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Strage di Erba

Marzo 16
23:00 2008

Morta la madre di Rosa Bazzi; decifrato il “codice Olindo”; pericolsità sociale dei due imputati.

Rosa e Olindo, genesi di una tragedia: sorridono Rosa Angela Bazzi e Olindo Romano da dietro le sbarre della gabbia nella quale sono rinchiusi durante l’udienza che li vede accusati dell’assassinio di quattro persone e il ferimento di una quinta.
Tre omicidi premeditati, uno volontario e un tentativo di omicidio: questi i capi d’accusa che pesano come macigni sul netturbino erbese e sulla moglie, infaticabile massaia ossessionata da una cura maniacale per la pulizia della casa. Tutto ha inizio la sera dell’11 dicembre 2006, quando nell’appartamento in Via Diaz ad Erba vengono rinvenuti i corpi martoriati della trentenne Raffaella Castagna, del figlioletto Youssef, di appena due anni e tre mesi, della madre Paola Galli e della vicina di casa Valeria Cherubini accorsa insieme al consorte Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, per prestare soccorso alle due donne agonizzanti e al piccolo. Determinante la testimonianza di Frigerio: “Prima delle 20:00, mentre aspettavo il tg di canale cinque, ho sentito urla disumane di una voce femminile. Che non erano urla di una lite. Allora ho impedito amia moglie di scendere ma c’era un problema perché il nostro cane era incontinente. Dopo dieci minuti lei rientra e vedo il fumo sulle scale. La porta si è aperta lentamente e ho visto la luce spenta nell’appartamento e bagliori di fiamma. Io guardo dentro e vedo una persona che mi apre a me nota. Era Olindo, il mio vicino. L’ho riconosciuto subito e poi l’ho rimosso perché non volevo crederci. Mi sono rimasti impressi gli occhi con cui mi guardava […] sono stato afferrato dalla persona di Olindo, che mi ha buttato a terra […] mi dava dei gran pugni, anche pedate, dappertutto. Mi ha tirato giù di botto. Non ho sentito né male né dolore ma ho sentito che mi tagliava la gola con un coltello.”
Grazie a questa deposizione, effettuata soltanto quindici giorni dopo l’accaduto, i sospetti inizialmente rivolti ad Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef, si concentrano sui coniugi Romano.
Due le udienze preliminari servite per il rinvio a giudizio degli imputati, dieci le ore trascorse prima della confessione del crimine commesso: “Ho deciso di rischiare e farle del male – dice Rosa Bazzi riferendosi a Raffaella Castagna – e di ucciderla una settimana prima. Ora che ricordo meglio, la Domenica precedente perché ci ha fatto svegliare con i suoi rumori alle sei del mattino”.

I rapporti con i vicini: quella famiglia così rumorosa, quella donna così espansiva e quel tunisino, definito in più occasioni dalla Bazzi “un poco di buono”, minavano con il continuo trambusto, lo scalpiccio e il pianto del bambino la fortezza che i Romano si erano faticosamente costruiti; nessuno doveva nuocere alla loro tranquillità, tutto doveva essere tenuto sotto controllo.
Al riguardo, Carlo castagna, padre della vittima, in un’intervista a “La vita in diretta” in onda su Raiuno ha sostenuto che anche lui aveva paura di Olindo e che quando si incontravano nel cortile di casa le parole nei suoi confronti si sprecavano ma anche le minacce e gli atteggiamenti aggressivi, che solo la presenza dei vigili urbani era stata in grado di sedare le manifestazioni di intolleranza prima che si venisse alle mani.
“C’era gelosia nei confronti di Faffaella e il suo bambino per un desiderio non raggiunto- Rosa aveva avuto una gravidanza extrauterina e una non portata a termine- e invidia per una casa con il balcone. Dava fastidio che mia figlia avesse fortune diverse dalle loro”, spiega l’uomo in tono pacato. E alla domanda del giornalista circa un probabile perdono per gli assassini, risponde: “il perdono non è mutato, non è una carta che uno la dà e poi la toglie, il perdono è alla base del mio modo di concepire la vita. Loro però non lo devono chiedere a me, ma al Padre Eterno.”
All’origine del folle gesto, dunque, banali “liti di cortile”. Futili screzi tramutatisi in tragedia. Come quello avvenuto nella giornata del 31 dicembre 2005; in casa Marzouk si respira aria di festa ma i rumori molesti e l’allegria infastidiscono i coniugi Romano, che in questa occasione arrivano persino alle mani. Quel giorno “l’isterichina”, come veniva chiamata dal condominio, arriva a dare uno schiaffo a Raffella, la quale si rivolge ad un giudice di pace e chiede 3.500 euro di risarcimento. Gli inquirenti pensano che questo abbia condotto al feroce eccidio. E poi Youssef. I suoi strilli insopportabili, la sua presenza non desiderata nel cortile. Tutto fa aumentare il risentimento che cova nel cuore di Rosa da molti anni.
Alcuni amici della Castagna raccontano del cotto fiorentino spesso una spanna con il quale aveva fatto rivestire il pavimento nella speranza di attutire i rumori ma neanche questo era riuscito a placare l’ira furibonda dei lamentosi vicini, sempre più minacciosi: “Se salgo ti porto giù con la bara, non scendi viva, è l’ultima volta, la prossima ti ammazzo” si è spinto a dire Olindo una volta.

