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Yoga e quotidianità – 2

Marzo 25
09:46 2010

In questa puntata ci soffermeremo sullo sviluppo del nostro essere nella direzione dell’autorealizzazione o, per usare un linguaggio più comune, della riappropriazione del senso della nostra vita. Facendo riferimento allo yoga classico di Patanjali, così come ce lo ha presentato nel suo Yoga Sutra, troviamo i primi due “angayama e niyama (astinenze e osservanze).

 Questi sono le regole etiche e morali di relazione con gli altri e con se stessi che, con i dovuti adattamenti, sono appartenuti e appartengono ad ogni cultura e civiltà in ogni tempo: ahimsa, satya, asteya, brahmacharya, aparigraha, (non usare violenza, non dire il falso, non rubare, non essere lussuriosi, non essere possessivi); sauca, santosa, tapas, svadhyaya, ishvarapranidhana (purezza, contentezza, austerità, studio di sé, abbandono al signore)… Qui Patanjali evidenzia che per poter intraprendere un sano e fruttuoso cammino nello yoga è necessario essere a posto colla propria coscienza. A questo riguardo credo che tutti conosciamo, per esperienza diretta, la forza dell’agitazione e del disagio psicologico proveniente dall’evadere queste regole. Sappiamo, quindi, che la nostra serenità d’animo abbisogna del rispetto del codice etico e morale, tanto ci dice il buon senso comune, tanto afferma l’Ashtanga Yoga collocandoli addirittura nelle fondamenta dei suoi principi e della sua pratica.

Nel terzo anga Patanjali, ci parla della postura del corpo, in sanscrito asana, definendola con le qualità di “stabilità” e “comodità”, caratteristiche queste che appartengono ad un corpo sano e agile e che, secondo la finalità dell’Ashtanga, è necessario per consentire la meditazione prolungata mirante al Samadhi. Più in generale, sappiamo che l’Hatha Yoga ha sviluppato tutta una serie numerosa di posizioni, partendo da quelle annoverate come posizioni classiche, che hanno lo scopo di mantenere il corpo a lungo in salute. Nel quotidiano l’esercizio fisico è una richiesta di attenzione esplicita che il nostro corpo ci esterna, dato soprattutto lo stile di vita che conduciamo. Ciò, come sappiamo, contribuisce positivamente a ben disporci nella vita. D’altro canto, ancor più, sappiamo apprezzare le difficoltà che ci sono a mantenere un atteggiamento sereno rispetto alla vita stessa, quando siamo sofferenti nel corpo. Inoltre, è interessante notare che, almeno in una certa misura, durante l’arco della giornata, eseguiamo asana nello stare in piedi, seduti, sdraiati oppure quando poniamo in torsione il tronco per osservare qualcosa che si trova dietro di noi senza voltare anche i piedi. In questo senso assumere con il corpo la forma di un asana è una questione connaturata al vivere quotidiano. Ovviamente, mancano vari altri aspetti come il respiro o la consapevolezza, tipici dello Yoga, ma certamente si ritrovano quelli fisici riguardanti il rilassamento, l’allungamento, la tonicità e in una certa misura l’equilibrio.

Nel quarto anga abbiamo il pranayama che a seconda dei casi può essere interpretato come “controllo” oppure “espansione” dell’energia vitale. In ogni caso esso riguarda pratiche che coinvolgono la respirazione sotto ogni aspetto, da quello fisico, in riferimento al ritmo e alla modalità, a quello energetico e psichico. Molti maestri di yoga, e tra questi ci sono senz’altro quelli più vicini all’area dell’Hatha Yoga come ad esempio Swami Satyananda, ci parlano del pranayama in termini di “controllo dell’energia vitale” attraverso il respiro; altri maestri, come lo stesso Patanjali, riferisce del pranayama come “tecnica respiratoria” finalizzata all’esercizio della concentrazione-meditazione, condizione d’essere, quest’ultima, realizzabile previo il pieno soddisfacimento delle necessità respiratorie fisiologiche che garantiscono lo stato di salute psicofisico. Ora sia se ci riferiamo al pranayama come controllo o espansione dell’energia vitale sia se pensiamo ad esso come fase “preparatoria” della meditazione, possiamo ritenere che la tradizione yoga, così come ha realizzato gli asana partendo dall’osservazione della natura su di sé e sugli animali, allo stesso modo ha sviluppato le tecniche di pranayama partendo dalle osservazioni sulle correlazioni tra il respiro e la psiche. Dal punto di vista della quotidianità, respirare è un dinamismo fondamentale alla vita. Essa è, infatti, la prima tra le fonti di “nutrimento” del corpo. È noto infatti che si può vivere svariati giorni senza cibo, pochi giorni senza bere, ma soltanto pochi minuti senza respirare! L’attività del respiro è costantemente esercitata dal corpo, generalmente in maniera autonoma, al fine di garantire i processi vitali di tutte le cellule dell’organismo. È stato stimato che l’essere umano, in media, esegue circa 15.000 cicli completi di respirazione al dì, che sono distribuiti nell’arco della giornata a seconda delle esigenze fisiologiche, in relazione all’attività psichica o fisica. In questo contesto, dunque, così come non è possibile pensare ad uno yoga privo del pranayama e della sua stretta implicazione del respiro, allo stesso modo è del tutto irragionevole separare la vita dal respiro. (Continua)

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