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Un orto incantato

Un orto incantato
Settembre 13
14:28 2014

I tubi rossi di Alberto TimossiNel 2007 il Maestro Claudio Marini ebbe l’idea di invitare nella sua campagna veliterna altri artisti di valore perché contribuissero con una loro donazione a creare un’esposizione all’aria aperta che desse il senso dell’arte diffusa e contigua alla vita quotidiana. Nacque dunque, quasi per gioco, una rassegna denominata ‘Arte nell’Orto’, che nel corso degli anni si è arricchita delle pregevoli opere di Enzo Lisi, Stefano Trappolini, Fausto Roma, Sergio Gotti, Francesco Pernice, Giancarlo Soprano, Carmine Mario Muliere, Vincenzo Pennacchi, Roberto Pruneddu, Manfred Vogt, Giorgio Galli.

L’ottava edizione, il cui ‘cenacolo’ si è tenuto il 18 luglio scorso, è stata onorata dalle creazioni di Alberto Timossi e di Manlio Rondoni, autore il primo autore di una scultura del noto ciclo Flussi, l’altro di un grande murales di oltre tre metri per otto, Il sogno di Oliver. Timossi, scultore di rilievo internazionale, prosegue in una particolare ricerca artistica con i suoi tubi rossi, per lo più emergenti da prati o inseriti in contesti edilizi, quasi a voler svelare arterie sotterranee per apportare una «trasfusione di cultura», ha detto la critica.
Il murales di Manlio RondoniOpera accattivante, avvincente e nello stesso tempo inquietante è d’altro canto quella di Rondoni, il quale dopo importanti cicli pittorici, che hanno spaziato dal figurativo all’astratto e a immaginazioni poetiche da Rimbaud, Whitman e Pamuk, ha voluto cimentarsi in un murales figurativo e fantastico. Opera molto complessa, al di là dell’impatto gradevole e allegro, sorta di affresco della vita. In una natura vivace e colorata e nell’elemento essenziale dell’acqua si innestano uccelli variopinti, giraffe che si confondono con alberi, un alce, suonatori di fisarmonica e violino (viene alla mente il trio tragico del film di Polanski Repulsion), forse una scimmia, un uomo che legge e un anziano che fuma la pipa. Ma Rondoni, che è artista raffinato e intelligente, non poteva contentarsi di una visione certo pregna di significati, ma tutto sommato rassicurante. Così, al centro della scena ecco inserito un ragazzo con la testa di traverso, che fa virare verso l’ansia, come a voler ammonire sulla condizione umana sottoposta per sua natura a un futuro incombente, incerto o tragico. Un’interpretazione meno pessimistica vedrebbe in quella testa girata un effetto da sindrome di Stendhal, a causa dell’insostenibile bellezza della natura.
Come che sia, l’opera è aperta a ogni fruizione: gustata nell’insieme o nei minimi particolari per il suo impatto coloristico e narrativo, ovvero pensata e soppesata per gli interrogativi nascosti. Dunque, anche grazie a queste due ultime acquisizioni, l’orto di Claudio Marini, nato come segno concreto della comunione dell’arte, si avvia a divenire una collezione di tale spessore da meritare una condivisione più ampia.

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