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Agosto 27
21:23 2023

LETTERE MAI PERVENUTE DURANTE LA I GUERRA MONDIALE: VOCI E PENSIERI, SPERANZE E DOLORI SILENZIATI DALLA CENSURA

Mi è stato donato un libro prezioso: La censura in trincea – Il regime postale della Grande Guerra di Alessandro Magnifici, Ed. Nordpress.

Sulla copertina una foto in bianco e nero con militari in un momento di tregua, vicino a un ponte sull’Isonzo. Tra le pagine, dopo un’iniziale introduzione, numerose lettere mai giunte a destinazione: mamme, papà, mogli, fidanzate, figli, amici, privati delle notizie che il soldato scriveva o faceva scrivere, se analfabeta.

Un dialogo tratto dal film La Grande Guerra, accompagna la dedica dell’autore ai genitori e a Rossella: si tratta di una pellicola del 1959, protagonisti Alberto Sordi e Vittorio Gassman e vi si legge una richiesta di aiuto da parte di un soldato a un tenente, per rispondere a una lettera ricevuta.

Ha richiesto due anni di lavoro questa ricerca svoltasi nell’Archivio di Stato di Roma nel quale l’autore ha recuperato preziose voci, mai giunte a destinazione in forma scritta, perché censurate dal preposto ufficio militare.

Inizialmente le missive venivano smistate dal servizio postale civile, ma successivamente venne istituito un apposito ufficio attraverso il quale passava la corrispondenza in partenza dal fronte. Per evitare venissero a conoscenza dell’ Opinione pubblica  notizie riservate e segretate, si ritenne necessario organizzare un occhiuto e severo lavoro di censura che impedisse l’inoltro ai destinatari, di corrispondenza non consona alle norme stabilite.

Aveva attirato molti volontari la propaganda militare: alcuni erano addirittura rimpatriati dall’estero, aggiungendosi per amor di patria ai soldati chiamati alla leva per lottare e liberare i territori italiani ancora in mano allo straniero.

Per lo più contadini, gente del popolo, ciascuno con i propri dialetti, poco si comprendevano tra loro quei soldati sulle alte montagne del fronte italo-austriaco, sull’Ortles, tra le pietraie del Carso, sulle Dolomiti e le Alpi Carniche, alla conquista in un territorio impervio, di un fazzoletto di terra che ben presto sarebbe divenuto un tappeto di corpi senza vita a tremila metri di altitudine: una guerra di trincea, dalla quale si usciva all’assalto esposti frontalmente al fuoco nemico.

Superato il momento di stupore, alimentati da sentimenti di ribellione per quella carneficina, per l’ingiustizia di graduati che davano ordini restando al sicuro e mandando la truppa avanti come carne da macello, i soldati sentirono sempre più la necessità di raccontarsi, di comunicare, denunciare quanto sottaciuto o minimizzato nei comunicati militari o dalla stampa ufficiale.

Per evitare proteste contro la guerra, gli alti comandi già dal 23 maggio 1915 presero provvedimenti atti a bloccare ogni tipo di assembramento in luogo pubblico e con il R.D. n. 689 si diede facoltà agli ufficiali preposti di aprire lettere in buste chiuse, onde evitare trapelasse ogni informazione militare.

Secondo le regole stabilite era vietato rendere noti i luoghi nei quali si stava svolgendo il conflitto – i soldati dovevano indicare semplicemente “Zona di guerra“ – e ogni comunicazione che presentasse descrizioni di quella terribile realtà che negava ogni valore della vita dei soldati, o che raccontasse le condizioni nelle quali essi si trovavano, le azioni militari, le critiche, proteste o  denunce dei soldati stessi.

Dall’Alto comando s’incoraggiavano a scrivere cartoline postali, molto più facili da controllare e veniva bloccata ogni comunicazione che, parlando di diserzione o di prigionia, alimentasse l’idea che il soldato coinvolto trovasse in esse, soluzioni per sfuggire al fronte.

Cattiveria e assoluta mancanza di rispetto per le vite umane vennero riscontrate e poi denunciate dai superstiti: i reticolati si sfondano con i petti umani, fu la risposta di un superiore a chi chiedeva una pausa per individuare posizioni nemiche da battere preventivamente con l’artiglieria.

