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Un caso di legittima difesa (putativa?)?

Novembre 18
08:08 2019

Un caso di legittima difesa (putativa?)?

Dall’articolo del giornalista Fabrizio Peronaci comparso sul Corriere della Sera del 27 ottobre 2019 leggiamo: “18 gennaio 1977, ore 19.30. Il calciatore della Lazio Luciano Re Cecconi, 28 anni, sposato, due figli, entrando con il collega (terzino) Pietro Ghedin nella gioielleria di un amico in via Nitti, alla Collina Fleming, pensò di fare uno scherzo, stando alla versione accreditata. Si tirò su il bavero ed esclamò: «Fermi tutti, questa è una rapina». L’orefice, Bruno Tabocchini, fu una saetta: impugnò la pistola che teneva sotto il banco e fece fuoco. Un unico colpo. Al cuore. Re Cecconi ebbe solo il tempo di dire, stramazzando, «ma io scherzavo…» (…) La ricostruzione dello scherzo è stata posta in dubbio. Da più parti si è ipotizzato che Luciano quella frase non l’abbia pronunciata e che sia andata in modo diverso. Stefano, il figlio che all’epoca aveva due anni, si è poi detto amareggiato, perché suo padre «è stato fatto passare per un cretino». Lei cosa pensa?
«Ci fu molta superficialità da parte di chi volle liquidare tutto parlando del solito calciatore che compiva un gesto stupido, e questo ci fece male. L’opinione pubblica era innocentista, l’orefice fu assolto. Noi non eravamo nella gioielleria, ma sono sicuro che Cecco non disse nulla, né tantomeno “questa è una rapina!” Non era nelle sue corde. Entrò con Ghedin, mani in tasca e bavero alzato per il freddo, ma senza cappello né sciarpa sul viso. Ghedin fece a tempo a tirare fuori le mani, vedendo la pistola, Cecco no: il tentativo di scansare il colpo fu fatale, perché espose il petto al proiettile. Se fosse stato fermo…» L’unico a poter dire una parola definitiva, forse, è proprio Ghedin, in quanto presente.
«Con Pietro ho un bel rapporto, lo vedo spesso, ma non abbiamo mai affrontato cos’è accaduto quella sera. Io non ho chiesto e lui non me ne ha parlato. Peccato».” Una causa di giustificazione è tale da rendere giustificabile una condotta che sfocia eventualmente in un evento. Dette anche scriminanti, il codice penale individua diverse cause di giustificazione dove l’art. 59 c.p. comma1 stabilisce che “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.” Ciò individua la loro natura oggettiva: si applicano indipendentemente se il soggetto agente ne è più o meno cosciente della loro esistenza. Sempre lo stesso articolo, al comma2 stabilisce che “Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.” Il codice penale quindi contempla l’ipotesi della scriminante putativa “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena”, ossia l’agente al livello soggettivo si rappresenta un fatto lecito quando nella realtà non lo è (errore “ideale”). Da non confondere con l’eccesso colposo art. 55 c.p.: “Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 (“Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”, “Difesa legittima”, “Uso legittimo di armi”, “Stato di necessità”), si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.”, dove qui la scriminante non è “immaginaria” ma effettivamente esistente nella realtà ma l’agente ne supera i “limiti scriminanti” (errore “materiale” inescusabile) in violazione del principio di proporzionalità come può accadere es. nella legittima difesa. Dal testo Fiandaca-Musco “Diritto penale parte generale Sesta edizione” trattando della legittima difesa, riporta il caso n.25: “Una sera d’inverno, poco prima della chiusura dei negozi, un popolare calciatore della squadra della Lazio (Re Cecconi) inscena uno scherzo, poi rivelatosi tragico: entrato in una gioielleria con il bavero alzato e le mani in tasca come ad impugnare una pistola, con espressione tesa e dura intima ai presenti <<fermi tutti, questa è una rapina>>. Il gioielliere impugna prontamente la pistola e uccide il presunto rapinatore (caso trattato da Trib. Roma, 20 febbraio 1977, in Cass. Pen. Mass. Ann.,1977, 1046 con nota di Rampioni).” Abbiamo quindi una condotta aggressiva (presunta) e una difensiva. La minaccia proveniente da condotta (commissiva) umana ha generato un pericolo di offesa a un diritto altrui basato su un pericolo attuale (non volontariamente cagionato da chi si difende) da giustificare la difesa personale, no mediata dall’intervento delle autorità (e proporzionale?). Ora, nel caso di specie, il conflitto è tra beni omogenei?