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Il vate cieco forse venne dal nord

Il vate cieco forse venne dal nord
Gennaio 27
23:00 2015

Le località omeriche ‘identificate’ nel BalticoMemorie antiche, perdute nell’oscurità di tempi d’angoscia, dietro la spinta del freddo acuto e sotto il taglio della fame incombente. Memorie rinate in luoghi diversi e vaganti per i porti e le taverne delle città della Grecia. Memorie poi trascritte in un linguaggio germinato sotto la pioggia dei secoli, che le costrinse a cercare nuove premesse e nuovi paesaggi per dare grembo ai fatti degli antichi eroi. Memorie venute dal nord. Innestate sopra un costume e una cultura del Bronzo splendenti, fermentate nel ciclo inesorabile dei destini.

Forse i fatti eroici di Troia e l’errare affannoso di Ulisse non ebbero vita nell’ambito dell’Egeo e fra le strettoie dell’Ellesponto. Forse popoli antichissimi venuti dal nord, cacciati dal freddo e dallo spietato pungolo della natura divenuta ostile, portarono il ricordo nei luoghi abitati in seguito e lo collocarono in una geografia divenuta diversa, ma assimilata nei nomi ai luoghi e alle città che ne furono testimoni assai più di cinque secoli prima.
Tutto questo sostiene un libro intitolato Omero nel Baltico, scritto da Felice Vinci. Egli dice: «Una volta discesi nel Mediterraneo, i migratori achei vi trasposero i nomi della loro perduta patria nordica, come d’altronde hanno sempre fatto i migranti di tutte le epoche (gli inglesi del Nord America, gli spagnoli in America Latina, gli stessi emigranti veneti nelle paludi pontine un’ottantina di anni fa».
In effetti, intorno al Mar Baltico si trovano ancora oggi nomi che stranamente ricordano molto da vicino i luoghi citati o nell’Iliade o nell’Odissea. Un esempio che rappresenta un vero dilemma per i commentatori dei due poemi è dato dalla descrizione dell’Isola di Faro. Nell’Odissea (libro IV, 354-357; traduzionedi Rosa Calzecchi Onesti) è scritto: «Un’isola c’è nel mare flutti infiniti / davanti all’Egitto, la chiamano Faro / Tanto lontana quanto in un giorno una concava nave / cammina, a cui soffi un vento sonoro». Ora, lo storico Strabone affermò quello che oggi sappiamo bene, cioè che Faro nel Mediterraneo non è affatto lontana dall’Egitto, in alto mare, ma si trova appena a un chilometro da Alessandria; perciò non è possibile che una descrizione tanto accurata dell’Odissea si riferisca a quest’isola. Ma ce n’è un’altra, al centro del Baltico, a una notevole distanza dal delta della Vistola che può benissimo essere il corrispondente del Nilo in Egitto, ed è l’attuale Fårö, chiamata ancora proprio così.
Inoltre in Finlandia esiste ancora Toija, che potrebbe essere l’antica Troia, adiacente a una località chiamata Ajala, che potrebbe indicare il corrispettivo dell’omerico Aighialos, cioè la spiaggia di Troia sulla quale fu combattuta gran parte di tutta la guerra. Moltissimi nomi di luoghi, in Scandinavia e Finlandia, sono ancora simili a quelli omerici. E i fenomeni atmosferici corrispondono molto più al clima del Baltico che non a quello della Grecia: «Qui non sappiamo dov’è la tenebra / e dove l’aurora o dove il sole che gli uomini illumina / cala sotto la terra o dove risale» (Odissea X, 190-192).
Nella più lunga battaglia dell’Iliade è segnalata due volte l’ora di mezzogiorno. Viene indicata anche la notte di un’ora sola e chiara: «amphilyke nyx» (VII, 433-434). Sono fenomeni affatto sconosciuti nell’area mediterranea. Il clima descritto dai due poemi non è quello abituale della Grecia: è freddo, pur trattandosi di periodi primaverili inoltrati. «Indossarono tuniche e folti mantelli» (Odissea IV, 50-51). Ulisse, quando arriva alla sua Itaca, sente freddo pur essendo ormai estate. «Pessime sono le vesti che ho; non dovesse ammazzarmi il gelo dell’alba» (XVII, 24-25). Ancora. Ulisse è biondo: «i biondi capelli ti farò sparire dal capo» (Odissea XIII, 399). Evidentemente, dopo la migrazione i famosi Iperborei, che poi diventarono i Danai, erano biondi, come dice anche Pindaro (IX Ode Nemea): «Ed erano i più potenti capi dei biondi Danai». Ma i Greci non lo sono. Essi hanno sempre parlato con un’inconscia nostalgia degli Iperborei, abitanti del lontano nord, al di là della tramontana, da dove si diceva che fosse venuto anche Apollo, il dio di Delfo, spesso assimilato al sole, e che Marco Duichin, in un suo lavoro ha chiamato «il dio sciamano venuto dal nord».
Le memorie che gli Iperborei hanno portato con sé hanno probabilmente avuto la loro realizzazione almeno dodici secoli prima dei racconti poetici, nati qua e là, disordinatamente, per le zone portuali della Grecia intorno al 1200-900 a.C., in base a oscuri ma tenaci ricordi, e fatti riordinare poi ad Atene dal tiranno Pisistrato dal 560 al 555 a.C.
Le guerre nate a causa di rapimenti di donne, nelle regioni nordiche, non sono state rare neppure molto dopo le migrazioni degli Iperborei. Basta leggere poemi norreni come l’Edda di Snorri o quella di Saemund, diffusi in Scandinavia fra il 400 e il 700 d.C., per rendersi conto che le grandi battaglie delle epopee nascono da fatti che si sono ripetuti nei secoli. In base ad avvenimenti realmente accaduti oppure a leggende? Dopo tanto tempo ci è concesso soltanto fare ipotesi più o meno plausibili.

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