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Linee- guida del ddl “Norme per il contrasto al consumo di suolo, per il riuso di aree urbanizzate abbandonate e la rigenerazione di aree degradate”

Novembre 13
22:25 2017

 – Mai più privatizzazioni di suolo pubblico e di edifici pubblici decise autonomamente dalle istituzioni all’insaputa delle popolazioni locali.                                                                                                                                                            In Europa la troika (Bce, Fmi, Commissione europea) ha invitato i Governi nazionali a privatizzare il suolo e gli edifici pubblici per ridurre i debiti statali, e i Governi, senza consultarsi con le loro popolazioni, hanno risposto obbedendo. Valga come esempio l’Austria che aveva messo in vendita le montagne, l’Irlanda le foreste residue, la Francia  Place de la Concorde e l’Italia che era arrivata a mettere all’asta un’isola nella laguna di Venezia. Questa è l’Europa nel tempo della crisi che, per tamponare i deficit delle casse statali, dopo aver privatizzato i servizi pubblici, creato partenariati pubblico-privati nelle aziende statali e dato concessioni in leasing di beni pubblici, ora arriva a svendere il patrimonio pubblico. Fortunatamente gli europei sono insorti di fronte alla possibilità di perdere il loro patrimonio storico e naturale, perché sono cresciuti con l’idea che l’intero patrimonio pubblico, non solo scuole, ospedali e ferrovie, dovesse appartenere per sempre a tutti. L’orgoglio di avere come simboli della propria identità culturale un palazzo storico, un sentiero sacro, una costa, un’isola, un bosco, ha determinato quel sentimento di appartenenza dei cittadini alla propria nazione. Il rinunciare oggi ai simboli identitari farebbe perdere ai cittadini tale sentimento. In Italia è accaduto che istituzioni pubbliche abbiano messo in vendita pezzi del proprio patrimonio demaniale all’insaputa della popolazione, ingannandola con parole ambigue tipo “valorizzazione delle aree”. Purtroppo l’austerità è diventata più un pretesto per andare incontro agli interessi privati che un modo per risolvere i problemi di bilancio della popolazione. Nel 2005 il governo Berlusconi aveva creato la “Patrimonio s.p.a.” con  lo scopo di privatizzare il patrimonio pubblico e fare cassa. Questo progetto è in seguito sfumato per l’opposizione di persone autorevoli come Ciampi e Prodi, ma oggi il pericolo di vendita del patrimonio pubblico si è ripresentato nella forma della legge “Sblocca Italia” del governo Renzi. Il vero scopo di questa legge è quello di svendere il patrimonio pubblico alle lobby del cemento, del petrolio e degli inceneritori, e per farlo si è promesso ai Comuni, che favoriranno la vendita dei beni demaniali, una quota sul prezzo. Contemporaneamente si è tolta al Ministero dei Beni Culturali la vigilanza sulla vendita di immobili storici di pregio. Ed è stato  grazie a tale strumento normativo che sono state date a società straniere le coste di pregio per la ricerca in mare del petrolio con le trivelle. Si voleva persino installare un inceneritore in un’area verde vicino Villa Adriana a Tivoli (area archeologica famosa nel mondo), ma solo grazie alle proteste della popolazione locale si è riusciti ad evitarlo. Si è parlato persino della necessità di vendere i beni comuni per pagare i debiti di banche private. Ma è giusto questo? E’ giusto privatizzare servizi che danno profitto, come ad esempio la biglietteria del Colosseo se poi non si hanno i soldi per il restauro del monumento stesso? La società che gestisce la bigliettazione al Colosseo trattiene sul prezzo del biglietto di 15 euro il 70% e lascia il 30% allo Stato, anche se la legge dice il contrario.  No, non è giusto privatizzare i guadagni e statalizzare i costi!                                                                                                                                       Opere d’arte moderne. La recente legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2 agosto 2017 ha abbassato la tutela delle opere d’arte moderne, difese dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42/2004). In contrasto con l’art. 9 della Costituzione, che sancisce che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della nazione”, e in contrasto con il diritto europeo che vieta di considerare merce i beni culturali che hanno più di 50 anni, la suddetta legge per il mercato e la concorrenza ha portato l’età minima, che una cosa mobile o immobile deve avere per essere dichiarata bene culturale, dagli attuali 50 anni a 70 anni. Ne consegue la perdita di tutti i beni culturali di proprietà pubblica, o di proprietà di persone giuridiche private senza fini di lucro, realizzati tra il 1947 e il 1967, al solo scopo di favorire le case d’asta internazionali, associazioni di antiquari o galleristi di arte moderna e contemporanea, e soggetti operanti nel settore della logistica dei beni culturali. Gli esportatori, infatti, in base a detta legge non dovranno più avere l’attestato di libera circolazione sul mercato internazionale per i beni con meno di 70 anni. E neanche dovranno più avere l’attestato di libera circolazione quei beni culturali con più di 70 anni con un valore autocertificato, da chi richiede l’esportazione, inferiore ai 13.500 euro. Una valutazione, questa, che viene tolta ad un organo tecnico dello Stato che tutela l’interesse della comunità nazionale per essere data al singolo esportatore.

