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Intervista di Aldo Onorati alla rivista bielorussa “DZIEJASŁOŬ”

Intervista di Aldo Onorati alla rivista bielorussa “DZIEJASŁOŬ”
Aprile 15
12:12 2020

La rivista bimestrale bielorussa DZIEJASŁOŬ, gestita dallo scrittore, autore dei libri di narrativa e di poesia, attuale Presidente dell’Unione degli Scrittori Bielorussi Barys Piatrovič (Sačanka), inizia la sua storia nel settembre del 2002. In un tempo relativamente breve DZIEJASŁOŬ è riuscito a guadagnare popolarità e fama nel Paese e oggi è un’edizione letteraria e artistica più autorevole di Belarus. Intorno a DZIEJASŁOŬsi uniscono gli scrittori bielorussi più famosi tra cui anche il Premio Nobel 2015 Svetlana Aleksievič, nonché i giovani autori più promettenti.


…le opere migliori sono le meno pubblicizzate…

Qui di lato si riporta la pagina introduttiva dell’ampio articolo-intervista che la prestigiosa rivista culturale bielorussa ha pubblicato nella prima uscita dell’anno 2020.

Mai mirare solo al successo

Conversazione sulla letteratura italiana e non solo

I legami letterari tra la Bielorussia e l’Italia di recente sono distinte di due iniziative piacevoli per la poesia bielorussa: per la prima volta presso la casa editrice CartaCanta di Forli è uscita l’antologia della poesia bielorussa del XX secolo “Il carro dorato del sole” (a cura di Larissa Putsileva), invece la casa editrice “Controluce” diretta da Aldo Onorati e Armando Guidoni ha inaugurato la Collana di Letteratura internazionale con un libro di poesie scelte di Aksana Danilčyk “Il canto del ghiaccio”.


Aldo Onorati è un poeta italiano, narratore, studioso di letteratura. Autore di numerosi libri di poesia e di prosa, tradotto in 20 lingue, tra cui anche il bielorusso. Ha collaborato con la TV italiana per anni con la rubrica: “Scuola-educazione”. È stato direttore editoriale, curatore di collane editoriali. Partecipa attivamente alla promozione della letteratura italiana, tiene molte conferenze anche per il conto della Società di Lingua Italiana “Dante Alighieri”. Nato nel 1939 ad Albano nei pressi di Roma.

Mai mirare solo al successo: Conversazione sulla letteratura italiana e non solo

Intervista pubblicata a “DZIEJASŁOŬ”, 2020, n.1

D.- Come funziona la letteratura in Italia?

