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Ad Albano si va delineando il quadro delle elezioni del 20 e 21 settembre 2020. Sono in competizione quattro candidati alla carica di sindaco. Quello del Centro sinistra è sostenuto da nove liste, quello del Centro destra da sette, e quelli dei 5S e del Partito comunista da una sola lista. In totale avremo dunque 18 liste con circa 500 candidati. E’ un bel passo avanti rispetto alle elezioni del 2015, quando erano in lizza 9 canditati alla poltrona di sindaco e 732 a quella di consigliere comunale. C’è da chiedersi se tutto questo abbia un senso: basta osservare che un terzo delle liste del 2015 non ha raggiunto nemmeno il numero di voti di coloro che le hanno presentate (e ciò solleva seri dubbi sul processo di raccolta delle firme) e che, soprattutto, i 732 cittadini apparentemente vogliosi di contribuire al benessere della collettività (si fa per dire) sono di fatto evaporati – peccato, avrebbero contribuito ad un ricambio della classe politica di cui c’è disperato bisogno.

Di fronte a tale quadro, l’attenzione dei politici delle due maggiori formazioni è impegnata a raggranellare qualche voto ricorrendo a una pletora di liste, molte delle quali farlocche e altre legate al peculio di voti di cui dispongono singoli personaggi buoni per tutte le stagioni.

Ancora non conosciamo i programmi delle liste, ma è stato istruttivo ascoltare i quattro candidati sindaci (tutti maschi) nell’incontro organizzato il 28 luglio al Comune da Italia Nostra sul tema del consumo di suolo. Ascoltandoli non sembrava di avere di fronte leader disposti ad assumersi il gravoso, ma necessario compito di guidare una comunità in un periodo di crisi epocale, ispirati da profondi valori e capaci di disegnare un futuro, ma persone con la testa girata all’indietro. Nessuna risposta al documento predisposto da Italia Nostra. Nessuna visione prospettica del mondo. Vaghe promesse non supportate da alcuna seria analisi. Nessun riferimento ai temi ambientali, alle crescenti disuguaglianze, alla digitalizzazione, alle nuove strategie europee del Green New Deal che potranno costituire opportunità e rappresentare fonti di finanziamento ai Comuni che necessitano nuove risorse. Decisamente un’offerta politica di scarso conio, al di sotto delle necessità, la quale dà implicitamente per scontato che, dopo la crisi del Covid, tutto tornerà come prima. Purtroppo non sarà così e chi siederà a Palazzo Savelli si troverà in autunno in prima linea a gestire una grande crisi sociale ed economica.

C’è da aspettarsi che i programmi politico-amministrativi saranno ancora una volta zeppi di promesse senza alcun riferimento alla reale possibilità di mantenerle – tanto, si sa bene, i programmi non li legge nessuno.

Quello di cui la città ha bisogno è un buon governo. L’etimo “governare” fa riferimento al capitano della nave che, quando non erano disponibili i moderni ausili della navigazione, con le sue indiscusse capacità era pronto ad affrontare ogni forma di avversità nella perigliosa navigazione. E in questo difficile passaggio storico il governante dovrebbe indicare la nuova strada da intraprendere con coraggio, entusiasmo, determinazione, non fermarsi al problema delle buche nelle strade.

Che fare, dunque? Farsi sopraffare dallo scoramento e non andare a votare? No, questa non è una risposta democratica, la democrazia è partecipazione. E la politica è l’arte del possibile: ci si deve accontentare di quello che passa casa. La strada è quella di scegliere il meno peggio(re), ma non mugugnando, visto che i politici sono un riflesso di chi li elegge, e che il governo degli ottimati è una chimera.