 – Stop a condoni di manufatti abusivi ed alle collusioni di funzionari pubblici con gli abusivi.         I Governi italiani sono sempre andati incontro agli interessi dei privati varando condoni a raffica, e finendo per colpire in tal modo il diritto al paesaggio e alla qualità della vita di tutti. Oltre a ciò i governi non si sono mai preoccupati di creare un sistema normativo che ostacoli in modo efficace le collusioni tra i funzionari pubblici locali e gli abusivi. Questo problema, ad esempio, si presenta: 1) quando uffici tecnici e polizia municipale compiacenti, di fronte alla costruzione non autorizzata di immobili, non si attivano per evitare lo scempio; 2) quando i Comuni  decidono di trasformare in aree edificabili le aree boschive che hanno subìto eradicazione non autorizzata di alberi; 3) quando i Comuni trasformano le aree verdi in aree edificabili dopo incendi dolosi. I Comuni tolgono il vincolo su queste aree dopo che platealmente hanno evitato di fare opportuni controlli, verifiche e denunce delle situazioni di abuso. Già gli immobili abusivi sono raramente oggetto di sentenze di demolizione da parte dei tribunali, poi si aggiunge il fatto che i Comuni messi di fronte a sentenze definitive di demolizione non provvedono a darne esecuzione con la motivazione pretestuosa che mancano i fondi. Infatti, i Comuni possono comunque attingere dal fondo per le demolizioni di costruzioni abusive, stanziato dallo Stato e gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, per poi rivalersi sul proprietario. Ci sono anche casi in cui persino le ditte incaricate delle demolizioni, pur essendo iscritte nella white-list delle prefetture, non sono  disposte ad effettuare le demolizioni di immobili abusivi per paura di ritorsioni.                                                                                                                         Recentemente, è stato presentato un disegno di legge (ddl Falanga) sui criteri per le demolizioni dei fabbricati abusivi che, introducendo il principio di “abuso di necessità”, rischia di diventare un condono permanente. Così i proprietari di immobili abusivi, su cui pende l’ordinanza di demolizione del tribunale, potranno fare ricorso in appello. Anche quando un nucleo familiare dispone già di una abitazione il suddetto ddl riconosce l’abuso di necessità. Se poi l’affarista abusivo trova un prestanome nullatenente il gioco è fatto. Il ddl Falanga è di fatto una difesa ad una violazione di legge persino in zone ad alto valore paesaggistico ed ambientale: un modo facile per creare ricchezza.  Si può accettare l’abusivismo di necessità sulle coste italiane sfregiate da ville di lusso abusive?                                                                                                                                            L’abusivismo edilizio è figlio sia dei condoni di vari governi, da Craxi a Berlusconi, e sia della mancanza di una legge-quadro su un piano-casa nazionale, che determini i principi fondamentali a cui debbono ispirarsi le regioni nel redigere i piani-casa regionali, come previsto dall’art. 117 della Costituzione. Il Parlamento non ha a tutt’oggi deliberato un piano-casa nazionale e le regioni si sono regolate autonomamente varando piani-casa, uno diverso dall’altro, con continue varianti. Questa situazione ha finito per ignorare l’art. 9 della Costituzione, il Codice Urbani dei Beni Culturali e il Testo Unico per l’edilizia.                                                                                                          Dal 1946 ad oggi tutta la materia sull’uso dei suoli è stata complicata. L’Assemblea costituente nel 1946 aveva inserito, con l’art. 9 della Costituzione, tra i principi fondamentali dello Stato la tutela del paesaggio, attribuendola al Ministero dell’Educazione, ed aveva trasferito alle Regioni la materia urbanistica (artt. 117 e 118 Cost.). Però la precedente legge urbanistica del 1942 è rimasta in vigore, prevedendo che fosse il Ministero dei Lavori pubblici ad occuparsi dei piani territoriali di coordinamento collegati a piani regolatori comunali o intercomunali. Il problema è che di fatto le competenze dello Stato si sono quadruplicate: c’è il Ministero del Beni Culturali, il Ministero dell’Ambiente, il Ministero dell’Agricoltura e il Ministero dei Lavori Pubblici. In questo ginepraio le regioni e i Comuni  spesso hanno preferito mettere da parte le norme statali, lasciando proliferare due mali: la speculazione edilizia in zone di pregio e l’abusivismo in zone a rischio sismico  e idrogeologico. I Comuni, poi, hanno approfittato del fatto che manca un sistema di norme efficaci per combattere le collusioni tra funzionari pubblici locali e gli abusivi. E’ quindi necessario introdurre forme semplificate di controllo pubblico delle aree fabbricabili e non lasciare il fai da te agli enti locali.

