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Henry Stanley e le sue esplorazioni in Africa

Henry Stanley e le sue esplorazioni in Africa
Aprile 30
23:00 2009

L'incontro fra Stanley e Livingstone in un giornale dell'epoca

“15 agosto 1879. Arrivo davanti all’estuario del Congo. Due anni sono passati dalla prima volta che discesi il grande fiume. Sono stato il primo a esplorarlo e sarò il primo a dimostrarne l’utilità per il mondo. Ora imbarco i miei 70 zanzibaresi e somali allo scopo di cominciare a civilizzare il bacino del Congo”. Con questa magnifica audacia Henry Morton Stanley, allora trentottenne, appuntava nel suo diario i suoi progetti per quello che egli stesso aveva chiamato il Continente Nero. La vastità del suo sogno ci appare oggi in tutta la sua grandezza: il bacino del Congo è costituito da due milioni e 400.000 mila chilometri quadrati di terra selvaggia e torrida che porta ancora il segno indelebile del suo nome.Henry Stanley nacque a Denbigh, una cittadina dell’Inghilterra, nell’oscurità di un’esistenza priva di affetti. Si chiamava allora John Rowlands come il padre, morto subito dopo la sua nascita. Abbandonato dalla madre, fu affidato ad una famiglia nella quale rimase fino all’età di sei anni per poi, dal momento che nessuno era propenso a pagare il suo mantenimento, essere ricoverato presso l’ospizio di Saint Asaph, una squallida casa per i derelitti. Vi rimase nove anni, tra stenti e percosse, finché non trovò il coraggio di ribellarsi al despota che lo tiranneggiava -un sadico che morì poi in manicomio – e di fuggire.Trovò lavoro dapprima presso un merciaio, poi in una macelleria e infine si imbarcò come mozzo su una nave diretta a New Orleans. In quella città fu preso a benvolere da un mercante, Henry Morton Stanley, che lo tenne come figlio e gli diede il suo nome. Dopo aver combattuto per il Sud durante la guerra di Secessione Americana, il giovane Stanley si dedicò al giornalismo realizzando una serie di interessanti servizi sulle incursioni dei pellirosse nel West e fu inviato in Asia Minore in qualità di corrispondente. Notato per le sue qualità professionali e umane dal Direttore dello Herald di New York, James Gordon Bennett Jr., fu successivamente invitato a seguire una spedizione inglese in Abissinia allo scopo di liberare due cittadini britannici tenuti prigionieri. I suoi brillanti reportages da quel Paese gli valsero il posto permanente d’inviato speciale dello Herald. Nel 1869, Stanley fu messo a capo di una spedizione nel cuore dell’Africa Nera alla ricerca di David Livingstone, il celebre missionario scozzese di cui si erano perse le tracce. Ritardato dai numerosi incarichi che il giornale man mano gli affidava, Stanley riuscì finalmente, nel 1871, ad organizzare la tanto desiderata spedizione a Zanzibar, un’isola situata al largo della costa orientale africana. La marcia fu funestata da rivolte e diserzioni, elefantiasi e altre malattie tropicali ma questo non fermò il temerario giovane il quale continuò ad avanzare per nove mesi finché, un giorno, ebbe notizia di un bianco, non molto lontano: era il missionario scozzese Livingstone. Il vecchio missionario, stanziatosi nel villaggio di Ugigi sulle rive del lago Tanganica, fu felice di vederlo e per quattro mesi viaggiarono gomito a gomito nell’impervio territorio africano. Per Stanley fu l’occasione per arricchire le proprie conoscenze e apprendere tradizioni e leggende africane. Tuttavia, Livingstone non si lasciò persuadere ad abbandonare l’Africa ed affidò a Stanley tutte le sue carte augurandogli buon viaggio. Nessun bianco seppe più nulla di lui. Fatto ritorno a Londra, Stanley fu accusato di aver falsificato le carte di Livingstone e fu attorniato da scetticismo circa le sue imprese: si