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Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 3

Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 3
Maggio 19
00:00 2012

qqqGiorno di festa
(da Campo di grano – giochi, istruzione, mestieri nella Ciampino del dopoguerra). La domenica mattina ci laviamo a turno nella tinozza, davanti alla fiamma del camino. Ci laviamo anche i denti, col sapone da bucato strofinato sullo spazzolino. Indossiamo i panni buoni e per ultimo curiamo i particolari. Con la brillantina Linetti si unge tutta la famiglia, anche la pelata di nonno Gigi, anche il pelo del gatto che imbrillantino di nascosto. Sul davanzale della finestra della sala c’è un frammento di specchio considerato mio personale, scrostato dall’umidità: mi riflette immersa nella nebbia, bella e irreale, senza nemmeno una lenticchia sul naso. Là davanti mi pettino e mi faccio le linguacce. Prima di uscire ci ispezioniamo a vicenda, un tocco e un ritocco e via in fila lungo la stradina, per lasciare libera la corsia di sorpasso riservata agli animali da tiro. A quest’ora dei giorni di festa si va tutti nella stessa direzione: alla Cattedrale di sant’Andrea.

Lungo la strada saluti scherzi e scambi di notizie, una sorta di settimanale completo di cronaca rosa e cronaca nera, di previsioni sul tempo e sull’annata. La messa dura parecchio, il prete pare sempre arrabbiato e sgrida tutti per indurre a riflettere sulla gravità dei peccati commessi. I peccati li commettiamo tutti, ma c’è una bella differenza fra peccato veniale e peccato mortale: se muori in peccato mortale vai dritto all’inferno, se invece sono veniali li vai a scontare in purgatorio prima di salire in Paradiso. Molto dipende dal confessore che trovi, secondo la penitenza che ti tocca ti fai un’idea del debito che hai verso Dio. Comincio a pensare che ci voglia un ragioniere d’eccezione, per fare certi calcoli.

Colazione in piazza, pizza e prosciutto, uova sode, ciambelle e ciambellette e un goccio di vino per mandare tutto a buon fine. Poi si riprende la strada del ritorno ma camminando piano, tipo passeggiata. Dalle finestre spalancate arriva il suono della radio; le voci vellutate di Giorgio Consolini, Claudio Villa, Giacomo Rondinella e Carla Boni dolcificano l’aria, accompagnate dall’orchestra di Armando Trovajoli. In campagna la radio non ce l’ha nessuno, ma tutti la vorrebbero avere. La canzone in voga quest’anno è Terra straniera e fa scappare le lacrime; a Subiaco tutti hanno un parente, un vicino, un conoscente emigrato. Tanti paesani sono emigrati in passato, anche la mia famiglia. Ma non si sono allontanati troppo e ogni tanto si rifanno vivi. Invece chi parte emigrante negli ultimi anni non torna quasi mai. “…Terra straniera quanta malinconia…” e la terra straniera appare come un bosco intrigato da cui non si torna indietro. “…Ma penso notte e dì alla mia casetta, alla mia vecchietta, che sempre aspetta…“. Un bosco che imprigiona con mille braccia l’emigrato perduto per sempre agli affetti. I pianti si sprecano, le canzoni sono commoventi come i film.

Pranzo della festa, e nel pomeriggio musica, canti e balli. Nonna Maria è uno schianto, sventola le sue cento vesti e la sua faccia si fa bella e ardita mentre guarda di sguincio ora gli uomini ora le donne allineati su fronti avversi; emozioni violente per me, coinvolta nei giochi erotici e innocenti ereditati nei secoli.

Oggi è festa di nozze; la sposa in tailleur color panna, coperta d’oro e con l’aria trasognata, e lo sposo in doppiopetto e cravatta e la faccia inondata di sudore. Sono sposini freschi ma non di giornata, festeggiano la prima settimana di matrimonio. A tavola li ho di fronte, non mi perdo uno sguardo né una parola. Quando lui le parla all’orecchio, lei abbassa lo sguardo e arrossisce fino alla radice dei capelli. Le mani dello sposo non stanno mai ferme, la tovaglia sventola come mossa dal vento, ma l’aria è ferma. Scivolo dalla sedia e infilo lo sguardo sotto il tavolo, lo sposo attorciglia una gamba a quella della sposa, che sembra ritrosa. Conosco questo modo di comunicare, l’ho già visto durante le tombolate a Natale. Lui le chiede: “Stasera lo rifacciamo, eh, bella, lo rifai con me?”. E la ‘bella’ sciolta in una fiammata, lo scosta un poco, ma solo un poco e mormora: “Sta buono, lo vedi, ci guardano…”. Allora lo sposo la prende fra le braccia e la conduce in un giro di valzer, e girando girando la porta fuori dalla cerchia e scompaiono verso il fienile ma nessuno se ne accorge, così almeno credo, anche se mi sembra strano che nessuno faccia caso a loro che sono i festeggiati. Tornano, lui con gli occhi lustri e lei con un mezzo sorriso, e riprendono a mangiare e a bere con grandissimo gusto come se fossero digiuni da giorni. Zia intona la canzone che parla di una sposa che la prima sera si mangiò una cosa leggera, la seconda sera la stessa cosa leggera con un’altra più sostanziosa e va avanti la tiritera fino a che le portate diventano un centinaio, ma non saziano la sposa. Battimani agli sposi, agli invitati, a chi ha cucinato, a chi ha mangiato, a chi ha suonato e cantato. E alla fine di tanta candida orgia auguri e figli maschi e un sialodatodio per la bella giornata.

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