 – Tutela della salute e del paesaggio.                                                                                                        Nel suolo, cioè nello strato più superficiale della terra, vivono miliardi di microorganismi che sono creature viventi e rappresentano un quarto della biodiversità di tutto il pianeta. Grazie alla loro presenza il suolo è fertile,  produce alimenti e legname, trasforma la materia organica, regola il ciclo dell’acqua, mitiga i cambiamenti climatici e conserva la biodiversità genetica. Questi sono i servizi eco-sistemici che il suolo non impermeabilizzato può offrire. Ma se il suolo viene ricoperto da cemento o asfalto si verifica un’alterazione definitiva delle sue caratteristiche naturali, formatesi nel corso dei secoli e dei millenni, e l’inevitabile perdita di tutte le sue funzioni eco-sistemiche. Pertanto il suolo essendo una risorsa preziosa, almeno al pari dell’acqua, dell’aria e del sole, va sottratto alla logica di mercato. Perché il mercato non tiene conto della salvaguardia del pianeta e della qualità della vita dei cittadini, avendo una logica imperniata su costi e profitti.  Salvare la natura significa quindi contrastare la perdita di biodiversità e i fenomeni di desertificazione. Per questo la tutela dell’Ambiente e del Paesaggio deve partire da quello agricolo-silvo-pastorale. Purtroppo le attività agricole sono state abbandonate e si è trascurata la manutenzione delle campagne, delle colline e delle montagne, con la conseguenza che si sono determinati dissesti idrogeologici e frane, spesso con danni economici e perdite di vite umane.                                                                                                                                               Salvare la natura significa anche contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici. L’ONU ha avvisato che nell’Europa Centrale e Meridionale i cambiamenti climatici porteranno ad una tropicalizzazione del bacino del Mediterraneo, con una riduzione del flusso idrico dell’80% in estate e un aumento dei temporali in autunno. Questi cambiamenti climatici avranno inevitabilmente un impatto sulle attività economiche e sulla salute dell’Ambiente. Per prepararsi a questo occorre in primo luogo pianificare le città ottimizzando l’acqua nei mesi di piovosità. In secondo luogo, essendo i cambiamenti climatici dovuti in buona parte all’effetto serra, prodotto dall’immissione di CO2 nell’aria, occorre ridurre drasticamente l’uso delle risorse fossili, principali responsabili della produzione di C02, ed  incentivare le energie alternative. Ma soprattutto si devono salvaguardare le foreste che ossigenano l’aria, le aree naturalistiche e quelle ancora libere, evitando che si impermeabilizzino con nuovi insediamenti edilizi residenziali e industriali.

