del radio sul mercato mondiale era per il momento mostruosamente alto, ma ciò non sgomentò Rutherford. Il quale riuscì a raccogliere molte centinaia di sterline: con esse il Radium-Institut viennese superò i peggiori anni dell’inflazione.

I contatti epistolari internazionali del grande Ernest. Anche durante la guerra, Rutherford era stato in contatto almeno per lettera, attraverso paesi neutrali, con i suoi allievi e amici in Germania e nell’impero austro-ungarico e, in particolare, con il suo vecchio e fedele assistente Hans Geiger (1882-1945), inventore di quel contatore che è oggi adottato in tutto il mondo per la misurazione della radioattività. La famiglia internazionale dei fisici, nonostante tutto, restò in piedi, meglio certamente di quella dei letterati e dei filosofi, che si bombardavano reciprocamente con manifesti carichi di odio. Uomini che prima della guerra avevano collaborato, spesso per anni, per via epistolare o fianco a fianco in un laboratorio, non potevano diventare nemici per un ordine dall’alto. Così James Chadwick (1891-1974) – uno stretto collaboratore di Rutherford, più tardi premio Nobel per la scoperta del neutrone, internato dall’inizio della guerra nel campo di concentramento di Ruhleben presso Berlino – grazie all’aiuto dei suoi maestri tedeschi Nernst e Rubens, poté installare in quel campo un piccolo laboratorio dove, insieme con altri prigionieri, continuò a svolgere interessanti esperimenti. Nel maggio 1918, quando le terribili offensive nella Francia del nord costavano quotidianamente tante vite umane inglesi e tedesche, Chadwick scriveva al suo maestro Rutherford: Ora lavoriamo alla formazione di sostanze di carbonio mediante radiazioni luminose. In questi ultimi mesi ho visitato Rubens, Nernst e Warburg. Sono stati di una cordialità straordinaria e hanno promesso di prestarci tutto quello che potranno. Davvero non c’è persona che non ci abbia prestato strumenti. Non appena un tenue spiraglio si riaprì sulle frontiere, i fisici di tutto il mondo ripresero subito i contatti tra loro, comunicandosi reciprocamente i progressi compiuti durante gli anni di guerra. Non soltanto il comune servizio postale, ma anche quello telegrafico fu chiamato a collaborare alla ripresa più rapida possibile degli scambi di esperienze. Le telegrafiste di Copenhagen si trovarono spesso in difficoltà, per trasmettere correttamente i messaggi irti di formule matematiche, che dall’Istituto del professor Niels Bohr (1885-1962) venivano inviati in Inghilterra, Francia, Olanda, Germania, USA e Giappone.

Cambridge, Copenhagen. Gottinga. Tre erano allora sulla carta geografica della ricerca atomica i centri di attrazione principali: (i) Cambridge, da dove Rutherford dominava come un monarca brontolone e facilmente irascibile sul regno delle dimensioni minime da lui primamente dischiuso; (ii) Copenhagen, che per bocca del saggio Niels Bohr promulgava le leggi di questo così nuovo e misterioso territorio del microcosmo; e (iii) Gottinga, dove il triumvirato costituito da Max Born (1882-1970), James Franck (1882-1964) e il matematico David Hilbert rimetteva in questione tutto ciò che in Inghilterra si credeva di aver scoperto e in Danimarca si credeva di avere giustamente risolto.
Presto la corrispondenza scritta non bastò più, per riuscire a risolvere i molti affascinanti problemi del mondo atomico. Cominciò così l’epoca dei congressi e delle conferenze. Bastava che Bohr facesse sapere che si sarebbe trattenuto una settimana a Gottinga, per parlare dei lavori da lui svolti durante gli anni della guerra, che subito ogni fisico che ne avesse la minima possibilità accorreva a questi festival di Bohr. Notizie di interessanti esperimenti e risultati provenivano ora persino da paesi dove prima della guerra mondiale l’attività di ricerca nel campo della fisica era ancora insignificante. India e Giappone, gli USA e la Russia della rivoluzione, aspiravano a uno scambio di esperienze scientifiche e forse lo zelo maggiore lo mostrava l’URSS, alla ricerca di contatti con scienziati dell’Occidente. Lo stato bolscevico non soltanto voleva che i suoi scienziati imparassero dal resto dell’Europa, ma curava anche che le proprie pubblicazioni venissero tradotte in inglese, francese e tedesco. Nel campo della ricerca, non vigeva in quel periodo né l’osservanza del segreto né la censura.

Il formicaio dei lavori in corso nella fisica. Un famoso fisico pensava in quei giorni che nel mondo della sua disciplina avvenivano episodi come in una comunità di formiche. Ciascuno correva tutto eccitato con la sua briciola di conoscenza appena trovata verso un dato punto, ma appena girato, un altro fisico-formica portava la conoscenza via di lì. Planck (1885-1947), Einstein (1879-1955), i Curie, Rutherford e Bohr avevano uno dopo l’altro scosso così gravemente l’edificio della fisica, edificio che ancora sullo scorcio del secolo appariva quanto mai solido, che Arnold Sommerfeld (1868-1952) – il quale insegnava a Monaco di Baviera e, come interprete dell’indirizzo moderno, è certo stato il più fortunato maestro di questa generazione – pensava con il suo spiccato senso dell’umorismo che la cosa migliore sarebbe stata quella di mettere in guardia i curiosi dall’addentrasi in questo studio con una scritta del seguente tenore: Attenzione! Pericolo di crollo. Chiuso temporaneamente per radicali lavori di ricostruzione.

(Estratto dal volume Gli apprendisti stregoni. Storia degli scienziati atomici di Robert Jungk, Piccola Biblioteca Einaudi, 1958)

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