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Scienze della natura e dello spirito – 4

Giugno 30
23:00 2006

Nel saggio Sull’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, Weber ci fornisce una definizione del tipo ideale in questi termini: “Il tipo ideale è ottenuto mediante l’accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista e mediante la connessione di una quantità di fenomeni diffusi e discreti, esistenti qui in una maggiore e là in una minore misura, e talvolta anche assenti, corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce, in un quadro concettuale in sé unitario”. Weber, pertanto, sottolinea il carattere di mera formulazione astratta del tipo ideale, che, lungi dall’assumere la connotazione di un modello normativo, deve soltanto fondarsi su relazioni logiche ed essere del tutto esente da qualsiasi giudizio di ordine valutativo. Si distingue, in tal senso, dalla semplice legge naturale, perché la sua determinazione non è un fine, bensì uno strumento adeguato di conoscenza; inoltre, proprio in quanto ideale, non si identifica chiaramente con la realtà empirica, né la riproduce o la esprime; non per questo si riduce a costruzione metafisica, poiché deve essere costantemente sottoposto alla verifica sul piano fattuale. Ancora il tipo ideale può definirsi un modello-limite, dato che si costruisce accentuando e portando alle estreme conseguenze le uniformità riscontrabili in un gran numero di fenomeni empirici. Questi, poi, vengono comparati con la realtà effettiva, al fine di controllare l’avvicinamento o la deviazione di questa dal modello elaborato. Mediante tale operazione si può constatare il maggiore o minore peso di una causa nel verificarsi dell’evento che si vuole spiegare, ammettendo, in tal modo, una serie di gradi compresi entro due casi limite: la “causazione adeguata” e la “causazione accidentale”. Per chiarire meglio il concetto, Weber stabilisce un’interessante comparazione tra la battaglia di Maratona e la rivolta di Berlino del 1848. La prima fu un evento storico di enorme rilievo, mentre le fucilate che diedero avvio alla rivoluzione berlinese non furono determinanti, poiché, per la situazione vigente nella capitale prussiana, qualsiasi incidente avrebbe potuto scatenare la rivolta. A questi giudizi che consentono di valutare la maggiore o minore incidenza di una causa, Weber attribuisce il nome di “possibilità oggettive”. Essi sono formulati in base alle fonti che lo storico ha a disposizione, le quali gli permettono d’immaginare uno sviluppo possibile, escludendo una causa, per domandarsi se, senza di essa, il corso degli avvenimenti sarebbe stato uguale o diverso. Così, in relazione agli esempi precedenti, lo storico si porrà la domanda: che cosa sarebbe accaduto se i Persiani avessero vinto e se le fucilate a Berlino non fossero state mai sparate? La risposta è che, molto probabilmente, se i Persiani avessero vinto, avrebbero instaurato una cultura teocratica fondata sui misteri e gli oracoli. Questa è una “possibilità oggettiva” non gratuita, che ci permette di capire che la vittoria di Maratona appartiene all’ordine delle cause “adeguate”, determinanti per la sopravvivenza della cultura greca; mentre, viceversa, l’episodio delle fucilate del 1848 rimane una causa “accidentale”, dato che la rivoluzione sarebbe scoppiata ugualmente. In sintesi, si può sostenere che un evento storico è sempre il prodotto di più cause ed è in relazione con più valori, ma non tutte le cause hanno contribuito nella stessa misura alla sua realizzazione. Posta, dunque, come dato imprescindibile, l’impossibilità di cogliere la totalità del reale, ogni indagine è costretta ad affrontare la complessità della storia da un punto di vista relativo ad un valore scelto in maniera arbitraria. Pertanto il tipo ideale rappresenta, da una parte, la rinuncia ad una spiegazione esaustiva di un fenomeno, dall’altra l’unica possibilità di comprenderlo, seppure parzialmente, nella sua oggettività. Weber, infatti, osserva che le nostre verità non sono tali indipendentemente dalle procedure con cui le conquistiamo, così come il mondo non ha senso indipendentemente dalle nostre costruzioni. La teoria della conoscenza si risolve dunque entro la metodologia, traendo di continuo la sua validità dal riferimento a questioni concrete d’indagine.

(Continua)

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