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“Memoria di un ragazzo di serie B” di Odeh Amarneh

“Memoria di un ragazzo di serie B” di Odeh Amarneh
Luglio 27
12:39 2023

Memoria di un ragazzo di serie B, Calamus edizioni, dello scrittore e poeta palestinese Odeh Amarneh non è solo un romanzo, il libro è molto più che la biografia di un ragazzo “reale”, è molto più di un documento storico importantissimo, di quelli che non vengono pubblicati dalle case editrici di successo, troppo scomodo e compromettente denunciare certe cose. cose che la gente non devono sapere. La verità dà scandalo. Così troppo ristrette sono anche le categorie critiche di romanzo storico, romanzo biografico, perché una testimonianza tanto autentica è sempre un valore aggiunto ad ogni tipo di letteratura.

Il romanzo di Odeh è la storia vera di un essere umano, che tra sarcasmo e serietà racconta l’umanità, la sofferenza, la difficoltà e l’ingiustizia che ha subito il protagonista e ancora subisce il Popolo palestinese ogni giorno.

Odeh è un bambino nato negli anni Settanta a Ya’bad, città palestinese del Nord della Cisgiordania nel Governatorato di Jenin. Come tutti i bambini del mondo cresce amato dalla mamma e dal papà che lui ricambia vivendo con il suo sorriso aperto al mondo, con l’amore per i fratelli, per la scuola, per i compagni  di gioco, persino per il suo asino Jaber e il suo cane Chartok. Il solo peccato di Odeh è quello di essere nato nel posto sbagliato al momento sbagliato, per il resto lui è un bambino e non c’entra niente, non ha colpa. Infatti lui è palestinese, un aggettivo che evoca immediatamente una terra bellissima, dove per noi cristiani è nato e vissuto Gesù, ma subito riporta anche alle continue immagini di ingiustizie, di violazioni del diritto umano da parte di una occupazione feroce che da 75 anni non trova soluzione, riporta anche alle continue immagini di scontri e conflitti che hanno accompagnato tutta la nostra vita, non solo attraverso le notizie spesso filtrate e piene di pregiudizi che arrivavano dai giornali o dalla televisione, ma anche attraverso assemblee, sit-in, proteste e manifestazioni che gli italiani organizzavano e durante le quali indossavamo la kefiah per solidarietà, certo però in Italia non correvamo rischi. Il protagonista conduce una vita tranquilla e normale come quella di tutti i ragazzini della sua età finché un giorno si inaspriscono i conflitti, all’occupazione violenta dei coloni e delle truppe israeliane in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme, fanno seguito proteste e manifestazioni da parte dei palestinesi, i quali però non sono armati ma dotati solo di coraggio, forza d’animo e grande volontà. Siamo alla prima Intifada, Odeh ha solo sedici anni e si ritrova un giorno nel bel mezzo degli scontri, porta con sé la kefiah e la bandiera della Palestina, è giovanissimo e fiducioso nella vita, ma quando i soldati di Israele lo arrestano con la generica accusa di participazione ai disordini pubblici e alla rivolta nazionale, viene all’improvviso gettato in una realtà lontanissima dai sogni di un bambino quindi da un minorenne.

Per comprendere i particolari agghiaccianti e terribili delle carceri israeliane in Palestina è necessario leggere questo scorrevole, bellissimo e duro romanzo, tutto è spiegato dettagliatamente nel libro, è raccontato proprio dal protagonista che lo ha vissuto. Vi esorto alla lettura di questa testimonianza, è Odeh che scende per voi nei particolari di questo inferno. Qui non si tratta di carceri civili che riabilitano dalla pena ma sono carceri feroci dove non ti viene imputato nessun reato, non ti puoi difendere in un processo, non conosci i capi d’accusa, sei in galera e basta e tutto il resto diventa una farsa; il tuo avvocato, il tuo processo, i medici che dovrebbero curarti e invece ti consigliano di bere sei bicchieri d’acqua per ogni malattia che ti prendi. Il tuo nome è diventato un numero, Odeh si chiama 1997, un numero è meno che umano, non vedi più i tuoi familiari e chiaramente i tuoi familiari non hanno più notizie di te, non disponi di medicinali, il cibo è scarsissimo e immangiabile, impari a convivere con la fame, l’umidità e la sporcizia, il caldo torrido, il freddo acuto, non hai di che lavarti, quasi niente per vestirti, non c’è aria, non c’è luce, non c’è spazio.

