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Per la prima volta un rapporto Onu sull’omofobia

Aprile 16
06:42 2012

È stato pubblicato lo scorso 15 dicembre un rapporto sull’omofobia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, che ha per titolo «Discriminatory Laws and Practices and Acts of Violence Against Individuals Based on Their Sexual Orientation and Gender Identity» («Leggi e pratiche discriminatorie ed atti di violenza contro le persone sulla base del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere»).

In 25 pagine, viene evidenziata la condizione di discriminazione cui sono soggetti in tutti i paesi del mondo lesbiche, gay, bisessuali, transessuali (LGBT) ed intersessuali. Si tratta del primo rapporto specifico su questo argomento che l’Onu abbia pubblicato, ed esso è inteso, con carattere di priorità, quale inizio di una serie di altri rapporti e relative iniziative che hanno per finalità l’eliminazione delle discriminazioni basate su l’identità di genere e/o l’orientamento sessuale.

Il rapporto si divide idealmente in due parti: conoscenza del fenomeno; individuazione degli strumenti giuridici per eliminarlo. Esso attinge le sue fonti principalmente dalle risultanze di indagini condotte da altri organismi dell’Onu per finalità diverse, dalle informazioni ufficiali reperibili presso i singoli Stati Membri, dalle segnalazioni delle ONG e dalla pubblicistica.

Muovendosi dai maggiori testi sui diritti dell’uomo istituzionalmente condivisi, il rapporto evidenzia le discriminazioni cui sono soggetti LGBTI. Ne emerge un quadro desolante. Non v’è infatti regione al mondo – secondo quanto riferisce il rapporto – in cui non vengano commessi abusi e violenze di varia natura. Ne sono oggetto i bambini nelle scuole e nelle famiglie d’appartenenza, i detenuti nelle carceri, i lavoratori o gli aspiranti tali, così come qualsiasi persona non si conformi, in altri ambiti, ai canoni culturali vigenti riguardo all’identità di genere e all’orientamento sessuale. Pratiche particolarmente aberranti come gli stupri ‘correttivi’, le somministrazioni di ormoni forzose e le gravidanze forzate costituiscono solo alcune di queste violenze. Altre riguardano oltraggi, minacce, danneggiamenti, diffamazioni, pestaggi, torture, omicidi e condanne a morte comminate dai tribunali.

Una disinformazione e una mancanza di formazione adeguata ha come esito abusi e violenze commesse a livello istituzionale, dagli organi di polizia e custodia carceraria, dal personale medico e paramedico, dal personale docente. Non si tratta – lo evidenzia bene il rapporto – solo di comportamenti tipici di società con scarse garanzie di tutela della libertà individuale: al contrario, sono proprio i paesi che vantano un atteggiamento liberale e democratico quelli che risaltano agli occhi per la loro indifferenza alla discriminazione e agli abusi; il rapporto mostra una dovizia d’episodi sistematici commessi nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e nel Giappone.

Da quel che risulta dal rapporto, gli abusi e le violenze vengono perpetrati senza una vera e propria consapevolezza, con una grandissima mancanza di sensibilità verso le vittime (quel che Hannah Arendt chiamava «banalità del male» è meglio individuabile qui che non nel buco nero d’umanità che perpetrò la Shoah), e talvolta, nel prisma ribaltato delle motivazioni violente, con comportamenti ‘a fin di ben’, come se fosse ovvio e giusto ‘correggere’ un bambino che abbia orientamenti sessuali o comportamenti diversi dalle aspettative con pratiche come il bullismo dei compagni di scuola, le punizioni degli insegnanti, le violenze domestiche, le cure psichiatriche. Il carattere omertoso delle figure istituzionalmente riconosciute è prassi diffusissima. Correzioni ‘a fin di bene’, come bastonare i figli, erano, sia detto per inciso, considerate un ottimo metodo educativo mezzo secolo fa da noi in Italia (e lo sono, purtroppo, tuttora per alcuni).

L’Onu sottolinea che le pratiche ormonali ed altri abusi coattivi della persona LGBTI non hanno alcuna base scientifica, di là dal ripugnante carattere etico di tali protocolli. La condizione delle donne, già diffusamente discriminate in quanto tali, è ulteriormente acuita quando si tratti di LBT, rispetto a quel che accada agli uomini GBT.

I principi condivisi dei diritti umani, quali essi sono stati redatti nelle carte, dichiarazioni e direttive Onu, vengono per lo più violati quando si tratta di LGBTI. Anche un principio democratico come quello della libertà d’espressione, così tanto sbandierato negli Stati Uniti, viene meno nella misura in cui ‘non dire’ è meglio. La celebre pratica del «Don’t ask, don’t tell» («non fare domande, non dico niente») nelle forze armate americane è uno dei tanti esempi di come stare zitti sia spesso ritenuta l’unica via per non mettersi nei guai. Ma, di fatto, in qualsiasi società – fa notare il rapporto – non esprimere i propri pensieri e sentimenti è ritenuta una prassi d’autotutela di moltissimi LGBT, al punto da non poter rivendicare migliori condizioni di vita specifica nell’abito sociale, sia esso il luogo di lavoro, la scuola, ecc. Il rapporto evidenzia inoltre che non v’è paese al mondo che non abbia cercato, pur commettendo evidenti violazioni dei diritti umani, di mitigare in qualche modo gli abusi.

Il rapporto fa seguito alla Risoluzione 17/19 del Consiglio per i diritti umani, e alla «Dichiarazione di Vienna e Programma d’Azione» del 1993, finalizzata a rafforzare e sviluppare l’insieme degli strumenti giuridici posti a tutela dei diritti umani. Sono in corso studi presso l’Onu per operare a livello normativo e dare una risposta giuridica che sanzioni le violazioni dei diritti umani di questo tipo, e spinga gli Stati Membri ad adottare politiche severe nei confronti di tali discriminazioni.

Il rapporto, in inglese, lo si può leggere presso il sito ufficiale delle Nazioni Unite, alla pagina http://bit.ly/uI2A6d

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