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Gli anziani, la pandemia, i nostri valori…

Gli anziani, la pandemia, i nostri valori…
Maggio 10
08:11 2020

Questo dell’emergenza sanitaria e stato un momento molto umiliante (continuerà ad esserlo?) per gli anziani. È stato un momento molto umiliante per gli anziani e per tutti coloro che credono fortemente che l’aggettivo anziano descriva una sfaccettatura della condizione di vita di persone che già hanno dato molto e continueranno a dare, perché invecchiare non significa né avere una vita ospedalizzata e medicalizzata, né una ‘non vita’ che possa essere di peso a qualcuno. Molti credono di individuare in questo stadio della vita biologica le uniche necessità dello stare attenti che non succeda niente all’anziano di casa, considerate le tante preoccupazioni quotidiane, e del portare sempre, e solo, attenzione alla salute fisica, psichica qualche volta, come se l’essere anziano fosse sinonimo univoco di malato, distratto, debole. Anziano per i più non è né uomo né donna, non ha gusti, desideri, voglie (considerate scandalose). Tutto l’elencato viene giusto qualche volta ‘declinato’ in maniera diversa quando si desidera scrivere o parlare di anziani e sesso, anziani e vita attiva, anziani e ballo latino americano…più raro leggere articoli ‘di colore’ su ultra cinquantenni-sessantenni accostati agli argomenti sopra detti, fa meno notizia, eppure i più che cinquantenni e sessantenni odierni si considerano, in fondo, come trentenni poco più maturi; l’imperativo è mantenersi in forma, vestire bene, apparire in società, essere aggiornati, ma se pochi lustri dividono queste età da coloro che sono diventati ‘anziani e basta’ qualcosa vorrà dire: l’esistenza è breve, non serve appellarsi alla filosofia o alla scienza per affermarlo, e il genere umano per prendere le distanze da chi è nato prima usa le categorie bambino, giovane, adulto, vecchio. Tutto giusto, si tratta di età con possibilità diverse per l’individuo e per la sua interazione sociale, ma ognuno di noi, dentro, in fondo, al netto della responsabilità personale e sociale, è libero di vedersi come vuole e la persona cosiddetta anziana è libera di fare altrettanto senza doversi sentire giudicata.

Nel tempo della pandemia abbiamo scoperto, non c’è giudizio morale, e neppure dei tribunali ancora ma è cronaca, che l’Italia ricovera molti sei suoi anziani in case di riposo d’infimo ordine: quelle che forse qualcuno immaginava essere speciali eden per la terza o quarta età fornite di giardini, stanze arieggiate di uno due letti al massimo, ambienti comuni accoglienti, non si sono rivelate del tutto tali. L’ingiustificato stupore nell’apprenderlo era preceduto da cronache che non lasciavano molti dubbi in proposito: cronache  che raccontavano d’una ‘guerra’ senza vincitori né vinti con anziani ricoverati, soli o lontani da famiglie impreparate agli inevitabili cambiamenti di vita e operatori malpagati, o semplicemente senza umanità, ridottisi a fare da carcerieri e aguzzini delle persone che avrebbero dovuto assistere e accompagnare. Gli anziani, alcuni malati, altri probabilmente solo ‘parcheggiati in attesa’, hanno accolto con generosità coatta i malati covid. Sono stati a contatto e si sono ammalati a loro volta con tutte le conseguenze del caso, e moltissimi sono morti. Abbiamo potuto leggere alcune delle loro storie sui quotidiani, perché una società che seppellisce in fretta e furia i suoi morti è una società in emergenza ma una società che li seppellisce senza una parola di ricordo non dovrebbe più definirsi tale. Le persone anziane, tra cui le scomparse, sono quelle che hanno visto una Guerra Mondiale o tutte e due; hanno lavorato e ricostruito, hanno testimoniato contro la barbarie nazifascista o magari sono stati semplici spettatori convinti di fare bene; hanno cresciuto, più che altre generazioni, tanti figli, perché ce n’era bisogno; hanno visto altri guai sotto il sole. Magari sono stati a loro volta medici e infermieri, durante la vita cosiddetta attiva, o levatrici, di molte di loro anche ai Castelli Romani si va rinverdendo la memoria: donne che si sono adoperate instancabilmente per far nascere coloro che hanno ripopolato i paesi. Eppure sono stati anche quei ragazzi e regazze che correvano in bicicletta, e poi in vespa, per andare a ballare il sabato sera; hanno indossato vestiti colorati e leggeri, si sono innamorati. Hanno fatto delle scoperte, hanno frequentato località di mare e montagna alla moda, hanno passato le loro vacanze per vent’anni in  una pensione vicino al mare o non si sono mai riposati perché hanno ‘mandato all’università’ i figli. Più che vergognarsi, ora, di fronte al fatto che il virus, incolpevole pure lui della nostra disattenzione, se li è andati a prendere dove stavano stipati troppo vicini l’uno all’altro (e per alcune residenze sanitarie assistenziali abbiamo scoperto non esserci mai stati né i giusti presìdi né le giuste mascherine, né il distanziamento giusto), più che vergognarsi, piangere su quello che è accaduto, che pure è giusto, occorre costruire dentro di sé, ri-costruire se necessario, il sentimento di gratitudine e di giustizia nei confronti dei nonni, intesi anche quelli che nonni di nessun nipote, per sorte o per averlo deciso, diventano davvero i nonni di tutti. Ricostruendo questo sentimento, se mai non arrivassimo a capire che glielo dobbiamo, e non è retorica, pensiamo almeno che amare di più l’età d’argento della vita metterà tutti noi in una condizione di umanità vera dal primo all’ultimo dei nostri giorni.

Oggi, più che ricordare il pensiero dei grandi vecchi, delle persone di una certa età di cui quotidianamente leggiamo la scrittura forbita, guardiamo un’opera (esistono artisti quasi centenari ed ultracentenari a testimonianza che la persona è persona sempre), voglio chiudere col ricordo d’una donna che non ha avuto vita facile. Molti figli, molte gioie e dolori, sempre indaffarata, sempre a correre da un figlio all’altro con la sua bicicletta, senza dimenticare, sappiamo, un gesto d’affetto per ognuno dei suoi familiari, ormai diventati grandi a e autonomi, finché ha potuto, finché la malattia non gliel’ha impedito (c’è anche la malattia nella vecchiaia ma non è un destino, non è una regola, è un accidente come un altro). Se n’è andata via anche lei nei giorni del covid, ma sappiamo che è stata curata con dedizione fino all’ultimo momento, lo meritava, come l’avrebbero meritato tutti. Lei, (duplice natura dedita al pragmatismo e all’arte), nel suo tempo libero faceva almeno due cose davvero belle: scriveva poesie, vere, e adottava ogni pianta orfana che trovava, anche recuperata dai cassonetti dell’immondizia (perché nel nostro furore consumistico noi gettiamo anche le cose vive). Con tutte queste sue piante adottive costruiva attorno casa un giardinetto a tratti ameno, a tratti scomposto e allegro pure nel freddo inverno della bergamasca, dove tutte trovavano un posto, una vicina all’altra, accudite dalla sua mano soccorrente, dal suo sguardo occhialuto che sapeva vedere il bello. Visualizzarla nella memoria significa ricordarla così. Ciao persone, anziane, che ve ne siete andate, ciao Lucia, mamma di Angelica. Per sempre. (Serena Grizi)

Nell’immagine web: dipinto dell’artista Laura Marcucci Cambellotti scomparsa il 13 aprile 2020 (1913-2020)

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