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La presenza di Giano

La presenza di Giano
Dicembre 09
17:42 2010

la-presenzaEsperimenti di poesia che s’incrociano sono stati, nel recente passato, molto frequenti, ma quasi sempre i due soggetti hanno rappresentato se stessi senza farsi scalfire dal dialogo, andando quasi ciechi per la propria strada. Non dico che sia stata una maniera impropria di proseguire nel cammino binario, certamente non è stata esperienza che abbia fatto scattare la molla di uno scavo che scaturisse anche da provocazioni dell’altro, o da stimoli. La presenza di Giano vede Marco Onofrio e Raffaello Utzeri a confronto, ma si tratta di “Poema bifronte”, non di mondi paralleli: vediamo dunque perché diventa interessante seguirli nel loro percorso. Innanzi tutto perché i due poeti si sono tolte le maschere (ammesso che le abbiano mai avute) e sono scesi in campo con la consapevolezza di porre in essere un discorso talmente antico da risultare fresco e nuovissimo, il discorso sull’essenza del senso, sulla qualità del vivere e morire al di là dei segni incomprensibili del male e del bene. Certo, ciò non appare in maniera visibile perché le due parti giocano a volte di fioretto e a volte accerchiando l’avversario o, se volete, l’interlocutore. Un “gioco serio al pari d’un lavoro”, una sorta di sfida-non sfida per appropriarsi di quel terzo e terso occhio che porta a comprendere la dimensione della labilità e del divenire. La prefazione di Giorgio Linguaglossa affronta il libro sul piano storiografico e cerca l’interpretazione motivata della presenza di un libro simile in un mondo di indifferenti e di mediocri, senza passato e senza la passione della verità. Verena Penna, in postfazione, cesella analiticamente le posizioni dei due poeti individuando le parti rappresentate, discorsi ottimi per entrare nel vivo dei testi e cercare di capirne le scaturigini e le finalità. Eppure sembra che sia Onofrio sia Utzeri non siano disposti (per fortuna) ad arrivare a una chiusura ermetica che convogli nella verità assoluta i versi. C’è sempre un margine, c’è sempre una sfumatura, c’è sempre una indicazione che rompe gli argini e si assesta su posizioni diverse dalle consuete. Ed è qui che la partita assume la valenza di una conquista che porta a non dare retta alle dissoluzioni in atto, ma a renderle motivo di un fare che, prima o poi, si contorcerà su se stesso per diventare misura nuova del futuro. E se troviamo che questa poesia abbia il sapore aulico e il tono alto, non ci dobbiamo meravigliare più di tanto, perché è ora di ritrovare il cammino perduto, e non per nostalgia patetica e rumorosa, ma per adesione ai valori essenziali che sono stati il fondamento della civiltà. Ecco perché né Onofrio né Utzeri sostano ai bordi del diluvio e della confusione e vogliono essere attori del mutamento; accertarsi che lo spappolamento del senso non diventi una deriva e anzi il senso ritorni nel suo alveo, così come nel suo alveo legittimo deve ritornare il linguaggio e devono ritornare i temi. La poesia ha bisogno di uscire dalle trame fitte e asfittiche del risaputo e della povertà, che appartengono al linguaggio comunicativo e non alla discesa agli inferi o all’ascesa nelle sfere celesti. Libro denso di pensiero, di proposte, di accensioni, di umanità alta e vera, di quel sale greco necessario per rientrare nel circuito della verità che non può più aspettare, altrimenti rischia di morire per inedia.

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