-bene persona?- e quindi a essere analizzato sarà la proporzione delle azioni: aggressiva/difensiva. Il caso in esame è espressione di una circostanza putativa: l’agente, ossia il gioielliere, ha ritenuto di agire in stato di legittima difesa (putativa), dove l’errore di valutazione non deriva da colpa? L’offesa è ingiusta, ossia non giustificata, e la difesa necessaria, ossia non si può evitare il pericolo se non reagendo (tenendo conto delle circostanze del caso: “mezzo difensivo a disposizione, forza fisica delle persone coinvolte, condizioni di tempo e di luogo, modalità dell’aggressione ecc.”) e che questa difesa sia proporzionata all’offesa. Il bene minacciato deve essere di uguale valore del bene su cui ci si difende: “ (…) non è consentito di ledere un bene dell’aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall’iniziale aggressione illecita.” Ora, per quanto riguarda la legittimità dell’impiego dell’arma, essa è “subordinata alla presenza di due requisiti ulteriori rispetto alla minaccia dell’aggressione al patrimonio: occorre, per un verso, che l’intruso aggressore <<non desista>>; e, per altro verso, che sussista un pericolo di aggressione.”, pericolo di aggressione alla “integrità personale dell’aggredito”. Nel Manuale di Diritto Penale Parte Generale Quinta edizione di Marinucci-Dolcini, è riportato che “l’agente può credere erroneamente di agire in presenza di una situazione di fatto che, se esistesse nella realtà, darebbe vita ad una causa di giustificazione riconosciuta dall’ordinamento”, definisce il dolo come “rappresentazione e volizione di un fatto non solo tipico, ma anche antigiuridico”, e l’erronea supposizione determinata da colpa come ciò che “nessuna persona ragionevole sarebbe caduta in quell’errore”, dove il fatto è addebitabile all’agente a patto che sia previsto dalla legge come delitto colposo. Siamo in presenza di una “causa di giustificazione putativa” che trova esplicito riconoscimento per l’appunto nell’art. 59 c.p. dove “l’ipotesi delineata dall’art. 59 co.4 c.p. è quella in cui l’agente erroneamente supponga l’esistenza nella realtà degli estremi di una causa di giustificazione riconosciuta dall’ordinamento: si tratta cioè del (solo) errore di fatto sull’esistenza di cause di giustificazione. Altra cosa è invece l’ipotesi in cui l’agente supponga l’esistenza di una causa di giustificazione non contemplata dall’ordinamento ovvero ritenga per erroneamente che una causa di giustificazione abbia limiti più ampi di quelli previsti dall’ordinamento: queste ultime ipotesi, estranee alla sfera della disciplina dell’art. 59 co.4 c.p., sono invece riconducibili alla disciplina dell’art. 5 c.p., trattandosi di errori sulla legge penale…”. Dal Codice Penale, Tribuna Poket 2019, 38° edizione, ricaviamo la definizione dell’art. 52 e 59 c.p.: Art. 59 c.p. “Circostanze non conosciute o erroneamente supposte. -Le circostanze che attenuano (62,62bis) o escludono (50-54, 85 ss., 308, 376, 384, 418, 463, 649) la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti (112,113,114,118,119). Le circostanze che aggravano (61) la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti (61) o attenuanti (62, 62 bis), queste non sono valutate contro o a favore di lui. Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (43).”; e dell’art. 52 c.p.: “Difesa legittima.- Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa (55, 59; 2044 c.c.; 42 c.p.m.p.). Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone.” Non si risponde del reato perché il fatto non lo si è commesso come affermato dall’art. 27 comma1 Cost. che stabilisce: “La responsabilità penale è personale.”, quindi non si risponde per fatto altrui; oppure perché non si è imputabili o non responsabili. In quest’ultimo caso rientra la causa di giustificazione.

 

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