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‘Suite francese’

‘Suite francese’
Dicembre 05
12:25 2015

Una scrittura di amplissimo respiro, ricca e capace di sondare l’animo umano fin nelle pieghe oscure, è ciò che si può affermare, fra altre peculiarità, ha fatto la fortuna di Irène Némirovsky, autrice a cui, ormai da anni, Adelphi ha donato una seconda vita pubblicandone le opere. Il libro in questione oltre che postumo è incompiuto perché parte di un progetto più grande che l’autrice non riuscì a terminare causa la tragica deportazione e morte nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1942; costretta a lasciare d’improvviso ciò che stava scrivendo, avendo chiara visione della catastrofe imminente che l’avrebbe coinvolta di lì a poco. La grandezza del suo scrivere che implica la capacità di mettere insieme gli opposti, rendere caricaturali le cosiddette persone ‘perbene’, guardare con bonarietà o il suo perfetto contrario a persone ricche ed eleganti e di buon gusto come alle più umili figure che potevano attraversare la scena del mondo all’indomani dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, confermerebbe che gli scrittori più bravi possiedono uno speciale terzo occhio che non può rimuovere le osservazioni, anche le più scomode, quelle che possono davvero dire, raccontare, attorno ad un’epoca, alla sua realtà, ai suoi fantasmi. Dopo aver letto le sue pagine capita di considerare la guerra in modo nuovo (nel romanzo la città di Parigi si svuota all’arrivo degli occupanti nazisti): ciò che è ora era già allora, ciò che crediamo possa sublimare caratteri e situazioni, la guerra, probabilmente non lo può fare e non lo ha fatto restituendo, come un’onda di tsunami su una già malandata battigia, crudeltà e bontà uguali a se stesse ma lette ‘soltanto’ secondo un ordine diverso perché la guerra ‘stava accadendo’. Sfilano gallerie di personaggi: la borghese famiglia Péricand che paga un suo grosso tributo al massacro; lo scrittore Gabriel Corte, ebbro dei suoi successi sociali, i modesti coniugi Michaud che vagano dietro il trasferimento della filiale della banca per la quale lavorano; Charlie Langelet, amante delle sue porcellane e d’una bellezza che non potrà che affrontare in malo modo l’orrore totalizzante della guerra. E poi nel secondo capitolo, Dolce, la bella e infelice Lucile innamorata dell’elegante ufficiale tedesco Bruno, nonostante tutto. Il nodo del romanzo, così dolente e misterioso, è l’irriducibilità dell’umano: i nazisti, gli invasori, quelli che spazzeranno via anche Irene e suo marito, Michel Epstein, oltre ad essere i disprezzabili invasori sono rappresentati come portatori d’un romanticismo melanconico che sembra abbracciare la morte, la loro stessa fine, ad ogni movimento: fra loro l’inconsapevolezza della fine imminente, del crollo del folle progetto hitleriano. Fra esistenze reali e letterarie interrotte il lettore trova, ineffabile, la vita… scritto da Serena Grizi

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