Ti chiudono in stanze strettissime, in armadietti di ferro dentro i quali non ti puoi muovere. Ci sono i pestaggi continui, gli interrogatori inutili e finti, le umiliazioni fisiche e morali, le privazioni, le torture, le violenze immotivate, il bullismo, gli spostamenti continui da un carcere a un altro (Odeh ha conosciuto quelle di Jenin, Al Faràa, Megiddo, Anser 3, Daherieh), da un reparto a un altro, incontri le spie, gli arabisti infiltrati tra i detenuti, i traditori. Fuori dal carcere nessuno si fa vedere o sentire, si vive isolati dal mondo, Odeh racconta solo di due rare visite della Croce Rossa. Tutto questo accade ancora oggi ed è perpetrato da Israele che il mondo chiama “unico Stato democratico in Medio Oriente”.

Odeh è considerato un “cucciolo”, così viene chiamato in gergo carcerario, perché non ha ancora raggiunto la maggiore età, i cuccioli sono rarissimi, suscita tra i prigionieri tenerezza ma anche ammirazione. Il “bambino” è molto coraggioso, regge bene gli interrogatori, mantiene la forza e la volontà aiutandosi con i suoi ideali patriottici, con l’amore per la patria, esercitando la resistenza: «Nella vita c’è sempre qualcuno che fa e qualcuno che guarda. … Io per scelta o per caso mi sono sempre trovato dalla parte di quelli che fanno, qualche volta ne ho pagato care le conseguenze e altre volte ho goduto dei risultati. La vita è una ed io ho scelto di fare la differenza, sempre!» Lo scopo principale degli aguzzini è infatti fiaccare la volontà per estorcere una confessione, per questo chi resiste è un eroe, un combattente, un partigiano; anche Odeh è considerato un “eroe”, soprattutto dagli adulti, molti dei quali sono intellettuali, professori universitari, medici, scrittori, poeti, giornalisti. Sono tacciati di attivismo patriottico, sono considerati “menti pericolose”. Si tratta di un nuovo mondo del quale devi imparare presto le regole della sopravvivenza e il suo linguaggio: «Ci sono parole per ogni occasione, alcune servono per sollevare il morale, come chiamare la prigione ‘castello’, mentre altre sono scherzi, come la parola ‘ninja’, usata per indicare i detenuti che raccolgono la spazzatura e la portano fuori ogni mattina. Poi c’è il ‘fura’, il ‘fuori uscire’ o ‘l’ora solare’, riferito al momento in cui i prigionieri possono stare all’aperto. Poi ci sono i nomi per distinguere i detenuti dell’Organizzazione di Al Fatah, chiamati ‘fratelli’, quelli di Hamas ‘mujahideen, quelli della Jihad islamica ‘Hajj’, e infine quelli della sinistra ‘compagni’».

Quando infine Odeh esce dal carcere ha diciassette anni e non sarà mai più lo stesso. Ha imparato ancora bambino il significato della vita, dello “stare in questo mondo”, di tutto ciò che può esserci negli uomini e nelle donne di buono e cattivo. Uscirà di prigione segnato per sempre da una ferita aperta, da cicatrici indelebili ma capaci forse di trasformarsi all’occorrenza in punti di forza.

Lo stile del libro è asciutto e sincero perché questo richiede il racconto della verità, spesso il terrore si scioglie in una risata o in pianto, il carcere è una metafora drammatica e comica come sola sa essere anche la vita: «Per quanto brutta possa essere questa esperienza, la vita mi sta insegnando che c’è sempre del buono e del bello in ogni situazione. L’abilità per sopravvivere è trovare quella nota positiva». Una scrittura trasparente che è l’unica capace di usare chi non conosce l’inganno ma sa bene come praticare l’onestà. Il libro racconta molto anche della Palestina, la sua storia, le tradizioni, la famiglia dell’autore. Ne esce uno spaccato incantevole.

