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Faber: l’abbraccio 10 anni dopo

Luglio 31
23:00 2009

Un aereo ci porta a Genova giovedì 18 giugno, appena in tempo per vedere la mostra che la città dedica a Fabrizio De Andrè in quel di Palazzo Ducale, centro storico a due passi dal porto, a 10 anni dalla sua scomparsa. La mostra, già prorogata grazie alle frotte di visitatori in arrivo da tutta Italia, terminerà il 21 giugno.
Inutile prepararsi “all’incontro”, dopo l’ingresso ricco di libri scritti dal cantautore genovese o a lui dedicati, in una biografia ricca, ma né commerciale né debordante, nella Sala degli schermi ecco la sua giacca appesa alla sedia e accanto alla scrivania dove lavorava, gli strumenti musicali pendono dal soffitto in una sala buia illuminata a tratti da una decina di schermi trasparenti che riproducono interviste, immagini e parole che scorrono in un percorso che è la città, la guerra, la pace…e siamo tutti li un po’ insieme, ma anche un po’ da soli mentre ognuno ripercorre l’incontro con Fabrizio come vuole: chi l’ha ascoltato la prima volta al liceo con “Amico fragile” chi in ufficio con “Storia di un impiegato” chi conosce solo “La canzone di Marinella” o “Storia di Piero”, chi prima non ne voleva sapere poi ha sentito “La buona novella” o “Non al denaro non all’amore né al cielo”. E il cantautore che appare in molte interviste, alcune facili, con un Vincenzo Mollica bonario, ospitale e quasi timoroso, davanti alla complessa semplicità dell’artista, altre difficili: c’era un altro modo di rapportarsi al mezzo televisivo negli anni ’70-’80; alcuni artisti non hanno fretta di apparire, ma vogliono essere e lo vogliono attraverso risposte precise alle domande che gli vengono poste. In quegli anni De Andrè sente forte la responsabilità di quel che va cantando, avverte il peso di ogni parola e con pudore rivela di aver smussato la storia di Marinella perché diventasse la canzone più cantata, la più cantabile, perché aveva bisogno di guadagnare qualcosa, e che lo ha fatto perché voleva continuare quel mestiere in una urgenza di cose da dire. Anche se una delle interviste si svolge in barca il virato seppia dei filmati restituisce un uomo in cammino, nel dubbio, ma in costante crescita, anche nel momento stesso: parlando si vanno chiarendo concetti sui quali si capisce che ha fatto notte con gli amici, la compagna, i collaboratori. La musica e i testi delle sue canzoni e ogni operazione più complessa, come un album intero, sono il frutto della bravura, dell’ispirazione, della serietà e della rabbia, ma anche del caso, del contributo di tante persone, della fortuna e del cielo: Fabrizio De Andrè studia le stelle, fabbrica i temi astrali suo e di Dori, negli anni ha bisogno di conoscere le tecniche per la coltivazione di ortaggi e fiori nel suo terreno all’Agnata, ma guarda anche al cielo e si affida ad un movimento stellare che è un meccanismo perfetto ed eterno. Da ragazzo, sensibile e scaltro, affida proteste nei confronti dei genitori, e pensieri diversi, ma sempre rivolti a loro, a biglietti e lettere, la madre gli risponde soprattutto. L’adolescente naviga in un mare difficile di sensazioni, ma non è solo… Si susseguono la Sala della Musica, quella dei Tarocchi, la Sala della Vita, e quella del Cinema. Attraverso un gioco semplice e sapiente di video-proiettori è possibile continuare a camminare tra mille ricordi, quelli legati alla musica e quelli della memoria condivisa attraverso il titolo di un disco. L’album lo si appoggia semplicemente sopra un tavolo di legno, di quelli di casa, provati dagli anni, e appare a nostro piacimento un piccolo schermo che ci racconta l’opera in se o i musicisti che hanno contribuito a realizzarla o ci racconta il contesto storico in cui il disco è nato. Con lo stesso principio abbiamo a disposizione decine di diapositive parlanti che innescano filmati con testimonianze, c’è la Nina di “Ho visto Nina volare”, Dori che racconta i loro inizi. Si rovista in una grande scatola di ricordi però senza tristezza perché siamo tutti insieme e con Fabrizio che ci parla dei più disparati argomenti, senza proclami, a volte con pragmatismo, e sempre con evidente reale percezione di se stesso e modestia (“i secondo me” che aprono le opinioni si sprecano), anche con la fermezza, però, di chi ha pensato a fondo i propri valori di riferimento, fermezza che è quel che più manca nel panorama intellettuale odierno, quasi un lusso da disprezzare per fruirne altri forse veramente disprezzabili.
Inutile prepararsi all’incontro dicevo all’inizio: un groppo alla gola è irrimediabile e anche il seguente, interiore “finalmente siamo qui, ci vediamo dopo tanto tempo”, è un forte abbraccio ideale, ma proprio simile a quelli che diamo agli amici che non vediamo da un po’.
Pochi i contributi su Cristiano e Luvi, forse sono sfuggiti nel “tanto” da vedere e ascoltare, ma è un anno importante per Cristiano che ha preso la bella decisione di caricarsi del suo pezzo di eredità girando l’Italia con il tour “De Andrè canta De Andrè”. Negli anni, per molti collaboratori è stato naturale accettare di essere la spalla di De Andrè, fra gli altri l’ottimo autore e musicista Mauro Pagani che lo affianca pur rivendicando la co-paternità di uno degli album più importanti della produzione de andreiana come “Creuza de mä”. Difficile essergli comprimario, sempre per una questione di pudore: la sofferenza in De Andrè è compagna di vita tanto quanto le mogli, i figli, gli amici. Un ricordo nitido è quello del suo ritorno alle scene con “Le nuvole” nel ‘90: in un concerto a Guidonia canta avvolto in una nuvola di fumo di sigaretta, difficile da affrontare, anche se sincero e appagante, il rapporto con il pubblico. Ma il poeta sa ridere, gli piace farlo, o sorridere (meglio ancora), un occhio quasi coperto dall’eterna frangia, ora barriera al mondo, ora ala per volare lontano…
Non si avverte aria di commemorazione, il messaggio, se c’è (c’è quello che ognuno vuole nell’ambito della accettazione del prossimo, e di questo strano e complesso e imprevedibile percorso che è la vita) e l’artista è talmente vivo e vegeto che lo salutiamo sperando di rivederci presto. Di risentirci è sicuro, appena avremo a portata di mano il nostro lettore cd o I-pod o vecchio giradischi….
Alla sua e alla nostra salute scendiamo a cercare un aperitivo “nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”*. Il vento dal mare suona una eco di shanai,….”io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”**.

 

* e ** F. De Andrè da: “La città vecchia” e “Giugno ‘73”

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