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Vergarolla: 18 agosto 1946

Vergarolla: 18 agosto 1946
Agosto 16
12:57 2012

Vergarolla-CIPPOVERGAdesso che sono cominciate le vacanze, i ragazzi, felici e contenti, invadono le spiagge e giocano allegramente. Fanno bene. Ma noi non possiamo non ricordare che il 18 agosto del 1946, ad un anno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma un anno prima del trattato che cedette anche Pola alla Jugoslavia, altri ragazzi italiani giocavano allegramente nella loro ridente spiaggia di Vergarolla, a Pola. La guerra era finita e il caldo consigliava di restare in spiaggia anche il pomeriggio. Molti avevano portato qualcosa da mangiare e all’ora di pranzo stavano consumando i panini, altri erano ancora attenti alle gare di nuoto che avevano impegnato molte speranze locali.

Nessuno dava importanza alle grosse mine disinnescate da tempo dai bravi marò della San Marco e accumulate in un angolo. Anzi qualcuno aveva deposto i propri panni, come ormai era abitudine fare, proprio all’ombra di quelle mine, tranquillo e sereno. In un attimo tutto ciò fu sconvolto da un boato terribile derivato dall’esplosione a raffica, una dopo l’altra, di quella trentina di mine. Il disastro fu immediato. Centinaia i feriti e diverse decine i morti. Il fatto tremendo è che furono nella maggioranza bambini, che stavano giocando allegramente in una tranquilla giornata di agosto. E in quella tranquilla giornata di agosto tutta Pola vide il fumo che si alzava nel cielo e gli inconsapevoli gabbiani che, da bravi spazzini, svolazzavano con in bocca i brandelli umani provocati dall’esplosione. Tutti i cittadini di Pola si resero conto, in quel momento, che per loro la guerra non era finita, anzi diventava impellente la necessità di scappare, di andarsene, perché si erano resi immediatamente conto di quello che gli organi ufficiali hanno ammesso solo dopo molti anni: si trattava di un attentato voluto da Tito contro la popolazione italiana. Questo episodio ritorna prepotentemente alla mente dopo il recente attentato di Brindisi, in cui alcune ragazze innocenti sono state uccise o rovinate per sempre. Ora si sa anche nome e cognome di chi, per ordine dell’OZNA (polizia segreta della Jugoslavia facente capo a Tito), aveva nottetempo riattivato le mine e, postosi a discreta distanza, le aveva fatte esplodere nel momento di massima affluenza. È un nome che qui non vogliamo ricordare. Invece in quel lontano giorno del ’46, a Pola rifulse la gloria di un italiano il cui nome non deve essere dimenticato. Di lui, Giuseppe Micheletti, vogliamo ricordare che era un medico e lavorava all’ospedale maggiore di Pola dove, da subito, arrivarono le ambulanze con i superstiti ridotti in stato pietoso che da lui furono curati. Mentre stava così lavorando, gli inservienti gli mostrarono, tra i morti, il corpicino di uno dei suoi due figli, di sua sorella, del cognato e non poterono mostrargli l’altro figlio, di cui non si trovò traccia o quasi. Nonostante la voglia di correre dalla moglie per consolarla, non si mosse dall’Ospedale e per altre ventiquattrore operò, tagliò, cucì e rese possibile la vita a centinaia di persone. Riteniamo che un pensiero reverente, anche qui ai Castelli Romani, debba andare a questo medico che perse tutto in quell’attentato tranne l’onore. Egli rappresenta il tipo di italiano che noi amiamo e che speriamo sopravviva a questi tempi turbolenti. Noi tutti gli diciamo: Grazie, dottor “Geppino” Micheletti.

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