– La programmazione edilizia deve tener conto dei parametri demografici.                                       Di nuove costruzioni non c’è bisogno in una società che diminuisce demograficamente: i giovani emigrano per lavorare e sempre più anziani scelgono di vivere gli anni della pensione fuori dai confini nazionali. Invece accade il contrario, visto che molti Comuni per fare cassa rilasciano le concessioni edilizie, pur sapendo che non ci sarà nessuno ad acquistare abitazioni in territori a crescita zero o negativa.                                                                                                                                    In generale l’aumento di popolazione incide direttamente sul consumo di suolo, in quanto ciò fa aumentare il fabbisogno di alloggi. In particolare anche l’aumento di popolazione immigrata incide sul consumo di suolo. Ebbene, in Italia ci sono forze politiche che vorrebbero  un numero consistente di immigrati non comunitari, prevedendo per legge la loro inclusione sociale e lavorativa a partire dal loro ingresso in Italia. Naturalmente questo tipo di inclusione andrebbe a cozzare con la necessità di dare un limite alla costruzione di nuove abitazioni, perché potrebbe non essere sufficiente a tale scopo il riuso delle aree già urbanizzate. Se si ponesse uno stop al consumo di suolo si porrebbe quindi il problema di fissare un limite all’ingresso nel nostro Paese degli stranieri non comunitari.

– Il riuso degli immobili abbandonati e la rigenerazione urbana.                                                             C’è un patrimonio edilizio immenso che può essere riutilizzato per contrastare l’ulteriore consumo di suolo.  I casi possibili di riuso sono: 1) gli immobili pignorati a cittadini non più in grado di pagare i mutui alle banche; 2) gli edifici non ultimati e non venduti di imprese edili fallite per esubero dell’offerta di immobili; 3) i capannoni industriali dismessi e abbandonati; 4) i negozi chiusi e invenduti; 5) i beni confiscati alla criminalità.                                                                                               La rigenerazione delle aree, oltre a riguardare gli immobili abbandonati, riguarda anche: a) la bonifica delle aree inquinate; b) la riforestazione delle aree verdi incendiate; c) la ricostruzione delle zone terremotate.                                                                                                                                    a) Per la bonifica delle aree inquinate il principio “chi inquina paga” è rimasto sinora lettera morta, in virtù della prescrizione penale e di quella economica, con il conseguente danno economico per l’Italia di svariati miliardi.  Attualmente si parla di ben 7.300 chilometri quadrati di aree inquinate sul territorio nazionale, con una popolazione  esposta alla contaminazione di queste aree pari a più del 12% della popolazione totale.                                                                                                                                                            b) Anche per la rigenerazione delle aree che hanno subito incendi deve valere il principio “chi provoca incendi paga”.                                                                                                                                                c) Per quanto riguarda la ricostruzione delle zone terremotate gli enti locali debbono tenere conto dei parametri di sismicità aggiornati dall’Istituto nazionale di geofisica e  vulcanologia che classificano il rischio sismico delle zone da ricostruire.  Nelle zone ad alta sismicità deve valere il divieto assoluto di consumare nuovo suolo perché più aumenta la superficie abitata e più saranno pesanti i danni (con più morti e più distruzioni). Anche sui terreni a rischio idrogeologico deve valere il divieto di ricostruire le case crollate dopo un sisma, perché più il terreno è franoso ed i materiali da costruzione sono scadenti e più i danni saranno peggiori. E più soldi pubblici ci vorranno per consolidare gli immobili danneggiati dal sisma.

 – Costituente dei beni comuni.                                                                                                                    Nel 2013 un gruppo di giuristi, presieduti da Stefano Rodotà, si sono riuniti al Teatro Valle di Roma per avviare la “Costituente dei beni comuni”, cioè una nuova disciplina per la gestione condivisa dei beni comuni (ad esempio caserme, aree industriali dismesse, fabbricati, capannoni ecc.) e dei beni confiscati alla criminalità, una volta assegnati ai Comuni dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati.  A quella riunione, a cui erano presenti i Movimenti per i Beni Comuni, si è stabilito che le popolazioni locali hanno diritto a partecipare ai tavoli sulla gestione condivisa delle cose, per proporre ai Comuni la funzione sociale da dare a queste, prevista  dall’art. 42 della Costituzione. Quindi i beni abbandonati, come pure i beni confiscati alla criminalità, non possono essere lasciati alla speculazione edilizia privata se si ritiene siano utili per lo svolgimento di una funzione sociale per le popolazioni locali, ad esempio per farne: laboratori, biblioteca, palestra, orto, asilo, mercato dei prodotti biologici, scuola di italiano per migranti, ecc.

