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The Cut – Lo Strappo

The Cut – Lo Strappo
Dicembre 17
17:11 2013

mgf3wIl potere dell’immaginario per dire di NO alle MGF. 

La scrittrice afro-americana Alice Walker ha scritto che salvarsi è prendere coscienza e credo fermamente che prendere atto, riconoscere pubblicamente un determinato problema sociale è il primo traguardo importante per superarlo. Le mutilazioni genitali femminili (MGF) rientrano in questa sfera di problematica sociale di cui spesso non si parla, un po’ per mancanza di un linguaggio adatto, un po’ perché costituisce ancora un tabù e poi per paura verso ciò che è profondamente lontano dal nostro modo di pensare. Le MGF sono una piaga che investe 140 milioni di donne in tutto il mondo. Di queste 500 mila sono le donne che solo in Europa hanno già subito una forma di MGF, 180 mila sono ancora a rischio. In Italia sono 35 mila circa le bambine già mutilate con una media di 3 mila bambine a rischio ogni anno. Le MGF sono una pratica tradizionale, una convenzione che diversi popoli hanno radicata all’interno della loro società. E’ praticata nei cinque continenti e non ha legami con alcun precetto religioso. E’ importante dire questo innanzi tutto per sfatare alcuni miti che interpretano le MGF come un atto religioso, e poi per qualificare questa pratica come un problema globale non già limitato alle zone dove è endemico, infatti grazie alle migrazioni, ha varcato i confini “tradizionali”.

E’ importante dire che vi sono alcuni aspetti che non si conoscono circa le MGF e che sono una delle cause di incomprensione e pregiudizio diffuse. Nelle società che le praticano, le MGF non rispondono solo ad una esigenza culturale e sociale ma anche economica; i migranti nei cui paesi di origine si pratica, continuano spesso a praticarla per rispondere ad una esigenza di inclusione: le donne non mutilate vengono escluse dal clan, dalla famiglia, impossibilitate a sposare un membro della propria comunità. Spesso quando le coppie sono frutto di unioni di persone di diversa origine e sopra tutto quando l’uomo proviene da un paese che pratica le MGF, allora può accadere che le bambine vengano sottoposte a questa immensa tortura poiché è proprio di questo che si tratta. Le MGF sono una gravissima violazione dei diritti del bambino e della donna e nonostante l’esistenza di una normativa a livello internazionale, esse continuano ad essere praticate: questo significa che non è possibile fare affidamento unicamente sulla legislazione. Occorre che il cambiamento avvenga internamente alle varie comunità che le praticano, come  frutto di una consapevolezza acquisita nel confronto con l’alterità; per questo il ruolo delle comunità migranti diventa essenziale in quanto possono costituire il ponte di collegamento tra culture che penano e agiscono diversamente. La violenza e la discriminazione di genere che sono alla base delle MGF sono un fatto culturale e in quanto tale richiedono un percorso culturale per decidere di cambiare rotta.  Recentemente, a Nairobi,  lo scrittore somalo Nuruddin Farah ha detto che come la “cultura cambia ed è già cambiata: si veda l’avvento di  computer, social network, I-Phone nella vita di tutti ormai, tanto per citarne i simboli più popolari; così si può cambiare la cultura anche quando si tratta di questioni come le MGF”.

Ho cominciato ad occuparmi di questa tematica diversi anni fa in Kenya quando a Mombasa lavoravo in un centro culturale gestito da donne. Lì avevo avuto la mia prima esperienza di interazione con donne mutilate. Un cenno a questo tema l’ho anche inserito nel mio testo teatrale Io …donna… immigrata …  poi nel 2011 ho fondato a Cape Town un collettivo di donne sudafricane e migranti da altri paesi africani con cui ho lavorato ad un progetto di scrittura e diritti umani.  Dal lungo e intenso lavoro del Gugu Women Lab (il nome del collettivo) è scaturita una mole di lavoro considerevole  che per motivi di circostanza ho “ridotto” nella performance poetico musicale The Cut – Lo Strappo che sto presentando in Europa.  Si tratta di un testo che nasce come impegno collettivo per raccontare il percorso di dolore e sofferenza, di perdita di identità di sei donne mutilate, sei storie vere che nell’arte hanno trovato il giusto modo di essere valorizzate.

L’arte come linguaggio capace di tradurre il dolore, raccontarlo e condividerlo. Decidere di aprirsi agli altri e confrontarsi apertamente su una esperienza come quella delle mutilazioni, è un segno tangibile di una presa di coscienza, di come sia possibile ricominciare a far parlare il proprio corpo mutilato, di farlo rivivere e di ricostruire una identità spezzata da un “mito”. Il potere dell’immaginario è straordinario, l’arte è lo strumento, il linguaggio che ci permette di umanizzare il mondo che ci circonda e dunque, anche attraverso di essa, è possibile contribuire al cambiamento.

La performance poetico-musicale The Cut-Lo Strappo è diventata tale per rispondere meglio anche ad un target di giovanissimi, perché  mio obiettivo primario è di portare l’attenzione su questa tematica ai ragazzi, al fine di promuovere un dialogo pubblico che poi automaticamente diventa motivo di riflessione nel privato. I ragazzi prendono parte alla performance, ne parlano in classe e a casa, così da creare un linguaggio comune per discuterne poi collettivamente a tutti i livelli e in contesti diversi. I giovani sono importanti interlocutori considerando che l’età in cui le MGF vengono praticate arriva fino ai 15 anni e poter conoscere questa esperienza, che può riguardare compagne di classe e amiche, ne semplifica il confronto. Attraverso l’emozione  che la poesia produce in chi ascolta e partecipa, accompagnata da una musica con una storia millenaria, fa automaticamente nascere una forte empatia per quelle donne che hanno tradotto il loro dolore in una esperienza positiva.

Tra i futuri obiettivi c’è quello continuare a presentare The Cut-Lo Strappo, fare formazione (per educatori, mediatori, genitori, docenti, etc…) e non da ultimo quello di realizzare un film che si discosti dalla visione antropologica sul tema. Esistono molti documentari a riguardo e credo che siano più per addetti ai lavori. La mia idea del film, invece, è quella di esplorare la sfera emotiva e sensibile di chi è vittima di MGF, di chi le pratica e di coloro che ruotano attorno a queste due entità: uomini, famiglia, gruppo di origine, la società, sempre unendo i linguaggi della realtà e dell’arte.

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