Cronologia degli eventi:
– 11 dicembre 2006: In un appartamento di via Diaz, 25, a Erba, centro industriale delle Brianza (Como), per via di un incendio, sono scoperti quattro cadaveri e un ferito grave che si salverà. I corpi sono di Raffaella Castagna, di suo figlio Youssef, di due anni e tre mesi, della madre di Raffaella, Paola Galli, e di una loro vicina di casa, Valeria Cherubini. Sopravvivrà Mario Frigerio, marito di Valeria Cherubini.
– 12 dicembre: Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef, inizialmente sospettato delle strage, rientra dalla Tunisia, dove si trovava in visita ai genitori.
– 8 gennaio 2007: Olindo Romano e Rosa Bazzi, vicini di casa delle vittime, sono fermati in relazione alla strage.
– 10 gennaio: I coniugi Romano confessano di essere gli autori dell’eccidio. Il movente: annosi rancori che causavano spesso liti da ballatoio.
– 13 gennaio: A Erba, con qualche tensione con la comunità islamica, si celebrano i funerali di Raffaella e Youssef.
– 23 gennaio: In Tunisia si celebrano con rito islamico i funerali di Raffaella e Youssef. Polemiche per una presunta cessione, in cambio di denaro, delle fotografie della veglia funebre all’agenzia del re dei paparazzi, Fabrizio Corona.
– 16 maggio: I pm Massimo Astori e Mariano Fadda chiudono le indagini con l’avviso agli indagati in base all’articolo 415 del Codice di procedura penale che prelude al rinvio a giudizio.
– 9 giugno: La Procura di Como chiede il rinvio a giudizio dei coniugi Romano.
– 11 giugno: Olindo e Rosa revocano il mandato al loro legale, Pietro Troiano, e nominano altri due avvocati, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux. A loro si deve una radicale svolta della strategia difensiva.
– 10 ottobre: Comincia l’udienza preliminare. Olindo si proclama innocente, ritrattando la confessione, Rosa manda una lettera al giudice per dire che quanto ha dichiarato “non corrisponde a verità”.
– 11 ottobre: Il gup di Como rinvia a giudizio i coniugi, il processo si terrà davanti alla Corte d’Assise di Como.
– 23 novembre: Azouz torna per un sopralluogo con il suo legale, Roberto Tropenscovino, nella casa del massacro.
– 1 dicembre: Azouz è arrestato, con il fratello e la cognata, per un traffico di cocaina, eroina e hashisc.
– 29 gennaio 2008: Comincia il processo, 100 cronisti presenti. Il pubblico accederà all’aula previa consegna di tagliandi (60 in tutto).

Il mondo oscuro di Rosa: Trascorreva la giornata a pulire la propria abitazione ed anche ora che è in carcere pare che abbia la cella più linda d’Italia. La sua mania per l’ordine ed il silenzio faceva di lei una persona strana, scorbutica, eccessiva nelle sue continue lamentele. Si lagnava dei panni stesi da chi abitava al piano superiore: “mi entra il pulviscolo in casa, come fate a non capire?”. Nessun contatto con i familiari, una vita vissuta solo accanto al suo “Olli”, in una sorta di amore autistico in cui uno non può stare senza l’altro. Ciò che è al di fuori del loro mondo, del loro amore reciproco, non conta nulla. L’importante è stare insieme, qualsiasi cosa accada. Ovviamente non si può comparare tale forma di dipendenza reciproca ad un amore vissuto in modo maturo, in quanto l’amore unisce, è vero, ma nessuno dei due amanti cambia le proprie vedute e le proprie idee, mentre Rosa e suo marito sono come un’unica persona, senza testa, senza indipendenza. L’uno vive semplicemente perché c’è l’altro. Essere separati rappresenterebbe una tortura.
Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, nella nostra società và crescendo il numero di persone affette da psicopatologie a causa delle quali anche il minimo disturbo, ad esempio un cane che abbaia o un suono più forte del normale, si scatenano reazioni sproporzionate rispetto alla gravità effettiva dell’accaduto.

