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Profondo Sud

Dicembre 07
23:00 2009

Come sappiamo le mode tornano. Gli anni trascorrono riportando un nuovo vecchio modello. Ora è il tempo del Nuovo Sud. Spremuto negli anni ‘60 – ‘70, utilizzato come cava finanziaria, il Grande Nord ha sviluppato in pieno piccole e grandi industrie. Soldi freschi per rinnovare le linee di lavoro e nuovi investimenti, vecchie linee inviate in quei stabilimenti che ben presto prenderanno l’appellativo di “cattedrali del deserto”. Non solo i soldi sono ciò che smuove l’appetito del Nord, ma anche il flusso migratorio che dal Sud rifornisce le industrie di manodopera a buon mercato. E cosi nasce il Grande Nord, collegato fisicamente al continente europeo e dedito all’assorbimento delle risorse italiane, economiche ed umane. Il fallimento del Sud è strutturale, cosi come strutturale diventa la presenza delle associazioni malavitose. Uno stretto intreccio malavita – politica – industria, trova negli anni un terreno fertile su cui sviluppare.
Esaminiamo il caso rifiuti speciali e tossici. Il loro smaltimento ha un costo altamente elevato, trattandosi di veleni. L’industriale (prevalentemente del Nord) trova un’offerta irrisoria sulla sua scrivania per smaltire i rifiuti prodotti, non si preoccupa di come e dove avverrà lo smaltimento, quantifica solo il conto economico a proprio favore, disinteressandosi completamente di ciò che avviene una volta che la “merce” è uscita dalla sua fabbrica. Se aspettavano la Provvidenza o credevano al gratis, è quanto è avvenuto. Essendo dei manager di alto rango, si conoscono i costi e che quindi ciò non è possibile. L’accettazione dell’offerta non ci svincola dalla responsabilità di conoscere l’esatta destinazione dei veleni che si producono. Industriale e malavitoso sono individui dello stesso livello: economicamente interessati allo sfruttamento di occultazione dei veleni a scapito della società. Non da meno è l’inciucio politico, lasciato crescere dalle formazioni dei partiti al fine di raggranellare qualche voto e seggio parlamentare. L’organizzazione malavitosa, manovrata inizialmente a scopi elettorali, ha chiesto con gli interessi lo sfruttamento del territorio e delle attività produttive regionali, cercando, attraverso il braccio politico, una posizione pulita sociale a livello nazionale.
Bene, ad essere ottimisti, questa è la condizione che l’Italia si trova a vivere da oltre quaranta anni. Tutti i Governi che si susseguono propongono uno sviluppo incentrato nel Sud. Campagne elettorali e finanziarie sempre con soldi inviati al Sud, e nel Sud sistematicamente dispersi in clientelismo e malaffare. Ci si trova quotidianamente ad imbattersi in assistenzialismo, opere inutili e sfruttamento territoriale (per porre l’interesse principalmente dal lato politico). Allo stesso tempo troviamo una maggioranza silenziosa che produce e crede nel proprio territorio, dove lo Stato dei partiti vive in conflitto di interesse continuo. Dove è facile trovarsi soli, facili prede delle associazioni a delinquere. In questo scenario si affacciano due grandi nuove (vecchie) proposte: il ponte sullo Stretto, e la Banca del Mezzogiorno.
Per capire l’inutilità di queste opere è sufficiente prendere una cartina stradale e ferroviaria dell’Italia. Si capisce subito perché Bossi parli di tre repubbliche: la grande ragnatela del Nord; l’esistenza del Centro; il distacco del Sud. In questo scenario il ponte diventa il laccio dorato di un vecchio e bucato scarpone. Il ponte, con tutte le sue corsie, la strada ferrata, rischia di essere una grande opera incompleta se non si rimuovono i disservizi che le strutture ferroviarie e autostradali hanno nella terra del Sud. Una nuova cattedrale nel deserto, una clessidra inversa con una grande pancia collegata a collo e gambe strette. Il ponte ha un senso (accettandone l’utilità) solo se l’intero territorio fruirà di strutture complementari. Messina – Reggio in 3 minuti, Reggio – Napoli in 10 ore.
Lo sviluppo economico, auspicabile con la Banca del Mezzogiorno, è strettamente collegato alla viabilità, non certo del ponte (anche se messinesi e reggini potranno scambiarsi più facilmente i doni di Natale), bensì ad infrastrutture in grado di far viaggiare la merce in Europa e nel resto del mondo velocemente ed a costi competitivi. Piccole e medie industrie, alberghi e strutture balneari, attingeranno credito in un fondo agevolato, i cui frutti matureranno in un ampio sviluppo strutturale del sistema Sud, ponte o non ponte. Se il credito diverrà sviluppo locale fine a se stesso, preda di opere regolari e non, resterà scollegato dall’Italia anche con la presenza di un imponente ponte. Il ponte più auspicabile è un cambio di rotta tra lo sfruttamento politico del territorio, la chiusura delle organizzazioni malavitose (che mirano a mantenerne il controllo del territorio), ed il protagonismo del Nord come motrice nazionale (colleghiamo la carrozza del Sud realmente e solidamente all’Italia). Se le proposte reali continuano a ridimensionare le fabbriche del Sud, consentendo ai miliardi degli Agnelli (FIAT) e dei grandi magnati italiani di migrare all’estero, non sarà una foto dal ponte a salvare il “profondo Sud”. Ma questa, potrebbe essere un’altra storia.

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