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Gli anni settanta e la grande rivoluzione – 3

Gli anni settanta e la grande rivoluzione – 3
Settembre 20
22:00 2011

lanciotti-PassaronoPassarono quegli anni ’60 come una meteora lasciando una scia di luce e di detriti, e si aprì il nuovo decennio con la “legge Fortuna-Baslini” sul divorzio – concesso solo per cause gravissime come la condanna di uno dei due coniugi ad una pena detentiva superiore ai quindici anni – mettendo tutti contro tutti. Entrò in aperta crisi l’istituzione della famiglia così come concepita dallo Stato e dalla Chiesa, e si passò a considerare l’unione di fatto come possibile alternativa al matrimonio tradizionale fatto di obblighi e vincoli. Fu come aprire il vaso di Pandora. Si scoprì che troppi matrimoni si reggevano a furia di rattoppi e che la sopportazione della donna non era più quella di una volta. Uno scossone che fece tremare ogni precedente assetto.
Aperto uno spiraglio si spalancò un mondo nuovo, tutto da esplorare e da conquistare. La donna nel frattempo aveva preso coscienza delle sue potenzialità, dei suoi diritti negati e del ruolo di subordinazione in cui da sempre la società al maschile l’aveva tenuta costretta, e non solo: le stesse donne, le stesse madri, le stesse maestre curavano la continuità del sistema, tenendo a bada ribellioni e pretese. Ma le donne intanto frequentavano le università, acquisivano conoscenza, si facevano domande ed esigevano risposte. Il cerchio era stato spezzato, la perpetuazione della supremazia dell’uomo quale legge naturale messa in discussione, e così la diceria della sottomissione della donna predicata da tutti i pulpiti. La società cominciò a prendere atto della rivoluzione in atto, di giorno in giorno sempre più esplosiva.
Il referendum per il divorzio vide accorrere alle urne quel 12 maggio 1974 la quasi totalità degli italiani, chi pro e chi contro, e il risultato fu il no all’abrogazione della legge sul divorzio, con grande scandalo dei sostenitori dell’indissolubilità del matrimonio – che nulla avevano da ridire però sul divorzio cattolico o annullamento della Sacra Rota – e grande giubilo da parte di chi credeva al diritto di ogni singolo di poter decidere in coscienza della propria vita.
Dopo questo primo gigantesco passo, il sistema prese a muoversi con celerità. Col nuovo diritto di famiglia, nel ’75, vengono istituiti i consultori familiari che dopo una partenza stentata, con l’approvazione della legge che regola l’aborto, nel 1978, entrano in piena attività. La maggiore età era passata intanto nel nostro paese dai ventuno ai diciotto anni, ma il consultorio era aperto anche alle quindicenni che vi si recavano spesso all’insaputa dei genitori, prendendo decisioni anche gravi senza bisogno del loro consenso.
Mai più nessuna legge-compromesso sulla nostra pelle, era uno degli slogan che le femministe portavano in piazza negli anni caldi della rivoluzione, decise a portare avanti, legittimandola, una reale emancipazione. Il consultorio, che si reggeva quasi totalmente sul volontariato, forniva informazioni sulle norme per la tutela sociale della maternità, sulla interruzione volontaria di gravidanza, sulla procreazione responsabile; si occupava di disagio familiare e socio-ambientale, di abuso e maltrattamento dei minori, di violenza sessuale, di criminalità minorile, di tutela dei minori, di matrimoni misti, di adozioni nazionali e internazionali. Problematiche nuove che cominciarono a lavorare come una leva potente contro resistenze accanite, e l’attacco si risentì a tutti i livelli.
La famiglia entra in piena crisi. Il momento felice del boom, che era sembrato eterno, scoppia come una bolla di sapone e si cominciano a fare i conti con una realtà difficile da capire e da gestire. Sfuggono i ruoli. Nessuno sa più come porsi e fino a che punto imporsi. I figli cresciuti troppo in fretta – fra attenzioni esagerate e disattenzioni frustranti, con un’autorità genitoriale sempre in bilico fra il concedere e il negare in un tentennamento fatto di insicurezza e confusione – cercano risposte che non vengono e si chiudono pian piano i canali di una comunicazione fra generazioni che diventa sempre più stentata e sofferta. Non meno difficili si presentano i rapporti di coppia, tanti matrimoni saltano senza un motivo preciso, semplicemente non reggono alla prova della verità: la donna soprattutto non è più disposta all’unione di convenienza e a subire comportamenti maschili fino ad allora usuali e non più accettabili. E l’uomo che era stato formato alla scuola dei duri e sta solo applicando quanto gli è stato insegnato in secoli di patriarcato, prima si abbatte e poi s’infuria e poi si commisera. Era scaduto il tempo del padre-padrone, figura bene inquadrata nel film Padre padrone dei fratelli Taviani, del ’75, tratto dal racconto autobiografico di Gavino Ledda. Fuori della famiglia era tutto un campo di battaglia, e non si sapeva dove riparare. Crollavano le belle speranze di un mondo nuovo, bello e giusto e si lottava per rabbia e per amore in difesa di un credo che non doveva mai vacillare, pena la caduta nel vuoto. (continua)

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