Così siamo ai giorni nostri, chiedersi cosa si può fare resta una domanda aperta, già solo interrogarsi è un compito importante. Una domanda alla quale Odeh ha risposto con il suo libro ed ora tocca a noi andare avanti! «Non so perché ma devo memorizzare ogni angolo, ogni ombra, ogni scritta sul muro. Voglio ricordare tutto… Forse un giorno scriverò un libro.» Non esiste solo indifferenza e qualunquismo, semmai il problema è la repressione quando si prova a risolvere la questione palestinese. Non riusciamo a uscire da un tipo di sistema capitalistico-imperialistico che impone a tutti obbedienza assoluta. Il problema è organizzare una resistenza che desideriamo pacifica ma non nel senso di retrocedere dai valori e dagli ideali, nel senso di una risoluzione che possa costruirsi attraverso il dialogo, il confronto, la disobbedienza civile di massa. Conosciamo prigioni di ogni parte del mondo, quelle delle dittature sudamericane, quelle in Grecia durante il regime dei colonnelli, Guantanamo, i gulag, Bolzaneto, le carceri dell’Apartheid in Africa, più di tutti sappiamo cosa successe nei lager nazisti. Questo è il triste refrain che tutte le guerre o i regimi portano con sé. Come può un uomo commettere i più efferati delitti? Penso che uomini e donne siano chiamati ogni giorno a scegliere tra il bene e il male e che la società civile dovrebbe mettere ognuno di noi in condizione di scegliere il bene.

Odeh ci fornisce un profilo di verità che ancora non conoscevamo, mettendosi in gioco, sappiamo tutti che non è facile raccontare fatti tanto drammatici della propria vita personale, perché l’accaduto ti lascia segni per tutta la vita, uno di questi la fiducia in te e soprattutto negli altri. Ma Odeh affronta con forza tutto questo, lui è un combattente, lo abbiamo detto, e non si ferma davanti alla paura di poter essere, da qualcuno, addirittura giudicato. Il suo amore per la verità, per la memoria, la storia e la libertà è così forte da far superare ogni ostacolo: «Sono un prigioniero per la Patria! Sono in carcere non perché sia un delinquente comune, io sono un eroe! Se riesci a fissare nella tua mente questo concetto riesci ad andare avanti e affrontare il carcere. Solo così riesci a guardare tutto ciò che ti accade e che ti circonda con occhi più sicuri, vivendo la situazione come un dovere del quale vai fiero. E’ un modo per riuscire a resistere e diventare più forte.»

Odeh descrive molto bene cosa siano il dolore e la sofferenza in una vicenda come quella che lui ha attraversato, come con l’amore possa essere superata, se mai possa essere superata una realtà simile. Personalmente posso dire che anche io conosco bene il dolore e la sofferenza, in circostanze del tutto differenti, ma ho trovato nel suo romanzo emozioni, stati d’animo e paure che ritrovo dentro di me. Voglio dire a Odeh che conosco quel tipo di giallo. Voglio dire anche che per la prima volta in vita mia, parlando del suo libro, parlo di qualcosa che riguarda me stessa e che per tanti anni ho rifiutato di accettare. Ho imparato però che la coscienza in alcuni difetta, in altri non vacilla mai. Che anche quando il dolore ti fa perdere ogni coordinata, bisogna essere molto forti e trovare nei propri valori e nelle proprie convinzioni il coraggio per resistere.

«Mi auguro che tutti i bambini palestinesi e quelli di tutto il mondo abbiano la possibilità di vivere in pace, di vivere una vita lontana da malattie, paure, fame e, soprattutto, dolore. Sogno che tutto l’odio che coviamo dentro, si trasformi in amore, tolleranza, fratellanza e pace. Spero che le nostre esperienze dolorose possano divenire esempio per tutti, che gli errori commessi non vengano ripetuti da altri, così che la sofferenza non si ripeta. E’ per questo che scriviamo, lo scrivere è un diritto, ma la lettura è un dovere umano ed un mezzo per conoscere l’altro e per non cadere nella trappola dei pregiudizi. Per tutto questo ci vuole tanto coraggio».

Oggi la Palestina si è notevolmente ridotta, basta controllare le cartine geografiche per vedere che di anno in anno i palestinesi hanno dovuto rinunciare alle loro terre, oggi auspicano ancora la soluzione a due stati magari anche qualcosa di più, ma il cammino è ancora lungo e noi ci auguriamo che percorrendo la loro strada i palestinesi possano incontrare tante persone di buona volontà per aiutarli. Un libro che sta facendo un successo inaspettato, mi ha detto lo scrittore, molto bello e da leggere, per chi fosse interessato, può trovarlo sulle maggiori piattaforme on-line.

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