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Un caffè napoletano corretto al Brasile

Un caffè napoletano corretto al Brasile
Aprile 07
21:33 2013

Non è la prima volta che assisto a un lavoro teatrale firmato e interpretato da Teresa Polimei, ma ogni volta rimango basito e un po’ disorientato: pur essendo per mia natura aperto a considerare le molteplici facce della personalità umana, non riesco a immaginare Teresa nei panni del severo e razionale ingegnere impegnato nello svolgimento dei compiti dirigenziali che il suo lavoro all’ENEA le impone. Per me, che l’ho conosciuta da sempre come attrice e regista teatrale, Teresa è questa, è la napoletana che ha nel sangue l’innato dono del comunicare con la voce e la gestualità, strumenti primari e indispensabili del vero attore.

Insomma, ancora una volta l’esempio di Anton Cecov, noto a tutti come grande scrittore ma medico per professione, conferma che la vocazione vera non può essere soffocata dall’impellenza del vivere quotidiano: noi siamo veramente ciò che la Natura ci chiama ad essere e questo i nostri padri latini lo chiamavano “vocazione”, da vocare=chiamare, invitare. Questa volta, però, il mio rinnovato stupore si è arricchito di una nuova scoperta: il marito di Teresa, Mario Albanesi, anche lui ingegnere di professione ma validissimo musicista e regista per ‘vocazione’. Un caffè napoletano corretto al Brasile è l’ultima felicissima fatica teatrale firmata e interpretata dalla coppia Polimei-Albanesi, di cui un selezionato pubblico ha potuto godere alla “Casa Internazionale della Donna” nello storico quartiere romano di Trastevere, il 9 febbraio scorso. Un lavoro originale e molto godibile, che ha focalizzato l’attenzione del pubblico per circa due ore alternando recitativo a musica. La regia, infatti, ha saputo sapientemente dosare queste due forme di comunicazione intrecciandole in un unico tessuto teatrale, con l’ordito costituito da brevi sketch recitati con grande bravura, oltre che da Teresa, da Anita Arena e Antonella Raimondi, e con la trama musicale di brani del repertorio classico napoletano e brasiliano interpretati con grande professionalità da Mario Albanesi alla chitarra e dal maestro Davide Mengarelli alla fisarmonica, con la bellissima voce di Carla Castigliola, che dietro la maschera professionale dell’ingegnere ha rivelato il suo volto di autentica cantante, costituendo per me una nuova scoperta. Al bravissimo Egidio Manna il difficile compito del narratore, interpretato con grande originalità e napoletanità nei panni di un Pulcinella che, fuori scena, introduce di volta in volta i vari episodi. Il significato del testo proposto da Teresa e Mario sembra quasi la trasduzione teatrale di uno scritto del matematico Giorgio Kock, comparso nel 2007 sulla rivista «Sapere», intitolato Uguali e diversi,1 dove, con grande acume, viene proposta l’applicazione del teorema della scambiabilità di Bruno de Finetti a vari campi che trascendono quelli strettamente scientifici, come quello della convivenza umana. «Uguali e diversi: siamo portati in generale a considerare le due proprietà come opposte e la loro coesistenza come un evidente ossimoro. Viceversa, come vogliamo qui sottolineare, in diversi aspetti della scienza, e più in generale della attività umana, è proprio l’essere insieme uguali e diversi che consente di avere uno sviluppo, una prospettiva; mentre l’una o l’altra proprietà, separatamente, conducono a situazioni banali, o a punti morti». Ci piace qui riportare proprio l’incipit di quell’articolo, perché ci sembra molto pertinente al lavoro teatrale di Teresa e Mario: la diversità “parallela” delle vite e dei Paesi d’origine delle tre donne protagoniste alla fine si risolve nella “convergenza” dell’uguaglianza dei loro desiderata: lavoro, amore e matrimonio. Insomma, diversi sì, ma anche uguali nell’essere diversi. La loro diversità-uguaglianza alla fine è quella che permette il dialogo fra le tre donne, con un arricchimento spirituale reciproco. Tre donne si incontrano e chiacchierano sullo sfondo di un vicolo di Napoli a due passi dal mare, raccontandosi le loro storie fatte di incontri con personaggi vicini e lontani. Napoletana una, brasiliana la seconda e italiana del nord la terza, le tre donne hanno linguaggi e punti di vista molto lontani, che rispecchiano le lontananze geografiche dei loro luoghi d’origine. La napoletana esprime con la pucundria alle altre due tutta la sua napoletanità, la brasiliana prepara la caiporinha, bevanda tipica brasiliana, che offre alle altre gabellandola per una miracolosa medicina in grado di lenire i loro affanni psicologici, mentre la terza pur vantando quasi astiosamente la sua estraneità ai “terroni” in realtà, sotto sotto, ne è affascinata. Insomma il paesino dell’Italia del nord, Napoli e il Brasile, lontani geograficamente, si rivelano in realtà nei discorsi delle tre donne emozionalmente un unico luogo, fatto degli stessi struggenti sentimenti di malinconia e nostalgia. Ma cosa può suggellare ancor di più questo loro essere uguali nel diverso se non splendide canzoni napoletane e brasiliane che alternandosi sembrano quasi fornire la dimostrazione matematica del tendere asintotico allo stesso punto?
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1 «Sapere», v. 73, n. 5, Ott. 2007.

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