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Ho paura che Roma sia esistita

Ho paura che Roma sia esistita
Maggio 29
22:00 2013

Una vecchia stampa di Piazza NavonaLa letteratura è un pozzo senza fondo da cui escono perle e rospi, materiali inutili e saporiti manicaretti. Comunque sorprese all’infinito, che a volte passano dinanzi a noi come se fossero farfalle in volo verso lidi di sogni e a volte si fermano e ci circuiscono, ci corteggiano e pretendono attenzione. Gli incontri in genere sono scelti e programmati, ma a volte ci sono delle sorprese che comunque ci radicano nelle nostre convinzioni o le scardinano, le rivisitano e le scompigliano. Da qualche mese ho programmato di leggere e di studiare testi di critica che riguardano le strutture romanzesche, il linguaggio della poesia, eccetera.

E così ho fatto una ricognizione fidandomi dei nomi acclarati, aggiungendovi libri di interviste e di memorie di autori come Tolstoi, James, Cecov, Marquez, Vargas Llosa, Carver, Yehoshua, Bloom, Steiner e tanti altri. Anche un piccolo volume di Marguerite Duras intitolato Scrivere che le Editions Gallimard pubblicarono nel 1993 e che Feltrinelli fece tradurre l’anno dopo. Aprendo il volume mi sono reso conto che soltanto la prima parte si occupa della scrittura e parla del rapporto della narratrice con il suo lavoro. Le altre quattro parti sono La morte del giovane aviatore inglese, Roma, Il numero puro, La mostra di quadri. Non nascondo che ci rimasi un po’ male, come se fossi stato tradito nelle mie aspettative, ma ormai il libro l’avevo tra le mani, meglio proseguire nella lettura anziché recriminare, e poi contro chi? Tutto potevo aspettarmi tranne che “una sceneggiatura su Roma antica con meditazioni sulla civiltà della guerra“. Vi rendete conto? Sulla civiltà della guerra. Insomma, Roma era entrata nell’interesse di questa scrittrice famosa attraverso canali inusitati, un film finanziato dalla Rai su richiesta di Giovannella Zanoni. Lo confessa la Duras. E allora leggo: uno sfolgorio di intuizioni, un distillato di conoscenze filtrate attraverso una poesia ferma e pregnante che non concede nulla neppure alla minima sbavatura. E ciò che parrebbe ambiguo o ammiccante è soltanto un modo per dimostrare che nulla è invenzione che travalica il senso vero della storia, ma meditazione accurata. A un certo punto troviamo: “Ho paura che Roma sia esistita”… “Ho paura come se Roma mi avesse colpita”. “Per la perfezione?”. “No… per i suoi delitti”. E potrei continuare con le citazioni che disorientano, che invitano a rileggere i tomi di Mommsen con altro sguardo, col disincanto che sempre dovrebbe accompagnare lo studio unito alla passione. Ma a me non importa il dato che la Duras suggerisce, importa che nel suo immaginario la guerra, i giochi del potere, l’amore, il buio di certe situazioni, per farli rivivere ha bisogno di scegliere Piazza Navona. Dunque Roma non solo esiste, ma è presenza che rimescola di continuo la direzione della storia. “Guardi la grande fontana centrale. Sembra ghiacciata, livida”. “La guardavo… È immensa nella luce elettrica, sembra che fiammeggi nel gelo dell’acqua”. “Sì, quello che vede nelle pieghe della pietra sono i solchi di altri fiumi. Quelli del Medio Oriente e di molto più lontano, dell’Europa Centrale, sono i solchi dei loro percorsi”. “E quelle ombre sulla gente”. “Sono quelle di altra gente, quella che guarda i fiumi”. Arte, storia, immaginazione, poesia, fantasia, realtà, supposizioni si coagulano in alcune immagini e diventano un film surreale e magnificamente reale nel quale ancora una volta Roma riesce a proporsi come anima perenne del mondo. Ma se andiamo a scavare nella letteratura di tutti i paesi, scandinava, giapponese, russa, canadese, argentina e via di seguito, sono certo che troveremo continui richiami a Roma; non tanto alla sua coreografia, ai suoi scenari che restano dato tutto sommato superficiale, quanto alla sua essenza di madre dal cuore immenso che ha saputo, di volta in volta, assecondare chi l’ha visitata e vissuta rubando una briciola del suo cuore, rifiutare drasticamente i male intenzionati, quelli arrivati con il pregiudizio trattenendo un soffio della loro insipienza per farne, a tempo opportuno, qualcosa che deve servire ad aprire gli occhi sulle sue pietre che sanno parlare tutte le lingue.

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