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Storie di donne, nelle professioni interpellate solo per nome o apostrofate ‘massaia’

Storie di donne, nelle professioni interpellate solo per nome o apostrofate ‘massaia’
Settembre 29
19:05 2020

(Serena Grizi) Quando si è apostrofate o interpellate impropriamente meglio non tenerselo per sé. Lo leggiamo negli articoli della scrittrice Michela Murgia sulle ministre chiamate per cognome ma con l’articolo davanti, così da somigliare sempre al nome della vicina di casa (La Boschi, La Gelmini); le scienziate l’indomani di importanti scoperte scientifiche chiamate per nome di battesimo (e basta) sulle prime pagine dei giornali (Oh, sai cos’è che ha fatto la Pina?); la giornalista Concita De Gregorio chiamata in TV col solo nome di battesimo, a differenza dei colleghi uomini, dal giornalista Alessandro Sallusti (meglio non pubblicizzare le firme si sarà detto?). La storia di una avvocato, in una lettera alla rubrica Invece Concita. Il luogo delle vostre storie sul quotidiano la Repubblica, chiamata sempre e solo per nome di battesimo qualsiasi incarico, anche importante, avesse ricevuto….Ecco, questo quanto accade sui media ed anche vicino a noi. Esistono ambienti di lavoro meno formali dove le regole generali del tu e del nome senza titoli valgono per tutti, ma se non è così nel proprio perché accettare per se stesse un trattamento diverso?

Storia di Emma. Massaia. Suo malgrado…

L’amica Emma, giornalista anche lei, mi racconta e magari già pensa che da quel che mi dirà ne tirerò fuori qualcosa.

«Oggi sono andata dal direttore dell’ufficio nel quale lavoro per una sua firma su una semplice nota d’accompagno ad una richiesta di pagamento da inviare ad un utente: gestisco entrate di canoni d’affitto e sollecito le morosità. Non ci siamo capiti riguardo la semplice procedura che seguo di solito (con una firma sola, e non due, per motivi contabili) e lui ha posto una serie di difficoltà, non certo insormontabili a mio avviso, spiegandomele ‘in punta di diritto’ per impartirmi più di qualche lezione.

A quel punto gli ho detto che potevo rivedere il documento per velocizzare (non disturbandolo più) al che mi ha risposto che non è perché lo consideravo un rompicoglioni che potevo avere un approccio alla faccenda ‘da massaia’. Senza scompormi ho ribattuto che potevamo parlare ma dovevo concludere la nota che è uno tra le decine di compiti che devo svolgere: da sei anni gestisco centinaia di affitti senza un programma informatico, ‘a mano’ con l’ausilio di decine di fogli di calcolo, senza mai un giorno di formazione specifica. Al che il direttore ha proseguito dicendo che non avevo capito e ha seguitato a parlarmi come ad una bambina scema portandomi pure un esempio sul pavoneggiarsi femminile davanti allo specchio (dovevamo perciò pavoneggiarci), darci importanza ‘sulla carta’ dove lui non ci considera nemmeno in presenza. Non ho fatto una piega anzi l’ho invitato a non agitarsi, così ha voltato l’esempio anche al maschile (per par condicio?).»

Emma, pure amareggiata prosegue con più sicurezza:

«Ora. Il termine massaia è desueto e mi è chiaro il fine perfido e provocatorio col quale è stato pronunciato. Forse il direttore conosce massaie che hanno frequentato con profitto il liceo classico e scuola di giornalismo; iscritte all’ordine dei giornalisti da almeno cinque lustri, in formazione continua in quell’ambito; vicedirettore di un portale di informazione e cultura, che leggono decine di libri l’anno tra saggi e narrativa, hanno lavorato in più d’una multinazionale, e via dicendo… Magari il direttore conosce qualche massaia vera, una sopravvissuta con la sua cultura della praticità: in questo ha visto il diavolo, il dottore, nella mia osservazione ‘pratica’ per questione di tempo. Forse è vero, non stimo molto burocrazia e burocratese se fini a se stessi, buoni a produrre atti senza nulla cambiare della realtà, ma resto ben disposta a mediare, a rivedere. Per altro, pure se lui pare apprezzare solo uomini, laureati, nel mio lavoro io svolgo compiti che s’attagliano ai miei studi superiori, sono un istruttore amministrativo, non ho chiesto altro.»

Emma torna pensosa. Si chiede se fare entrare in questa storia il sindacato. Anch’io penso che bisognerebbe illuminare le zone d’ombra, si tratta di episodi non isolati capitati, mi dice, anche ad altri colleghi.

