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Il termine federalismo indica un «assetto politico-amministrativo di uno stato unitario favorevole al riconoscimento di ampie autonomie territoriali e delle funzioni di governo». Pertanto, esso non può essere scisso dal concetto di unità, sia inteso come «unione di un popolo in un solo stato» che come «coscienza e volontà nei cittadini dello stesso stato di essere uniti e concordi» (Vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli). Lucio Villari, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre, sottolinea il valore e l’importanza delle nostre radici per recuperare il valore e l’orgoglio del passato: arricchita da una coscienza di classe e unita a una forte consapevolezza, la coscienza nazionale si traduce in un impeto culturale e questo, a sua volta, in nazione politica. Sebbene siano spesso utilizzati in modo volutamente non appropriato, i termini “unità” e “nazione” sarebbero dunque equivalenti.

Durante uno degli incontri tenutisi nel corso dell’estate 2010 su Le parole della politica a Palazzo Valentini, Villari aveva indicato la nascita della coscienza nazionale nel lontano mondo greco, esattamente nelle guerre persiane, combattute tra le poleis greche e l’Impero Persiano, iniziate intorno al 500 a.C. e continuate a più riprese fino al 449 a.C., a causa di forti interessi economici e commerciali. Greci e persiani erano inoltre divisi da una diversa idea del dominio politico: i primi avevano una concezione etnica dello stato, per cui un territorio era greco se e solo se era abitato da greci; nei secondi, invece, dominava una concezione territoriale dello stato, in quanto il dominio su un territorio era inteso indipendentemente dai popoli che lo abitavano. La rivoluzione che oppose, tra il 1775 e il 1783, le tredici colonie nordamericane al Regno di Gran Bretagna, loro madrepatria, è un altro valido esempio di formazione della coscienza nazionale. Secondo Villari ciò che allora fece da collante non fu soltanto il territorio, ma anche il principio di unità nella diversità e successivamente il principio della difesa dell’unità nazionale. Per gli americani, dunque, il federalismo avrebbe avuto un senso diverso dal comune, poiché si batterono per la loro indipendenza e la fondazione degli Stati Uniti d’America avrebbe visto i concetti di unità e federalismo come sinonimi, in quanto si basò su un’istanza federalistica. Gli Articoli della Confederazione costituirono la prima Costituzione degli Stati Uniti d’America: essi raggruppavano le colonie della guerra di indipendenza americana in un nuovo Stato federale sovrano e in una nuova nazione chiamata “confederazione”. Questo termine è sinonimo di “federazione”, in quanto entrambi i termini definiscono un’unione federale e nazionale. Il 21 giugno 1788 gli Articoli vennero sostituiti dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America, che entrò in vigore il 4 marzo 1789: essa creò un governo più unificato, al posto di quello che era un gruppo di stati indipendenti che operavano sotto gli Articoli della Confederazione. Tuttora gli Stati Uniti d’America hanno una struttura federale: i poteri elencati nella Costituzione sono affidati al governo federale, mentre tutti gli altri poteri non indicati rimangono affidati ai singoli stati. A differenza dell’esperienza risorgimentale italiana e dunque della nostra Costituzione, in quella americana Villari osserva un semplice divario e non una vera e propria separazione tra autorità civile e sette religiose: si tratta di una diversità gestita dall’autorità civile attraverso l’ammissione della libertà religiosa. La discussione sui concetti di “unità” e “federalismo” si pone a chiusura del ciclo su Le parole della politica, che certamente non intende essere esaustivo delle pressoché infinite voci che compongono il linguaggio della politica e che spesso, purtroppo, sfociano nel gioco ambiguo della “politica delle parole”. (Continua)