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Diana, la dea del lago di M. Stenhouse

Maggio 21
15:16 2014

DianaimagesGià nell’incipit c’è una brava scrittrice giunta in queste plaghe e rimasta letteralmente stregata dal territorio. Arriva la suggestione di un racconto potente che prende le mosse da Il ramo d’oro di Frazer, genesi e approfondimento che l’autore compì dalle fonti classiche ai luoghi, come l’autrice. Il racconto ci guida anche verso il recupero delle due navi romane sul fondo del lago di Nemi che furono di Caligola, affondate, pare, a causa della damnatio memoriae che seguì la morte dello sfortunato imperatore.

Il libro non è un fresco di stampa, edito nel 1999 e stampato in proprio forse per scelta personale, ma è un piccolo patrimonio cui poter attingere sempre per molti motivi: la documentazione seria e appassionata su Diana e le sue molte deificazioni, sul nemus, i miti connessi, da quelli che precedono l’età romana; le note sul calendario religioso cristiano che ricalcò, a facilitazione del culto, date e luoghi degli antichi riti pagani. La capacità di guardare alla formazione di chi ha scritto, pensato, scavato, raccolto, speculato sugli scavi archeologici e ritrovamenti locali riuscendo, sempre, a distinguere fra cultura e grettezze indigene, leggende e sguardo internazionale, accademico, che in parte fece il bene dei ritrovamenti pur in un quadro storico nel quale l’archeologia si andava affermando, ancora materia per avventurieri più che scienza. Il racconto della Stenhouse, perciò, diviene spunto per molteplici letture: quantità di notizie, rimandi, una mappatura, crediamo esaustiva, dei musei internazionali che raccolgono ciò che fu ritrovato a Nemi e da lì prese il volo, tanto da invogliare a seguirne ancora le tracce. E allora ci si gusta i miti (le Amazzoni, gli Argonauti), i richiami fra personaggi storici, Tiberio e Caligola, le vite di studiosi di ogni nazionalità che s’intrecciarono col piccolo borgo fino a tratteggiare un’immagine vivida ed interconnessa tra luoghi lontani dai Castelli ma anch’essi saturi di misteri, di significati. E ancora: l’importanza della lettura toponomastica dei trivi, dei boschi sacri, e le edicole parlanti, le iscrizioni, le belle statue (viste magari una volta e poi sparite per sempre) che continuano a raccontare la storia di un territorio magico, i Castelli Romani; nato misterioso per conformazione e simbologie (il cratere vulcanico, gli anfratti, il canto antico delle acque), celebrato nei secoli e amato. Che ci riempie d’orgoglio come abitanti ma non così tanto (tra le righe si legge il rimprovero di una straniera divenuta abitante essa stessa) da curarcene maggiormente, da voler alimentare una cultura tale da appassionare e far crescere il rispetto nei confronti di un passato tanto splendente che avremmo dovuto conservare meglio. Qui l’autrice racconta anche il tragico epilogo del ‘sogno mitico’: nell’ultimo avvincente capitolo, il misterioso incendio delle navi romane. Questa lettura ce ne suggerisce almeno altre due altrettanto appassionanti: La scoperta di Troia di H. Schliemann – Einaudi e La storia di San Michele di A. Munthe – Garzanti. (Serena Grizi)

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