 

 

Ddl “Norme per il contrasto al consumo di suolo, per il riuso di aree urbanizzate abbandonate e la rigenerazione di aree degradate”

Principi identitari e finalità della legge

1 – Il patrimonio culturale e ambientale è proprietà dello Stato.                                                           Le istituzioni pubbliche sono obbligate a tutelare il proprio patrimonio culturale e ambientale.         I soggetti titolari di competenze in materia di paesaggio, territorio, ambiente e agricoltura debbono essere coordinati dal Ministero dei Beni Culturali per evitare conflitti di competenza e lungaggini burocratiche.                                                                                                                               Non è permessa la vendita di beni culturali e di parti del paesaggio, anche se ciò viene richiesto dall’UE allo scopo di ridurre il debito pubblico.                                                                                         Fanno parte dei beni culturali: ville e palazzi storici, fortezze, borghi medioevali, monumenti, parchi e beni archeologici. Fanno parte del paesaggio da proteggere, oltre i suddetti beni culturali, i parchi naturali, le spiagge, le baie, i tratti costieri e il paesaggio rurale. In particolare il paesaggio rurale, comprensivo delle aree agricole e silvo-pastorali, deve essere tutelato promuovendo e valorizzando la sua sapienza locale nella difesa del territorio da frane e dissesti idrogeologici, dato che per secoli la manutenzione delle campagne, delle colline e delle montagne è stata affidata essenzialmente alle mani esperte delle comunità locali.

2 – Gli enti locali hanno l’obbligo di contrastare l’abusivismo edilizio abitativo e industriale.          Si ravvisa collusione tra gli abusivi e i Comuni, sia quando questi ultimi non eseguono le sentenze di demolizione di immobili abusivi e sia quando i medesimi non si attivano per impedire il verificarsi di incendi o di tagli non autorizzati dei boschi. Chiunque può segnalare alla Procura della Repubblica i casi di inadempienza da parte dei Comuni.                                                                                            Non si faranno ulteriori norme per condonare gli immobili abusivi.

3 – Il suolo è bene comune e risorsa non rinnovabile e non deve essere sperperato in attività edilizia non necessaria.                                                                                                                                  Per suolo s’intende la superficie terrestre costituita da componenti minerali, materia organica, acqua, aria e microorganismi viventi. Le istituzioni pubbliche hanno l’obbligo di contrastare l’ulteriore consumo di suolo. Per consumo di suolo s’intende la perdita della superficie agricola, naturale, semi-naturale o libera, anche in area urbana e periurbana, a seguito di interventi edilizi di abitazioni e infrastrutture.                                                                                                                          Le istituzioni pubbliche debbono dare priorità nella pianificazione territoriale alla destinazione agricola e naturalistica del suolo libero, compreso quello nelle aree urbanizzate, tendo conto che qualunque intervento edilizio determina irrimediabilmente impermeabilizzazione del suolo, in quanto impedisce all’acqua piovana di penetrare e di arricchire la falda acquifera.                            Le istituzioni pubbliche debbono provvedere ad ottimizzare  l’acqua nei mesi di piovosità poiché l’ONU ha avvertito che i cambiamenti climatici provocheranno nell’Europa Centrale e Meridionale una riduzione del flusso idrico nel periodo estivo dell’80% e un aumento delle piogge in autunno.                                                                                                                                  Non è più permesso trarre profitto dalla gestione dell’acqua.

4 – La programmazione edilizia deve essere fatta all’insegna del minor consumo di suolo libero e deve uniformarsi agli standard urbanistici previsti per legge, dando priorità al riuso e alla rigenerazione delle aree urbane abbandonate.                                                                                         La programmazione edilizia deve tenere conto dell’andamento nel corso degli ultimi 5 anni di due parametri: a) saldo demografico, che si ottiene da  (Nascite + Immigrati) – (Morti + Emigrati), e b) numero di abitazioni in vendita o sfitte, più il numero di abitazioni abbandonate, più il numero di edifici confiscati alla criminalità, più altri edifici industriali abbandonati.                                                  I suddetti parametri debbono essere certificati dall’Istat.  Nel caso in cui il saldo demografico risulti positivo, e le abitazioni in vendita o sfitte non coprono il fabbisogno, gli enti locali debbono dare priorità al riuso ed alla rigenerazione delle aree urbane abbandonate, con lo scopo di sostituire e di riqualificare l’ambiente già costruito. Solo nel caso ciò non fosse sufficiente a soddisfare le necessità abitative, è ammessa la nuova destinazione residenziale di suolo libero.                                                            Negli atti dei Comuni e delle Regioni debbono essere indicate: la valutazione d’impatto ambientale, la valutazione d’incidenza, la valutazione ambientale strategica, la verifica di assoggettabilità delle opere pubbliche e di pubblica utilità. Inoltre, in tali atti comunali e regionali deve risultare applicato il principio di evitare il consumo inutile e dannoso di suolo libero e di dare priorità alla rigenerazione urbana.                                                                                                                  La rigenerazione dei suoli deve riguardare anche: a) la bonifica delle aree inquinate; b) la riforestazione delle aree incendiate e la manutenzione delle aree per prevenire incendi; c) la ricostruzione delle aree terremotate.