“Mi vergogno di averla messa al mondo”: a parlare è Lorenzo Bazzi, che, dopo la morte della moglie Elisa, avvenuta qualche settimana fa presso l’ospedale “Fatebenefratelli” di Erba, ribadisce la sua avversione verso una figlia che “fin da piccola era una bestia, ci ha fatto soffrire”. Lo stesso sentimento nutrito anche dalla madre della donna, che, ancora in vita, spiegava davanti alle telecamere il motivo degli screzi e delle incomprensioni con la figlia: Rosa voleva la casa paterna; non avendola ottenuta, si chiuse nell’appartamento di Via Diaz in uno sdegnoso silenzio che l’ha separata per sempre dai genitori. La madre aveva lasciato detto di non informare della sua morte la figlia prima che fossero stati celebrati i funerali, al che ha aggiunto: “se vorrà mi vedrà sulla lapide, ma non prima”.
L’uomo descrive una figlia fredda, scostante, incapace di slanci, che quando fu ricoverato all’ospedale di Erba presso il quale lei faceva le pulizie, si affacciò una sola volta alla sua stanza, chiedendo: “papà, che hai fatto?”, per poi non preoccuparsi più della faccenda.

L’ultimo tentativo di difesa: come ultimo strenuo tentativo di difendersi, o di legittimare l’atto commesso, la Bazzi ha accusato il tunisino Azouz Marzouk di averla violentata durante una mattina in cui era sola. Marzouk, stando alla sua versione dei fatti, si sarebbe introdotto furtivamente in casa dicendole che non poteva fare a meno di toccarla, che era dotata di più sensualità rispetto alla moglie e altri elogi simili. Secondo la Bazzi il tunisino aveva una vera e propria ossessione per lei, la seguiva, era molto attratto dalla sua persona e lei non avrebbe raccontato mai nulla per timore della reazione di Olindo, ma questa versione non ha convinto gli inquirenti.

L’atteggiamento durante il processo: la Corte d’Assise di Como ha stabilito un calendario di quindici udienze da tenersi tra il 29 gennaio e il 31 marzo. Durante il processo, diventato già un evento mediatico di ampie proporzioni, sono stati ammessi soltanto quaranta dei centotrenta rappresentanti di stampa che avevano chiesto l’accredito per poter seguire dal vivo le udienze, mentre i restanti sessanta hanno trovato posto in una sala stampa allestita appositamente e munita di maxi schermi. In numerosi, inoltre, si sono appostati fin dalle sei del mattino davanti alla Corte d’Assise per riuscire ad accaparrarsi i sessanta “biglietti” disponibili, necessari per avere libero accesso. Tra le motivazioni: la curiosità e lo voglia di guardare in pieno viso chi ha ucciso il piccolo Youssef. Durante il processo i due coniugi si sono tenuti per mano, hanno riso, scherzato, Olindo ha finito con l’addormentarsi proprio mentre nell’aula si ripercorrevano le fasi salienti del massacro e si dava lettura della modalità dell’uccisione della piccola vittima: “Afferravano il piccolo Youssef Marzouk per il braccio destro, lo costringevano contro un divano, lo immobilizzavano bloccandogli il capo con la mano sinistra- la Bazzi è mancina-e lo colpirono due volte alla gola con un coltello. Azione materialmente commessa da Rosa Bazzi”.

Decifrato il “codice Olindo”: un’esperta calligrafica è riuscita a venire a capo dei segni di aspetto quasi esoterico che il netturbino ha impresso su una Bibbia, usandola a mò di diario personale, durante la detenzione presso il “Bassone” di Como. Si tratta di particolari simboli ognuno corrispondente ad una lettera dell’alfabeto, un trucco non particolarmente elaborato, anche se all’inizio aveva fatto restare attonito chiunque si imbattesse in quei simboli. Vengono citate diverse persone verso le quali l’uomo nutre odio, compreso Carlo Castagna, ed alcuni magistrati ed esperti che conducono le indagini.
Inoltre, sono stati rinvenuti messaggi come questo: “Raffaella vaga tra i due mondi nel vento finchè anche lei non troverà la sua pace. Noi ti sentiamo. Ti abbiamo perdonato. Siamo pentiti, anche se non completamente. Un giorno ti perdoneremo con tutto l’amore dei nostri cuori”. E ancora: “Ci hai rovinato la vita e il resto della nostra esistenza. Dicci cosa vuoi, noi te lo daremo affinchè tu possa trovare la pace. Avevi tutto e ci hai rovinato. Che cosa vuoi ancora da noi che stiamo scontando le pene per causa tua e della tua famiglia? Anche per noi verrà la morte, e avrà i tuoi occhi, Raffaella”.

Pericolosità sociale: “L’efferatezza dell’esecuzione e il movente sproporzionato”-si legge nell’ordinanza del gip-“implicano una completa esigenza della tutela della collettività, perché attesta che gli indagati hanno un’indole particolarmente violenta, una personalità antisociale e la labilità del loro autocontrollo. Non hanno dimostrato alcun pentimento, né tradito alcuna emozione, permettendosi pure, il Romano, di ironizzare al pm che lo interrogava dicendogli che in carcere avrebbero avuto vitto e alloggio gratis e rammaricandosi solo di non aver fatto fuori il Carlo Castagna, il più bastardo di tutti”.

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