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Le “Parole della politica” – 4/8

Marzo 08
09:02 2011

Il secondo incontro su le “Parole della politica”, patrocinato dalla Provincia di Roma, in collaborazione con la casa editrice Laterza e il quotidiano La Repubblica, è stato presieduto da Nadia Urbinati, insegnante di Scienze politiche all’Università di New York, e da Ilvo Diamanti.

Il giornalista Vladimiro Polchi ha introdotto il primo dei due temi affrontati, quello del rapporto tra il “Pubblico e il privato”, sollevando la questione di un confine non netto tra le due sfere, proprio in un’epoca di pieno conflitto di interessi com’è quella attuale. Ha inoltre ricordato alcuni temi attuali – la procreazione assistita, la fine della vita, la privatizzazione dell’acqua, la legge sulle intercettazioni telefoniche – inerenti al binomio pubblico-privato. Nadia Urbinati ha osservato, innanzitutto, come nel corso degli anni un lento processo di trasformazione abbia visto il privato divenire un sempre più importante attore di giudizio e il pubblico relazionarsi ad esso. Da un lato la dimensione dell’opinione pubblica è creata dal privato; dall’altro il pubblico interviene in modo determinante in settori della vita privata, in alcuni casi regolando limiti e criteri, come nel caso del danno non patrimoniale o in quello dell’accanimento terapeutico. La Urbinati ha presentato la coppia concettuale pubblico-privato come l’aspetto più rappresentativo della modernità e ha sottolineato la dimensione di valore dell’individuo, fondamentale nella stessa concezione dello Stato di diritto, su cui si fonda il concetto di “pubblico” e il cui presupposto è che l’agire dello Stato sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti. Ha ricordato come, a partire dal ‘700, le Carte dei Diritti individuali abbiano definito i limiti della libertà correlando diritti e doveri sulla base della centralità dell’individuo e dei suoi diritti fondamentali e inviolabili che concernono la vita, la libertà e la sicurezza della persona. Il riferimento, seppure non esplicito, va alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 e alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, in virtù di una centralità poi ribadita dalla Costituzione della Repubblica Italiana (1° gennaio 1948), dalla successiva Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 ed entrata in vigore il 4 novembre 1953. Per quanto attiene alle fonti della Costituzione inerenti specificamente al concetto di “privato”, esse si possono rinvenire non solo nell’articolo 2, ma anche negli articoli 14, (inviolabilità del domicilio), 15 (libertà e la segretezza della corrispondenza) e 21 (libertà di pensiero). Diana Urbinati ha sottolineato in particolare il dettato dell’art.15, osservando come la libertà privata coincida con una segretezza che non vale per il pubblico, il cui principio è stato invece istituto dal Decreto-legge sulla privacy del 30 giugno 2003, n. 196 ovvero dal Codice in materia di protezione dei dati personali, che ha innovato la Legge sulla privacy del 1996. Il riferimento implicito va al cambiamento del significato attribuito al termine “privacy”, la cui accezione originaria indicava il diritto alla riservatezza delle proprie informazioni personali e dunque alla non intromissione nella propria sfera privata. Nel tempo il concetto si è trasformato nel diritto al controllo sui propri dati personali e si è esteso fino a divenire strumento di autorealizzazione della propria persona, ciò che implica il reciproco rispetto delle proprie libertà e un diverso rapporto con le istituzioni. La questione del rapporto tra pubblico e privato è diventata allora più complessa: a tal proposito la Urbinati ha reputato il riservo come condizione della libertà individuale, dunque valido nella sola sfera privata e non inerente alla politica. Tra le varie declinazioni della libertà, ella ha messo in relazione il concetto di “libertà privata”, intesa come il diritto alla propria indipendenza nei limiti della legge, con quello di “libertà negativa” come assenza di costrizione e di ostacoli, a sua volta contrapposto alla “libertà positiva” come all’atteggiamento di chi è causa e principio della propria azione. Il fatto che la politica sia o debba essere strumento in funzione di un bene, quello del singolo individuo, che si pone al di fuori della politica rinvia, di riflesso, all’ambivalenza del termine “pubblico”: come sostantivo esso indica la comunità intesa come totalità sociale, delimitandone il campo rispetto a quello privato; come aggettivo esso descrive la forma scritta e l’oggetto del potere, dice come il potere deve essere praticato in riferimento ai diritti o interessi della comunità. Circa la questione dei rapporti tra il potere pubblico e quello privato, la tesi che il primo debba rimanere separato è forse suggerita dall’articolo 3 della Costituzione, che ricorda il concetto di “libertà negativa” quando indica il «compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La relatrice ha inserito il concetto del rapporto del pubblico con il privato nel contesto più ampio di una storia di separazione del potere secolare o temporale da quello spirituale, cui ha fatto seguito, da un lato, la nascita della libertà di religione (articoli 3, 7, 8, 19, 20 e 117/c della Costituzione) con una specifica delimitazione spaziale (anche in riferimento al XVI secolo, dunque al concetto di tolleranza religiosa introdotto da umanisti come Erasmo da Rotterdam e Thomas More); dall’altro, la libertà di coscienza sovrana (sulla base del principio di non interferenza di alcuna autorità nella scelta della religione) inserita nel processo di democratizzazione. Lo Stato moderno può essere visto in tal senso come la fine del Patrimonialismo, forma di governo tipica dei regimi autocratici o oligarchici, nei quali il leader o un governo di minoranza avevano un potere tale che non vi era alcuna distinzione tra i settori pubblico e privato. Nel contesto dei rapporti tra le due sfere la Urbinati ha pure ricordato l’introduzione del voto, definendolo come il potere, da parte dell’opinione pubblica, di esprimere una volontà e un giudizio su un governo pubblico, ed evidenziando un legame di tipo diretto tra i concetti della sincerità del potere e quello della legittimità del principio della pubblicità in vista del potere al voto. Questa la conclusione della relatrice: una società democratica vede la scissione chiara del momento politico da quello morale, come del momento pubblico da quello privato, senza alcun dualismo, che sarebbe invece sinonimo di corruzione e doppiezza; essa presume persone che sappiano valutare il confine tra l’agire pubblico e quello privato, entrambi sottoposti a criteri ben distinti. La distinzione non potrà mai essere considerata superata o arretrata e «la democrazia non può giustificare la doppiezza, ma reinterpretare tale distinzione avendo cura di non fare della separazione una sorta di giustificazionismo».

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