5 – Gli enti locali debbono dare massima pubblicità ai processi di valutazione, formazione ed adeguamento dei vigenti strumenti urbanistici.                                                                                                                     Le popolazioni locali hanno diritto a partecipare ai tavoli sulla gestione condivisa dei beni comuni abbandonati, per proporre la funzione sociale da dare a questi, prevista  dall’art. 42 della Costituzione. Ad esempio per fare: laboratori, biblioteca, palestra, orto, asilo, mercato dei prodotti biologici, scuola di italiano per migranti, al posto di caserme, aree industriali e fabbriche dismesse, capannoni abbandonati, ecc. A tale scopo le regioni debbono redigere una disciplina per la gestione condivisa dei beni comuni abbandonati e i Comuni debbono aprire confronti pubblici con i volontari che si adoperano per la rigenerazione di aree dismesse.

Organi competenti in materia di contrasto al consumo di suolo, per il riuso di aree urbanizzate abbandonate  e la rigenerazione di aree degradate     

Censimento edilizio comunale e perimetrazione                                                                                          I Comuni singoli o associati hanno l’obbligo di redigere un censimento edilizio comunale quantitativo e qualitativo:                                                                                                                                 1) degli edifici sfitti pubblici e privati non utilizzati o abbandonati. Un immobile s’intende abbandonato se da almeno 5 anni: a) non viene utilizzato da nessuno, b) le tasse sull’immobile non sono state pagate,  c) il proprietario non è più reperibile o non ha risposto all’invito del Comune a presentarsi presso gli uffici, oppure si è presentato per dichiarare, di fronte a testimoni portati da lui, che non è più interessato all’immobile;                                                                                                  2) delle aree urbanizzate abbandonate. Un’area si presume abbandonata se per 5 anni consecutivi è stata lasciata senza manutenzione.  I Comuni per dichiarare  abbandonata un’area di campagna, di collina o di montagna sono tenuti a chiamare il proprietario a renderne conto. Se il proprietario non è più reperibile, l’area deve intendersi abbandonata e dichiarata tale. Se il proprietario, invece, si presenta in Comune per comunicare che non è più interessato all’area lo deve dichiarare di fronte a testimoni portati da lui;                                                                                                                     3) delle aree residue edificabili previste dagli strumenti urbanistici vigenti e non ancora costruite.    I Comuni hanno inoltre l’obbligo di redigere la perimetrazione:                                                                  –  a) dell’area urbanizzata esistente;                                                                                                                     –  b) delle aree residue edificabili, già previste dagli strumenti urbanistici vigenti, e non ancora costruite.                                                                                                                                                                  E’ fatto obbligo ai Comuni di pubblicare sui propri siti istituzionali tutti i dati sul censimento e sulla perimetrazione, aggiornandoli ogni due anni.                                                                                                                                                                                                                                                                              Se i Comuni non adempiono all’obbligo di redigere il censimento edilizio e le perimetrazioni non potranno rilasciare concessioni all’edificazione che comportino nuovo consumo di suolo. In tal caso potranno realizzare soltanto costruzioni già previste dagli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore della presente legge.                                                                                                                         Per la redazione del censimento e della perimetrazione delle aree i Comuni possono dare specifico incarico a dei professionisti, ai sensi degli artt. 359 e 481 del Codice penale.                                           I Comuni debbono segnalare annualmente alla regione o provincia autonoma le proprietà fondiarie ed edilizie in stato di abbandono o di degrado.                                                                          Le regioni e le province autonome hanno l’obbligo di tenere registri per le proprietà fondiarie ed edilizie in stato di abbandono o di degrado.                                                                                            L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) definisce i parametri e il criterio di rilevazione dei dati a cui gli enti locali debbono far riferimento. L’ISPRA ha l’obbligo di raccogliere i dati dei censimenti comunali per redigere una cartografia nazionale, aggiornata annualmente. Per tale attività deve avvalersi della collaborazione dell’ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente) e dell’APPA (Agenzie Provinciali per la Protezione dell’Ambiente). L’ISPRA e le Agenzie regionali e delle province autonome allo scopo di monitorare il consumo di suolo hanno libero accesso alle banche dati delle amministrazioni pubbliche comunali e regionali e ad ogni altra fonte informativa gestita da soggetti pubblici. La cartografia e i dati del monitoraggio del consumo di suolo vengono resi pubblici e disponibili dall’ISPRA annualmente, sia aggregati a livello nazionale che disaggregati per regione, provincia e Comune. I Comuni singoli o associati e le regioni possono inviare all’ISPRA eventuali proposte di modifica alla cartografia entro 30 giorni dalla pubblicazione sul sito dell’ISPRA. Entro ulteriori 30 giorni l’ISPRA deve pubblicare la versione definitiva dei dati dopo aver verificato la correttezza delle proposte di modifica insieme alle agenzie territoriali competenti. Le regioni e le province autonome possono promuovere, con uno stanziamento di fondi e con incentivi fiscali, la tutela idrogeologica, il recupero dei paesaggi rurali con  il re- insediamento di attività agricole-silvo-pastorali, il riuso a fini abitativi del patrimonio edilizio inutilizzato o confiscato alla criminalità.

