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Le famiglie al cinema: nell’intramontabile Pinocchio e nel mondo di F. Özpetek

Le famiglie al cinema: nell’intramontabile Pinocchio e nel mondo di F. Özpetek
Gennaio 02
19:21 2020

(Serena Grizi) Nei due film, diversi per genere, almeno all’apparenza, e per trama, ci sono molti padri e almeno due madri attente all’educazione e molto affettuose ed amate dai figli.

La madre posticcia, in Pinocchio, padre un Geppetto un po’ San Giuseppe post litteram, povero e falegname, è la Fatina, l’unica capace di far sentire al burattino il peso degli errori che egli stesso per volontà e poca esperienza commette. La madre nel film di Özpetek è Annamaria, fuggita da una infanzia piuttosto triste, a tratti orrorifica, vuole dare ai suoi figli il meglio, rendendoli educati e consapevoli, almeno finché la salute glielo consente, ed il meglio anche in un ‘possibile dopo’, intravedendo in una coppia stabile di amici gay i migliori genitori possibili.

Nel Pinocchio di Matteo Garrone, giudicato da molti d’una bellezza visiva prossima alla perfezione ma ‘freddo’, i temi della favola di Collodi vengono isolati in maniera talmente chiara da essere ‘utili’ anche ad una lettura contemporanea del quasi ‘disastro’ educativo dei nostri tempi: né l’imperfetta famiglia in se stessa né la perfettibile società riuscirebbero nell’intento di dare un buon esempio ad un ragazzino in crescita tale da renderlo consapevole e ligio ai doveri, oltre che affettuoso, ma tutte e due assieme con amore e dedizione, e mettendo qualche giusto limite, educando quindi, possono qualcosa nei confronti di chi come nuovo s’affaccia al mondo. Nuovo ma che possiede già un proprio carattere e che non sente le ragioni del buon senso (il Grillo Parlante). Pinocchio dovrà uscire prima dalla propria anaffettività legnosa e poi potrà dirsi davvero figlio e cittadino del mondo, una volta capita la fatica, il pericolo, i veri amici, i confini posti da un contesto sociale anche’esso in parte cieco, in parte ingiusto (un giudice che impartisce una giustizia scimmiesca, il Gatto e la Volpe scambiati per benefattori). La favola conosciuta, nel film, riesce ad assumere i contorni del modello archetipico del racconto anche grazie alla purezza dei fondali, campi coltivati e incolti luminosi, boschi di querce, villaggi poveri d’una povertà atavica. Il film è una vera gioia per gli occhi in quanto a fotografia, costumi e ricostruzioni del teatro di strada e dei teatrini dall’eleganza inarrivabile nell’epoca ancora aurea della rappresentazione dal vivo per uomini e donne che conoscevano ancora lo stupore. Ma Garrone ci aveva già lasciati a bocca aperta con Il racconto dei racconti tratto dalla raccolta di fiabe secentesca di Giambattista Basile.

Ferzan Özpetek, dal canto suo ne La dea Fortuna consegna a due non aspiranti padri, una coppia, la possibilità di diventare genitori di due ragazzini svegli ed educati. La madre è una amica comune, fidanzata un tempo con uno di loro, la quale, in un momento difficile della sua vita, li sceglie perché mai nessuno ha sentito così vicino e accogliente con se stessa e con i bambini. Il percorso del regista può essere paragonato a quello di altre sue storie da Le fate ignoranti a Saturno contro, più nello specifico, ma nel tempo sono forse diminuiti i momenti di gioia pura, come nella danza sotto la pioggia in quest’ultimo lavoro, per prestare un occhio più attento a ciò che la vita lascia in eredità ad ‘attori’ certe volte spossati dal male o dal fallimento personale. Nella coppia Arturo-Alessandro, poi, chi sostiene chi? Chi è più forte, più indifferente, apparentemente, all’altro, chi tradisce e perché? Le domande d’amore, ataviche, qua sembrano essere sostituite dalla necessità: guarire dal male, dare ospitalità a due bambini, superare, forse, una crisi di coppia scegliendo con quale progetto di vita proseguire. I padri, i genitori in generale, sembrano plasmarli i figli, o comunque l’affetto che presto scorre fra persone che hanno bisogno le une delle altre, a patto, anche qui, che si segua qualche precisa regola. Ci piace immaginare che Özpetek non sia rimasto indifferente, come molti amanti del cinema di Gianni Amelio, ad una scena del suo immenso Il ladro di bambini: deus ex machina o momentanea meritata tregua prima di affrontare la dura realtà, là come qua, l’acqua del mare, pura gioia vitale e fluire di correnti simili a quelle degli affetti, continue, vitali, imprescindibili…

C’è una società che cresce e s’incontra e scontra a tratti col dolore e i sentimenti; i problemi posti da molte nuove famiglie che sfuggono al modello del presepe ricorrente in queste giornate natalizie, sono tanti e non tutti di facile soluzione o immediata individuazione: in un romanzo celebre e risaputo, entrato nella tradizione, come in una storia contemporanea, l’appello è alla necessità di non combattersi per vedere riconosciuti i sentimenti, i diritti di quella che per scelta personale, per sympátheia se non per nascita, desideriamo chiamare famiglia.

 

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