LADRI DI LUCCIOLE Un atto e mezzo di teatro di Luca Leoni
Un mondo antico che vive nel ricordo, ma soprattutto nelle emozioni che si fanno immagini, volti, luoghi, rimembranze di quel che un tempo era… ma era? O si tratta di chimere e sogni?
A uno a uno, si presentano i personaggi in quest’opera di narrativa teatrale di Luca Leoni, ed. Controluce: uomini, donne, bambini di altro tempo, d’altra epoca, in un luogo che il trascorrere degli anni ha trasformato, modificato, stravolto… Di quell’ambiente d’una campagna veliterna circondata da monti e boschi, ora resta memoria nel suo divenire tra i pensieri.
Si rivive il passato anche attraverso il dialetto che resiste ancora oggi: vive negli aneddoti, nei racconti, nei versi poetici… molto spesso oggi, in altre occasioni fa sorridere ricordando momenti di una convivialità che non esiste più: quella del gomito a gomito, in una ruralità che ha subito una metamorfosi, facendosi cittadina.
In quest’atto e mezzo, invece, i personaggi nei loro dialoghi fanno varcare la soglia del tempo: lo spettatore s’avvicina a colui che si muove, a chi ricorda e piange, a chi si dispera, chi rassegnato cerca e non trova, non comprende…
Il tempo vissuto diviene disillusione, presa di coscienza, delusione o riscatto…
Una figura tra le tante – molte ben caratterizzate dall’autore – realizza nel suo ruolo un commovente flash back: indifesa creatura che tra le battute recitate e commentate scivola nel presente, facendosi da etereo ricordo a figura che lascia traccia… una sfumata, appena accennata scia che dal passato pare riacquistare nel mistero le sue caratteristiche fisiche… cerca, ma non trova, fin quando…
È una sorta di ologramma che nella traccia del suo divenire rende tangibile un’intuibile sofferenza che terrà il lettore/spettatore vicinissimo nella condivisione.
I rintocchi delle campane, scanditi e ben individuati – ciascuna ha il proprio suono -, fanno da sfondo a una quotidianità del passato fatta di lavori agricoli, vecchi mestieri artigianali e quelle fatiche, miserie, miracoli d’un presente di allora, nel quale ci si dimena e ci si affanna per sopravvivere.
Ladri di lucciole: quelle luci che vengono dal passato a illuminare il presente e nel profondo reclamano giustizia, rimembranza, riparo a un dolore che viene dall’intimità di un destino che non fa sconti, che non perdona che fa sì che solo alcuni predestinati scampino alla guerra, ai rastrellamenti, alla fame, a chi non ha pietà del diverso che vive di chimere: una diversità scaturita dal dramma, dal dolore, dalla sofferenza. Nel nulla lontano sfumano queste figure, dimenticate per sempre da chi resta, o rassegnate ad affrontare quotidianamente quella lotta per la sopravvivenza…
Ed è proprio il dialetto che affiora tra i dialoghi che porta l’anima a percepire quei battiti di chi con la sofferenza e la rassegnazione ha cucito a fatica l’abito della propria vita…
E se ne andrà con le lucciole: chiarori che pian piano sempre più flebili rischiareranno le ultime luci di una speranza, chiudendo un cerchio che per la vita ha cercato il punto di congiunzione…
Da leggere tutto di un fiato, partendo da una dedica che è significativa e trattenendo quella lacrima che durante tutta la lettura ha giocato tra le ciglia…
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