Riuso delle aree urbanizzate abbandonate.                                                                                                   I Comuni, qualora non sussista nel loro territorio un reale fabbisogno di nuove costruzioni, sono tenuti a non prevedere nuovo consumo di suolo negli strumenti urbanistici.  Qualora sussista, invece, un reale fabbisogno di nuove costruzioni i Comuni dovranno programmare prioritariamente interventi di riuso, rigenerazione e riorganizzazione delle aree urbanizzate abbandonate. In tal caso si può cambiare la destinazione d’uso di rimesse, depositi e capannoni abbandonati, prevedendo che vengano adibiti a spazi per residenze, anche con l’impiego di nuove tecniche per la prevenzione dal rischio sismico e per il risparmio energetico.                                                                                                                                        Il riesame dei piani- casa regionali è previsto per: a) gestire correttamente il territorio dal punto di vista sismico e idrogeologico; b) il riuso di comparti industriali obsoleti o in disuso e di altri edifici abbandonati.                                                                                                                                                Qualora beni comuni dismessi e abbandonati ufficialmente, come ad esempio caserme o aree industriali, siano già stati rigenerati per svolgere una funzione sociale non possono essere venduti dai Comuni a privati. E’ prevista una sanzione pecuniaria per chi nei Comuni reca danno ai Movimenti per i Beni comuni che svolgono una funzione sociale in edifici rigenerati, già autorizzata dai Comuni medesimi.

Rigenerazione di aree inquinate, incendiate o terremotate.                                                                   Le regioni e le province autonome debbono dotarsi di esperti ufficialmente riconosciuti in scienze ambientali, che collaborino con gli organismi competenti nazionali.                                                                                        La rigenerazione di aree degradate:                                                                                                                               – a)  inquinate. Gli enti locali debbono provvedere alla bonifica delle aree inquinate, facendo valere il principio “chi inquina paga”, sancito dalla direttiva europea 2004/35/Ce. E’ fatto divieto di mandare in prescrizione penale ed economica i processi per procurato inquinamento di aree.                                                                                                                                                                        – b) incendiate. Gli enti locali debbono far valere il principio “chi incendia paga”. E’ fatto obbligo agli enti locali di mettere a punto un piano di prevenzione degli incendi delle aree verdi, a cominciare dai parchi naturali nazionali e regionali. Il piano di prevenzione degli incendi deve prevedere: 1) le attività di cura delle aree verdi-boschive per tutto il periodo dell’anno, comprendenti la pulizia dall’immondizia, la manutenzione del sottobosco, la creazione nei boschi di vie spartifuoco, sentieri e servizi antincendio; 2) i presidi adeguati dotati di fuoristrada attrezzati e autobotti per il periodo estivo. A tal fine è previsto anche l’impiego di volontari del FAI. Ogni delegazione FAI può adottare un’area verde abbandonata o vittima di degrado e attraverso eventi culturali, conferenze e iniziative restituirgli la dignità e l’importanza che merita per la storia della comunità. Deve essere previsto l’uso di droni per il monitoraggio delle aree a rischio che segnalano il pericolo incendi in tempo reale.                                                                                                                                                          – c) terremotate. Gli enti locali per i progetti di ricostruzione delle aree terremotate debbono rifornirsi presso l’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) delle misure di “accelerazione di gravità” e delle mappe su cui è basata la valutazione dell’azione sismica futura. In base a questi parametri si deve decidere come ricostruire.                                                                                                E’ fatto divieto di consumare nuovo suolo: nelle zone ad alta sismicità; su aree sabbiose o argillose; su frane attive o quiescenti; su terreni con rischio idrogeologico; su terreni vulcanici attivi.                                                                                                                                                                     Dopo un sisma è posto il divieto di ricostruire le case crollate sui terreni a rischio idrogeologico.

