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Il Gruppo Ferrero occupa il quarto posto per importanza su scala mondiale nel settore industriale dei prodotti di cioccolato. Nel 2014 ha avuto un fatturato consolidato di 8,4 miliardi di euro, 800 milioni dei quali rappresentano l’utile netto. Valutando le attività di quella Società in base ai rapporti medi tra prezzi di vendita e utili validi per aziende dello stesso tipo e di analoghe dimensioni, cioè se la Ferrero avesse seguito le stesse ‘politiche’ di vendita adottate dai suoi competitor, si arriva a una capitalizzazione di oltre 18 miliardi di euro.

Cifre tutte molto ragguardevoli, anche per multinazionali operanti in settori industriali più cruciali di quello dolciario.
La caratteristica che ha reso unico, o almeno molto particolare, il ‘caso Ferrero’, al cospetto di una simile portata economica, è che il Gruppo non si è mai quotato in Borsa, né ha mai avuto – sembra – la tentazione di farlo. Ciò significa, in termini molto semplificati, che ha sempre lavorato su e con i propri soldi, senza chiedere finanziamenti a risparmiatori e investitori. Indipendentemente da ogni considerazione sull’eventualità che un ulteriore sviluppo dell’azienda sia stato frenato da una simile scelta, quel che ha fatto Ferrero indica che il percorso, ovvero il modello, industriale nel nostro mondo globalizzato non è necessariamente a senso unico. Si può realizzare qualcosa di grande – sembra – con piena soddisfazione di imprenditori e lavoratori (più tutta la popolazione ‘di contorno’) anche senza adeguarsi completamente ai meccanismi dell’architettura economica più ‘avanzata’. L’importante è porsi soprattutto l’obiettivo di costruire una realtà produttiva valida, vitalizzata da molteplici apporti, non mettendo al primo posto nella scala dei valori quello del profitto bensì quello della qualità. Se si è accorti e fortunati, e disposti a lavorare abbastanza, spesso il resto viene da sé.