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Le amministrazioni comunali prima cementificavano, ora tagliano gli alberi o li capitozzano (nel 2024 non nel 1990)

Le amministrazioni comunali prima cementificavano, ora tagliano gli alberi o li capitozzano (nel 2024 non nel 1990)
Febbraio 15
11:24 2024

Le amministrazioni comunali castellane, quali più, quali meno, secondo l’appetibilità del territorio, la vicinanza alla Capitale, hanno cementificato almeno per trent’anni, dagli anni ’60 ai ’90 senza colpo ferire, si fa per dire, svendendo parti del territorio al miglior offerente in cambio di oneri di urbanizzazione che hanno senz’altro contribuito ai bilanci comunali in genere, se portando benefici alla cittadinanza l’avrebbe detto il tempo. Da metà degli anni ’90 l’ambientalismo ha avuto nuova linfa organizzandosi in movimenti, alcuni ormai storici, o tentando di diventare partito per contrastare l’esagerata edificazione del territorio per poi dover scoprire, nel corso dei decenni, che in Italia la salvaguardia dell’ambiente, naturale o naturale più (molto) antropizzato come quello del Parco regionale dei Castelli Romani (1984-2024) non è una cosa che interessa tutti, non è trasversale all’idea politica in quanto umani che hanno bisogno di natura e migliore gestione delle risorse, ma è una ‘questione da radical chic, da quelli che non hanno di meglio da fare, una questione di estrema sinistra (o di estrema destra in alcuni casi)’, comunque non una postura considerata ragionevole davanti allo strapotere degli amministratori di questi nostri comuni che si arrogano il diritto di fare scelte per tutti interpellando la cittadinanza solo quando fa comodo.  

Negli anni della speculazione edilizia, la scusa era che ‘i cittadini volevano così’, ma abbiamo imparato che molti cittadini fanno quel che gli si dice se si è capaci di stabilire confini ragionevoli e legali, mentre è chiaro che per incoraggiare a farsi votare gli amministratori hanno promesso cambi di destinazione d’uso dei terreni, condoni dell’abusivismo, aumento delle cubature consentite. Oggi, gli ambientalisti, sempre quella ‘gentaglia’ di cui sopra, sono costretti, di nuovo, a protestare per gli effetti dell’edificazione esagerata: contro gli inceneritori voluti dalla città metropolitana che non riconosce più ai Castelli Romani alcun privilegio per potersi opporre a diventare immondezzaio del Lazio, visto che il territorio già da sé, in quanto ad abitanti per chilometro quadrato, produce tonnellate d’immondizia pur differenziando meglio della Capitale; contro l’impoverimento delle falde acquifere causato da sprechi, eccessive cementificazione e asfalto, cambiamenti climatici (anche questi conseguenza della scellerata attività umana).

Una parte dell’ambientalismo, già diversi anni fa scelse, forse saggiamente, di spostarsi sulla tutela di ciò che restava del territorio non costruito al fine di portare a casa qualche risultato. Invece. Le amministrazioni comunali, smessi i panni dei facilitatori di costruzioni edili, si sono dati all’abbattimento di alberi. Così, mentre prima la cosa pubblica cittadina era gestita da manipoli di geometri succubi dello sviluppo edilizio a tutti i costi (la categoria non se ne abbia a male ma si è fatta più e più volte ‘strumento di sviluppo’), oggi la parola viene data a tecnici che si prestano ad eliminare l’ostacolo albero quando occorre mettere in cantiere qualsiasi nuovo spazio o riqualificare (oggi sinonimo di rendere anonimo ogni luogo). Tale modo di fare si applica come se fossimo ancora gli anni ’90, più di trent’anni fa, anni ancora speranzosi, malgrado tutto, in un mondo meno inquinato e meno surriscaldato del presente. Continuando ad investire poco nella creazione di veri e propri parchi, come si fa in nord Italia, in nord Europa (vedere riviste specializzate di settore, riviste di divulgazione e giardini come Gardenia, per credere), ed essendo capaci solo di storpiare, in nome della modernità, quei pochi luoghi di ritrovo sociale nei quali insistono poche decine d’alberi lasciati fuori dalla bolgia edilizia degli anni passati, decidendo definitivamente di cambiare faccia a piazze e passaggi, piccoli parchi, con rifacimenti insignificanti.

Proprio oggi che abbiamo più bisogno delle proprietà tipiche dell’albero di grandi dimensioni: ossigeno, ombra, enfatizzazione dei luoghi di ritrovo; infatti anche l’elemento di affezione ai luoghi è molto importante, il ‘paesaggio sentimentale’ se così vogliamo chiamarlo, irriso anche questo da più di qualche amministratore insensibile alla bellezza e al sentimento sano che si può provare per i propri luoghi di origine. Poi magari in estate si va nelle splendide isole greche, o in giro per il Mediterraneo, e al ritorno si commenta il fatto che là hanno conservato antiche splendide piazzette fatte solo di alberi vetusti e frondosi, una fonte d’acqua, l’acciottolato d’un tempo…

Finita la cementificazione si abbattono alberi, magari sani, o con qualche difetto del tutto curabile, che ci hanno messo cento anni per diventare quel che sono. Al loro posto nuovi alberi col tronco di pochi centimetri, dette essenze (nell’ignorantese di certo paesaggismo privo di valori), estranee al Mediterraneo. Questi poveri nuovi alberi li si può osservare nei paesi castellani o al lago Albano morti stecchiti in piedi perché lasciati nella calura primaverile estiva senza acqua né nutrimento, perché spesi i soldi messi in bilancio per la ‘riqualificazione’ poi non ci sono risorse per annaffiare, sostenere, curare la pianta fino a che questa sia divenuta autonoma. Meglio forse, si fa per dire, quando gli alberi con fronde estese vengono sostituiti da gazebi e dagli ombrelloni delle attività commerciali. Almeno i poveri alberi malcapitati smettono di essere capitozzati fino al tronco, costretti ad emettere immediatamente getti di nuove foglie per fare fotosintesi se non vogliono morire nel giro di poco tempo. Nell’ignorantese quella reazione disperata viene letta come una reazione positiva della pianta, un gradimento alla capitozza, come se sbrigarsi a cercare delle protesi fosse intesa come gioia per non avere più un arto da parte di qualcuno a cui è stato tagliato.

Cerchiamo di restare umani per poter comprendere gli organismi e gli altri regni che coabitano le nostre esistenze.

Certo, l’albero è poca cosa rispetto ai grandi problemi che l’umanità si trova a fronteggiare in questo particolare periodo storico ma l’odio nei suoi confronti, la scarsa considerazione in cui lo si tiene, sono espressione della stessa incultura che informa il nostro antropocene  di guerre contro chi si intende portare all’estinzione al più presto, per fare posto al…nulla. (Serena Grizi)

vedi anche:

Albano, dagli ambientalisti l’appello per salvare i platani di piazza Carducci: “Basta abbattere alberi monumentali”

 

Film:

Rapa-Nui di Jacob Roggeveen

La fattoria dei nostri sogni di John Chester

Il sale della terra di J. R. Salgado e Wim Wenders

Paradiso amaro di Alexander Payne

Immagine web

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1 Commento

  1. Annarita Rossi
    Annarita Rossi Febbraio 21, 20:48

    Bellissimo articolo, il cui argomento trattato con sensibilità lascia purtroppo tristezza e amarezza. Poveri alberi!

    Reply to this comment

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