«Sì, – risponde Emma – ci sono problemi più gravi ma subire pressioni psicologiche che tentano di mettere sempre in forse la tua logica è pesante da subire. Essendo il direttore, non fa nemmeno mobbing, mirando all’autostima di chi ha puntato ma fa bossing, direttamente. Non credo serva essere paladine del #metoo per dire questo, ma la direzione paternalistica non mi piace, mentre mi interessa il mio lavoro e il cercare di farlo attenendomi alle procedure ma anche alla praticità.»

Emma ha più di cinquant’anni, ed anche se è ben conscia del mutare delle relazioni lavorative al di là del consentito, senza moralismi, che ravvisa di più in certe parole usate male e riferite chissà a quale preconcetto, le piacerebbe che le si chiedesse scusa.

***

Spigolando quanto letto e sentito questa settimana, riporto anche altre ‘correnti di pensiero’ sulle critiche sistematiche, spesso, alle donne: c’è un coach in rete, dal sorriso accattivante e belloccio che va dicendo quanto sia sprecato quel tempo dedicato a pensare a chi ti critica, a chi ti dice come dovresti essere, come dovresti ragionare. Spreco di tempo anche solo pensarci. Qualcun altro commenta che ognuno parla di ciò che conosce, il direttore protagonista di questa storia le massaie, evidentemente, ma qui si vorrebbe non se n’avesse a male nessuno. Soprattutto le massaie, ammesso ce ne siano ancora d donne che amano definirsi tali, quelle che non lo sono state, diciamo, loro malgrado.

Ma attenzione anche ai censori severi, quelli che vengono a dirvi cosa fare e cosa non fare per non essere apostrofate o chiamate in certo modo, perché sono quelli che insistono a dare la colpa a voi di quello che succede, non al pregiudizio, duro a morire, che quel che fa una donna è sempre meno importante.

Per altro; alcune battaglie, anche solo terminologiche vanno fatte: se non per se stesse, per le altre, per gli altri, per chi non sa difendersi, per chi non vede rispettate attitudini e peculiarità; e che la misoginia si nasconda spesso nei termini è cosa risaputa. Vanno fatte per chi non riconosce, in casa o sul lavoro, nella negazione reiterata all’accoglimento del proprio metodo, della propria logica, del proprio ragionamento e modo di vedere, benché questi magari conducano allo stesso risultato che ci si aspetta, come nel caso di Emma, un attacco al proprio essere. Come scriveva Danilo Dolci, sociologo, poeta e attivista non violento: «Ostacolare la creatività è un aspetto della violenza»; e non è questa, invece, l’epoca della responsabilità del proprio lavoro, grazie anche ai compiti gestiti in modalità smart in ambienti diversi da quelli abituali, in casa per esempio, dove ognuno, una volta compreso l’obiettivo, opera al proprio meglio, mettendoci creatività, cercando soluzioni originali? O queste sono, e resteranno, tutte chiacchiere?

Immagini web: in apertura la tipica Massaia Salentina; copertina di periodico del Ventennio

L’articolo con altro editing è apparso sul quotidiano la Repubblica del 17 ottobre nella rubrica della giornalista Concita De Gregorio Invece Concita ed è tuttora visibile nel blog omonimo al link https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2020/10/17/un-approccio-da-massaia/

 

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1 Commento

  1. Maria Pia Santangeli
    Maria Pia Santangeli Ottobre 15, 18:28

    Cerco di non perdere gli articoli di Serena Grizi: li trovo sempre interessanti, mai banali. In questi ultimi mesi, poi, si è occupata in particolare di donne. Dalla parte delle donne. Anche in quest’ultimo articolo tocca questo tema, che in quanto donna non può lasciarmi indifferente. Certo il paternalismo maschile può sembrare una “stupidaggine” paragonandolo al femminicidio. Semplici parole, piccoli gesti, eppure alla base c’è sempre il senso di superiorità di un sesso sull’altro. Certamente questo senso di superiorità non è generalizzabile. Ma sopravvive, spesso inconsapevolmente, tanti sono i secoli di supremazia che pesano nella nostra cultura sulle donne.
    Serena Grizi auspica una maggiore solidarietà nel mondo femminile. Necessaria, indispensabile invece della rivalità, molto comune, purtroppo. Oltre a questo per risolvere molti inutili conflitti, molte frustrazioni, sarebbe bene che il sesso, che soffre di superiorità, imparasse ad ascoltare le donne, non solo con le orecchie e a riconoscerne serenamente il valore. Non facendolo perdono molto della vita.

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