Maristella
Voglio essere seppellita nella terra. Nessun simbolo, né di pietra né di ferro. Solo date e nome, se obbligatori per legge. Non voglio cerimonie religiose né di alcun genere, non voglio assoluzioni postume. Ognuno mi saluti come vuole e mi lasci al mio riposo. Desidero che nessuno torni più sul mio rettangolo di terra, nessuno torni a ricordarmi là, dove andrò in disfacimento.
Niente fiori di serra, ma solo di campo. E se possibile gradirei un arbusto di rosa selvatica piantato ai miei piedi.
Questo è tutto. Non mi sembra di dover aggiungere altro.
Per le scuse è tardi, per i saluti è presto. Non so e non voglio sapere quante altre mattine ancora mi sveglierò e vedrò il sole arrampicarsi sulla collina. Ogni attimo è unico e irripetibile e tutti vorrei viverli come tali per il tempo che ancora mi resta.
Vorrei sentire il mio cuore zampillare di emozioni fino al suo ultimo battito.
Ps: Mettetemi la gonna di seta indiana che troverete appesa nell’armadio in fondo a destra insieme alla cintura e ai sandali di corda: vorrei poter correre, se sarà possibile, senza impedimenti.
Trovarono il biglietto nel comodino di Maristella la mattina che morì, insieme a tanti petali di fiori e foglie secchi. I figli lo lessero ai nipoti.
Eseguirono a puntino i suoi desideri, che sembravano ordini.
Fu un funerale bellissimo. Ognuno la salutò a suo modo, ma nel rispetto delle clausole: niente fiori comprati, niente offici e sermoni, niente orpelli funerari.
Quando venne adagiata nella terra fresca e ritrovò l’odore dimenticato, la cassa di castagno ebbe un fremito come di germoglio.
Arrivò lui, il giardiniere. Piantò un tralcio di rosa canina con due chicchi di grano nello zeppo spaccato, la spinta alla vita.
Fece appena in tempo prima che scendesse la notte.
Maristella, rimasta sola, sognò di addormentarsi. E si trovò a correre come quando era bambina lungo il bordo del cielo.
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