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“È giorno” di Marco Onofrio

Marzo 01
02:00 2008

C’è un ruscello in piena che trasporta con sé l’ardore degli anni più belli. Poi c’è un fiume quieto che scorre, riflesso dei desideri che animano tutti e tutto: e una mente che ci aiuta a tradurre dolcezze ed emozioni come forse, singolarmente, non sapremmo fare. Quel fiume sfocia nel mare della maturità, in cui si diventa più consapevoli di aver lasciato dietro attimi che, pur ripresentandosi, si avvertono e si filtrano in modo differente. Questa è la capacità del poeta Marco Onofrio. Un ruscello, un fiume, un mare… Questa la sequenza di metafore più congeniale a È giorno, la sua quinta silloge di liriche – in questo caso elaborate, nel corso degli anni, da un nucleo di ispirazione adolescenziale. C’è una luce da seguire in queste ventitre composizioni: è la luce interiore che Marco trasporta dalla pelle al battito emotivo, per raggiungere il “miracolo” del giorno… Ma, prima del suo avvento, quanti palpiti, quante riflessioni: posati su un sentiero per meglio osservarli, e coglierli, come parte integrante di noi. Il prodigio quotidiano che si rinnova è osservato in modo minuzioso e vissuto profondamente: come il più piccolo dei pulviscoli d’aria che, in un verso della lirica “Eden”, il poeta definisce – suggestivamente – “vestaglia sopraffina”. E avverti palpitare la musica dell’aria, viva della sua delicata purezza, mentre ci avvolge col suo manto trasparente. È una potenzialità non comune, da parte dell’artista, quella di creare immagini incorporee e insieme tangibili. A tal proposito, si cita un piccolo aneddoto su Ludwig Van Beethoven e una signora cieca, che chiese al maestro di descriverle il chiaro di luna. Beethoven si mise al pianoforte, e incontrò il momento magico della composizione che permise alla signora di vedere. Questa silloge segna il trionfo dell’anima che – nella fibra più interiore del tempo, attimo dopo attimo – assapora la quintessenza umana dei suoi dubbi, fra domande mute e riflessioni. E sprofonda dentro il vortice del buio, per afferrare il filo della nuova luce, del giorno che rinasce, ultimissimo ma pure primordiale. C’è il passaggio metaforico dal tormento cupo alla chiarezza, attraverso un inquieto, ondivago vagabondaggio tra buio e luce – dal crepuscolo al fondo della notte alla sua aurora: fino allo splendore del mattino. È l’infinito creare e ricrearsi del cosmo: una dinamica di cui Marco Onofrio si compenetra per regalarci il suo vivido florilegio di luci, colori ed emozioni: musica, in chiave di “adagio”, “allegro”, “allegretto” e “andante con moto”. È un crescendo rossiniano. Un percorso criptonarrativo, di crescita e di formazione, che ci conduce alla porta mentale della pienezza espressiva, ripercorrendo la storia in fieri di un verso già storicizzabile – scrive bene Lorenzo Cantatore in Prefazione – e che si fa spazio progressivamente, come il giorno, nel processo creativo e stilistico del poeta. Il lessico, sempre incisivo, è un lenzuolo che accarezza e imprigiona il vento dei passaggi, il silenzio degli sguardi, il riflesso delle sfumature. Spesso basta un solo verso, perché la sua unicità consente di volare in ogni angolo del mondo, dentro ogni luogo del cielo e della terra, fuori e dentro di noi. Ma lascio al lettore, infine, la gioia di scoprire e gustare, tra le pagine di È giorno, la fluidità del pensiero e il cristallo del verso, la bellezza delle immagini e il mistero dei suoni, lo spessore del contenuto e il gioco della parola.

Marco Onofrio (www.marco-onofrio.it): “È giorno”, EdiLet (Edilazio letteraria), 2007.

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