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Rocchiciano con tanto fondamento

Novembre 11
14:57 2009

Io ne ricordo altri: -sco (bergamasco, comasco, monegasco, …); -ino (tarantino, bolzanino, vicentino,…); -ate (frusinate, anziate, ravennate, cesenate, …). Allora, le possibilità denominative sono già sette. E per fissare una regola – che comporta un andamento più o meno ordinato e costante, o una norma indicativa di ciò che si deve fare in certe circostanze – sette varianti sono decisamente troppe. Tali da negare una unicità lessicale; tali da autorizzare, se non l’anarchia, sicuramente la libertà di scelta. Non basta. Se, per ingrassare il pastone, aggiungo brianzolo e bustocco (Busto Arsizio), ceco e greco, beota e cipriota, rumeno e armeno, estone e lettone, svizzero e germanico, assiro e sumero, non sono aggressivo, argomento. Non basta. Se, pe recazà, spruzzo: bresciano (Brescia), pesciatino (Pescia), reggiano in Emilia, reggino in Calabria, fidentino (Fidenza), valenzano (Valenza), frascatano (Frascati), scafatese (Scafati), contraddire quanto vado esplicando – che per definire i popoli non esiste regola – pare difficile assai. Allora, come si fa? A che bisogna rifarsi per indicare correttamente le popolazioni? Alla Storia. Altro indicatore non v’è. Alla Storia, solo alla Storia. Come si chiamino gli abitanti di una nazione, di una regione, di una città, di un paese, è un dato storico che con la linguistica ha a che fare niente, manco un toccetto. È la Storia che raccoglie-tramanda-testimonia tutte l’esperienze umane, e dà loro significato oggettivo, valido per tutti, per sempre. È la Storia, solo la Storia, che stabilisce e impone il nome alle genti. Ecco, allora, prenestini (Palestrina), tiburtini (Tivoli), puteolani (Pozzuoli), teatini (Chieti), aprutini (Abruzzo). E tuscolani, quiriti, sabini, partenopei, felsinei, labronici… Secondo la Storia, come debba definirsi uno di Rocca di Papa non si discute: r o c c h i c i a n o. Lo testimoniano quanti nei secoli ci hanno preceduto su questa terra, che mai si sono dichiarati diversamente. Lo testimonia il circondario castellano, che sempre così ci ha indicato e continua a indicarci. Che, poi, quattro o cinque abbiano scritto diversamente, che vale? Anche con D’Azeglio niente. Tutto quello che afferma non è oro colato, e lo dimostrerò. Quei quattro o cinque che scrissero diversamente, avevano studi classici. Per esibirli, dovevano distinguersi. Contraddicendo la Storia, tradendo un esprimersi naturale, stratificatosi nei secoli. Con un risultato discutibile, che può spiegarsi, però, ove ci si richiami alla nostra pronuncia, che ci porta a dire le sillabe ci e ce non proprio pulite, non alla romana, le pronunciamo, invece, piuttosto contratte, alla ciociara, dizione con la quale abbiamo diverse analogie (ngima-dige-nigiunu-genginella-smugina…). Da questo richiamo deriva – attenzione! – che scrivendo in dialetto è sostenibile scrivere Rocchigiano, scrivendo in lingua, no, solo corretto è Rocchiciano. Con fondamento decretato dal popolo, sedimentatosi nei secoli. Popolarità e storia, dunque, per un fondamento imbattibile. Non è finita. Se stessi nella lista dei beniamini ben trattati, e volessi farmi aumentare la paghetta, produrrei altro materiale. Se è vero che da noi sempre s’è detto, e continua a dirsi Rocchiciano, allora: A) la consuetudine ha un’importanza tale da rientrare addirittura tra le fonti del Diritto. B) In Giurisprudenza trova posto lo Ius Loci,insieme delle consuetudini tradizionali del posto che fissano ciò che è permesso e ciò che è vietato. Ancora, a dieci chilometri da noi, stessa diocesi, Monticiano è suonato e cantato da tutti, a voce e per iscritto,e nessuno spara.

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