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GRAND TOUR: “LI CASTELLI” NEL XVIII E NEL XIX SECOLO

GRAND TOUR: “LI CASTELLI” NEL XVIII E NEL XIX SECOLO
Marzo 23
18:25 2019

Il viaggio degli artisti, e non solo, per trarre ispirazione dai luoghi Europei più suggestivi, non poté prescindere da un soggiorno a Roma, la “Città Eterna”, fonte di meraviglia. Naturalmente, una volta a Roma, non si poteva prescindere da una visita ai Castelli Romani. Cittadine ricche di storia e intrecciate in maniera indissolubile con il destino di Roma, con la nascita di quest’ultima dettero vita, e in seguito contribuirono, alla sua ascesa. Johann Gottfried Seume, riferendosi ad Albano, “annota” nel 1802 che “mi feci condurre alla Posta, la migliore locanda” e che “ l’indomani andai a Genzano… I loro campi sono coltivati così bene da fare onore ai vantaggi concessi dalla natura. La posizione è bellissima; monti e valli si alternano tutt’intorno in maniera assai gradevole, e il piccolo lago di Nemi, con il nome di Specchio di Diana, aggiunge un affascinante tocco di mitologia.” Invece, Charles Didier, descrivendo la campagna romana nel 1842, riferisce che “la notte è tranquilla e fresca… Le tenebre regnano su queste creste un tempo illuminate da vulcani…i laghi dormono nel seno di questi crateri enormi” dove “oscure foreste ondeggiano ai venti profumati della notte” e poi sorge il sole: “Albano, Ariccia, Nemi, l’antica Lanuvio, balcone del deserto, Velletri, adagiata in mezzo a vigne e frutteti, la villa papale di Castel Gandolfo, vicino ai tetti campestri di Marino, gli anneriti merli dell’abbazia di Grottaferrata, sotto le bianche ville di Frascati; tutti i paesi, tutte le frazioni, tutte le fattorie, tutti i conventi…risplende, tutto si anima…” Nel 1864, Hippolyte Taine fornisce una descrizione della campagna romana tripartita, una volta messosi in marcia “alle otto del mattino per Albano”, descrivendola come “la pianura verde…la linea grave degli acquedotti; e, in lontananza, le montagne avvolte da un velo di vapore dorato e azzurrognolo.”, scorgendo “Nelle forre e sulle alture…mandrie di capre e di buoi dalle lunghe corna, i tetti a cono dei pagliai dei pastori, simili a capanne di selvaggi, qualche mandriano con le gambe avvolte in una pelle di capra, e qua e là, in lontananza, i resti di una villa antica, una tomba corrosa alla base, un pilastro coronato d’edera…” Arrivato ad Ariccia, vi scorge un “ponte magnifico, le cui alte arcate superano una valle”. Pranza a Genzano e si lamenta del servizio offertogli dall’albergatore perché “siamo costretti ad andare noi stessi ad acquistare la carne” dove definisce l’albergo “rozzo” perché “I muli e gli asini entrano ed escono rasentando i tavoli e i loro zoccoli rimbombano sul pavimento… Nessun camino. L’ostessa cucina su un grande focolare e il fumo si espande per tutta la stanza… Invece di sedie, panche di legno… Una vecchia donna porta sulla testa, a mo’ di cappuccio, uno strofinaccio da cucina; ” per poi descrivere Nemi come “una coppa d’acqua in fondo a una vasca di montagne” dove quest’ultime, “hanno perduto le loro foreste”. Scopre il lago di Albano “dall’alto di una montagna” definendolo “grande coppa d’acqua bluastra, come quella del lago di Nemi, ma più larga e in una cornice più bella.” Individua il “monte Cavi, selvaggio e rossastro” e lo descrive come “solo, aspro, e brullo in mezzo a queste montagne che sembrano disegnate da degli architetti…” Scorge Rocca di Papa “Un po’ più in basso…abbarbicata a una montagna vicina, tutta bianca, dall’aspetto minaccioso, con le sue case sospese…” Una volta individuato Castel Gandolfo, lo descrive notando “suoi edifici bianchi, la sua cupola rotonda…” Richard Voss nel 1898 definisce i luoghi “La terra dell’Eneide” e descrive la cittadina di Marino come “poggiata sui Colli Albani”, dove “Il temporale, che ha diradato e disperso la foschia, ce la lascia vedere sul pendio di Monte Cavo, un tempo la vetta più sacra del Lazio.”
Foto: Ippolito Caffi, Acquedotti nella campagna romana.

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