pensava che un uomo senza esperienza quale lui era non sarebbe mai riuscito ad arrivare dove pretendeva di essere arrivato. Ma i parenti dell’esploratore attestarono l’autenticità delle carte, gli onori prevalsero e la stessa Regina Vittoria gli mandò un regalo con le sue congratulazioni. L’incontro con Livingstone aveva segnato per sempre la vita di Henry Stanley; la voglia di continuare l’opera del vecchio missionario si impadronì di lui per non lasciarlo più, così come il bruciante desiderio di portare la luce agli abitanti di quei luoghi sperduti. Da ora in poi avrebbe portato ovunque andasse la parola di Dio. Fu così che nel 1874, a capo di una spedizione anglo-americana, egli ebbe modo di esplorare l’alto corso del Nilo e di compiere la circumnavigazione del Lago Vittoria, che ne è il principale bacino di alimentazione. Esplorò anche il lago Tanganica e si diresse verso il Congo. In questa occasione la carovana di cui Stanley e i suoi seguaci si servivano per attraversare il pericoloso territorio africano fu attaccata da alcune tribù ostili e malaria, dissenteria e vaiolo causarono la morte di molti dei suoi uomini, e lui stesso fu colpito dalla febbre; i suoi tre compagni bianchi morirono durante il viaggio. Al suo ritorno in Europa Stanley fu proclamato il primo esploratore che avesse seguito i 4700 chilometri del corso del fiume Congo fino al suo estuario e attraversato il continente africano da est a ovest. Il mal d’Africa si era impossessato di lui al punto da fargli udire in continuazione il richiamo di questa terra e delle sue genti bisognose della luce cristiana e, nel 1879, si mise di nuovo a capo di una spedizione belga, apportando numerosi interventi: stabilì 22 stazioni sul Congo e sui suoi affluenti, istituì un servizio fluviale dotato di quattro vaporetti, costruì una strada per girare intorno alle cateratte del basso Congo che ne interrompono la navigazione fino al mare. Gli indigeni del posto lo chiamarono Bula Matari, “l’uomo che spezza le rocce”. Il nome gli rimase per sempre. Quando tornò alla civiltà, Stanley era divenuto celebre in tutto il mondo. Tenne conferenze, scrisse relazioni e scrisse tre libri dal titolo Come trovai Livingstone, Nell’Africa tenebrosa e Il Congo. Tuttavia, gli onori non gli impediranno di restare un solitario e un irrequieto. La sua ultima spedizione in Africa avvenne nel 1887 e fu la più terribile; infatti, la via per giungere fino a Emin Pascià – un luogotenente dal passato avventuroso bisognoso di soccorso – attraversava la Grande foresta del Congo, una giungla talmente fitta che di rado la luce vi penetrava. La spedizione non ebbe un facile epilogo; molti uomini vi persero la vita e Stanley vi contrasse una gastrite che lo fece soffrire per diverso tempo. Al suo ritorno in Europa, dopo qualche vagabondaggio, ebbe il tempo di approfondire una vecchia conoscenza con la signorina Dorothy Tennant, una trentaseienne bella e intelligente e, nel luglio 1890 i due si unirono in matrimonio nell’Abbazia di Westminster. L’Africa continuava ad essere nei suoi pensieri e, per paura di perdere il marito, Dorothy gli consigliò di presentarsi candidato al Parlamento, dove avrebbe potuto curare gli interessi africani senza correre pericoli. Stanley fu deputato per cinque anni. Trascorse gli ultimi anni che gli erano rimasti in una grande villa stile Tudor vicino a Pirbright, nel Surrey. Le quattro rintoccavano all’orologio di Westminster quando, il 10 maggio 1904, egli mormorò: “dunque è adesso” ed esalò il suo ultimo respiro. Sulla sua tomba a Pirbright c’è una grande pietra che porta incise la data della sua nascita e della sua morte e una scritta che è il compendio della sua intera esistenza: AFRICA.

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