Contrasto all’abusivismo edilizio                                                                                                                      I funzionari comunali che non adempiono all’obbligo di far rispettare le sentenze di demolizione di immobili abusivi debbono essere rimossi dal loro incarico pubblico. Dovranno anche rispondere del reato di omissione di atti d’ufficio e di causare un danno erariale agli enti locali.                         Gli abusivi che hanno ricevuto già le ingiunzioni alla demolizione debbono demolire entro 30 giorni. In caso di loro inadempienza, i Comuni dovranno provvedere in proprio alla demolizione dei manufatti abusivi attingendo al Fondo statale per le demolizioni di costruzioni abusive, gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, e addebitando poi la spesa sostenuta e la sanzione ai proprietari.

Contrasto al consumo di suolo   e ottimizzazione dell’acqua                                                                                                                       I Comuni debbono promuovere la tutela del paesaggio agricolo anche stabilendo che  le mense pubbliche utilizzino almeno il 30% dei prodotti agricoli locali.                                                                    I Comuni e le Regioni hanno l’obbligo di tenere conto nella pianificazione territoriale della necessità di ottimizzare l’acqua nei mesi di piovosità, concordando con il Ministero dell’Ambiente gli investimenti in infrastrutture idrauliche di accumulo, già previsti nel documento “Strategia di adattamento ai Cambiamenti Climatici” e da attuare con il finanziamento statale.                                                                                                                          I Comuni e le Regioni hanno l’obbligo di non privatizzare le seguenti attività: monitoraggio e previsione meteo-idrologica, pianificazione degli usi a scala di bacino, manutenzione delle reti idriche, adeguamento degli invasi, costruzione e messa in sicurezza di nuove dighe, laddove sia possibile nell’ottica della negoziazione condivisa con il territorio.

Difesa dei beni pubblici                                                                                                                                                    Non è permesso dare concessioni in leasing di beni pubblici per più di 10 anni.                                    L’ organo tecnico del Ministero dei Beni Culturali autorizza l’esportazione all’estero di opere d’arte che hanno meno di 50 anni e solo dopo una valutazione del valore che non superi i 13.500 euro.                                                                                                                                                                     Le società private che gestiscono la bigliettazione dei monumenti storici, archeologici ed artistici non possono trattenere sul prezzo del biglietto più del 30%.

Forme di finanziamento                                                                                                                                     Il Governo garantisce, tramite decreto legislativo, forme di finanziamento, nel rispetto delle disposizioni europee in materia di aiuti di Stato, a progetti finalizzati a: bonificare e riutilizzare aree urbanizzate inquinate; rigenerare le funzioni ecologiche del suolo; creare aree naturalistiche protette, aree verdi pedonalizzate e piste ciclabili; mettere in sicurezza edifici pubblici e privati dal rischio sismico e dal rischio idrogeologico; riqualificare edifici pubblici per l’efficienza energetica ed idrica; prevenire il rischio incendi nelle aree verdi attraverso le attività di cura delle aree verdi-boschive e la creazione di presidi adeguati antincendio.                                                                           Sui  Comuni altamente sismici si dovranno concentrare i fondi di uno specifico Piano nazionale di prevenzione per la messa in sicurezza di borghi e centri storici, di monumenti ecc.                                                                                                                                               Il Governo verifica la congruità dei lavori svolti con i finanziamenti concessi agli enti locali, anche in forma di agevolazioni fiscali. Il Governo fornisce anche supporto tecnico e amministrativo a favore di imprenditori agricoli singoli, o associati in cooperative, per la demolizione di capannoni e altri fabbricati abbandonati e degradati.

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