Il clima di sfiducia e malcontento trapela in tutte le lettere bloccate dalla censura e contenute tra le pagine del libro: i soldati talvolta usavano ingenuamente mezzi come l’inchiostro simpatico, spiegando però nella lettera stessa come leggere l’invisibile. Altre volte scrivevano al contrario, oppure lasciavano vergato l’indicibile sulla parte interna delle buste o nello spazio sotto il francobollo…  ma nulla sfuggiva ai censori.

L’autore commenta con tono amaro e solidale ciascuna lettera da lui trascritta: sono riportate voci di protesta, di rabbia, di odio e disperazione; i progetti di diserzione e autolesionismo: righe vergate con grafia talvolta comprensibile, talvolta di difficile interpretazione a causa del tempo trascorso, tutte   listate di rosso, con rabbia, dai censori.

Così come pure le descrizioni dei luoghi, le vette innevate, per esempio, bianche in realtà di ossa umane. O le proteste per il vitto inadeguato e insufficiente per i soldati semplici, che invece sentivano profumati sentori di cibi cotti e appetitosi riservati agli ufficiali.  Qualcuno nella prima parte della lettera, simulava pensieri di consenso e necessità di ubbidire agli ordini, cambiando successivamente tono e registro, denunciando nella pagina successiva ingiustizie e mala gestione da parte delle autorità superiori: la speranza che il censore non continuasse la lettura regolarmente svaniva, vista la presenza della lettera stessa tra il materiale di archivio.

La Pace… in quanti l’avranno sognata, desiderata con la grande scommessa di riuscir a salvare la pelle: alcuni si ferivano volontariamente o lasciavano che una parte del loro corpo congelasse per salvarsi da morte certa.

Qualcuno nella lettera denuncia il tentativo di distruggere il libero pensiero da parte di chi è al comando, proprio coloro che al momento di combattere si defilano o costringono i militi all’attacco, minacciandoli con una pistola puntata alla schiena.  E vi è ancora chi, al termine della lettera, consapevole dell’impossibilità che potesse essere fatta passare, conclude dicendo: prego la signora censura di leggerla e di esere sotisffatto del soldato.

Un libro amaro, duro da digerire al pensiero di tutti coloro che non son tornati, sacrificati in nome di un ideale nel quale sempre meno credevano, visti gli esempi negativi dei superiori.

Emerge in alcune lettere il desiderio incredibile di familiarizzare con chi era oltre il confine, giovani ragazzi anche loro, lontani dalle famiglie: spesso si scambiavano cibo o sigarette rischiando la fucilazione. Gli alti comandi infatti vigilavano per impedire familiarità, ammutinamenti e rivolte.

Commuove la lettura di stralci nei quali la diserzione o la prigione sembrano essere ormai l’unica via di scampo alla morte, e si è pronti ad affrontare il disonore, pur di tener viva la speranza di rivedere gli affetti più cari.

Il libro si chiude con la lettera di una moglie che da tempo non riceve lettere e indica al marito una serie di stratagemmi per far sì che egli possa in qualche modo comunicare con lei, facendo arrivare la missiva a Trieste lungo un percorso di invii a più familiari, finché  potrebbe  infine essere a lui consegnata a mano.

Purtroppo, commenta l’autore, se questa lettera è tra le pagine di questo libro il tentativo non è andato a buon fine e il povero marito (non vi è il nome) non ha potuto ricevere la lettera della sua Elisa.

Con amarezza, chiudendo l’ultima pagina il pensiero va ai tanti caduti, ai loro ultimi pensieri, alle loro ultime invocazioni rivolte a chi aveva dato loro la vita… Mamma.

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2 Commenti

  1. maria
    maria Agosto 28, 10:36

    grazie, ancora e sempre, Rita, per il tuo incessante lavoro di recupero e di divulgazione di storie e di vite altrimenti perdute

    Reply to this comment
    • Rita Gatta
      Rita Gatta Autore Agosto 28, 11:43

      Grazie cara Maria, la storia è maestra di vita e dobbiamo sempre far in modo arrivi a tutti, soprattutto ai giovani…

      Reply to this comment

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