R.- È una domanda complessa. È risaputo che l’italiano è un popolo di poeti (di santi e navigatori: questi stanno calando di numero, mentre i poeti aumentano esponenzialmente), ma i lettori diminuiscono ogni anno, per cui la letteratura (ora riassumibile quasi tutta nella moda del romanzo) è una specie di strada intasata da troppe macchine, ferme per eccesso di traffico. Ciò porta a una perniciosa stasi anche della critica, per cui non è più possibile “storicizzare” la letteratura. Questo annulla tutto: è come se si scrivesse sull’acqua o sulla sabbia: non resta niente, non solo perché ogni libro dura al massimo un mese, ma anche perché i critici non sanno dove mettersi le mani perché nessuno emerge decisamente in qualche modo sugli altri. È – come dice Hegel – una notte nera in cui tutte le vacche sono nere. Nelle scuole superiori si arriva al massimo a studiare D’Annunzio, Pirandello, Ungaretti e Montale. Forse Pasolini, unico autore italiano entrato a pieno nella storia della letteratura (e del cinema) e ricordato anche dal grosso pubblico. Dopo gli anni Sessanta, un’opera vale l’altra, un premio vale l’altro, ogni libro lascia il tempo che trova. Fa eccezione Umberto Eco, ma si stanno rivedendo molte cose sue, specie i romanzi (tranne “Il nome della rosa”), che risultano soprattutto opere di filosofia, filologia e storia, professorali e pesanti. Ma il peggio è questo: è finita la “stroncatura”, le recensioni sono preconfezionate e laudative, la fretta delle vendite accelera i tempi, per cui, se non emergi entro un mese, vieni cancellato dalle librerie e dalla memoria. Non c’è più la critica nel senso della valutazione. Solo alcuni editori (Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, Einaudi, ad esempio) si giocano le carte del mercato attraverso i premi, i giornali e la distribuzione, ma soprattutto pubblicando libri di mezzibusti televisivi, calciatori, attori, cuochi etc. Infine, gli editori che a pagamento pubblicano tutti e tutto danno il colpo di grazia alla stasi del mercato. Non è detto, però, che i grandi editori scelgano meglio: sono troppo condizionati dalle vendite sicure invece di rischiare nella scoperta dei talenti. Lo scrittore appare in tv per fare il tuttologo e parlare di cose che non gli competono.
Questo non significa che non escano opere belle; tutt’altro. Io che sono un lettore accanito, scopro libri importanti e degni di promozione più spesso nelle piccole editrici che nelle grosse e, anche in quest’ultime, noto una costante: le opere migliori sono le meno pubblicizzate. Il perché è complesso da dirsi. Dipende dalla fortuna, da tanti casi imponderabili (porto un esempio: lo straordinario libro di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli” ebbe un successo mondiale spaventoso, ma non per la poeticità del testo, bensì perché riaccendeva la questione meridionale e anche perché era una testimonianza contro il fascismo); dipende dalla capacità di manovrare da parte dell’autore, dalla politica, da un accidenti qualsiasi. Comunque, l’Italia ha una caratteristica: manda via i suoi figli migliori e boccia i libri più belli. È noto a livello еuropeo il caso di Italo Svevo che fu respinto da tutti gli editori italiani anche quando era diventato un caso mondiale, e l’altro, Tommasi di Lampedusa, autore del “Gattopardo”, respinto da Elio Vittorini, scoperto poi da Giorgio Bassani e lodato in tutto il pianeta dopo la morte dell’autore. Potrei continuare citando Dino Campana, Federigo Tozzi, Guido Morselli (suicidatosi perché respinto anche lui da tutti gli editori). Indico al lettore un testo tra i più recenti “Sulla scena inedita con Guido Morselli” di Fabio Pierangeli dell’Università di Roma “Tor Vergata”.
Qui viene a proposito una riflessione: ogni autore è figlio del proprio tempo. Oggi è la civiltà dell’usa e getta. Tutto si svolge in superficie. Un’immagine cancella l’altra, un libro seppellisce il precedente. La grande letteratura è stata “creata” coi tempi lunghi. La fretta ci rende gatti che si mordono la coda girando vorticosamente su se stessi fino a quando stramazzano al suolo. Soprattutto, oltre la stroncatura, è morta la memoria (molto raramente a scuola si pratica il mandare a memoria le poesie). Devo aggiungere una considerazione: si va diffondendo una moda negativa. Ogni “romanzo” che esce, porta – nella locandina esposta in libreria – questa scritta: “Tra i più grandi scrittori italiani ed europei”, oppure: “Il maggior autore contemporaneo”, ovvero: “La voce più alta della nuova letteratura” o anche: “L’autore italiano più venduto all’estero” (chi lo verifica?) e via dicendo. In mezzo a tanti aggettivi altisonanti, il lettore rimane smarrito. Cosa fa? Siccome i libri costano molto (in media 16 euro, quando non superano i 20 euro), la gente va in biblioteca, si prenota, legge gratis e risparmia i soldi; non solo, ma se il racconto è una “bufala”, è lieto di non essersi fatto prendere in giro dalla pubblicità. Per il romanzo di Scurati, che ha vinto lo Strega quest’anno, nella sola biblioteca di Albano centro (in stretta vicinanza con Roma) ci sono 45 prenotazioni, cioè 45 copie in meno vendute. E siccome siamo in piena crisi economica – almeno per alcuni ceti –, è inutile inventare che è nato un nuovo Dostoevskij.
Per onestà, bisogna fare una distinzione: nel campo scientifico, della tecnologia, della saggistica, le pubblicazioni vanno in maniera diversa, anche con minore pubblicità, forse perché ci si riferisce a un pubblico specializzato.

D.- E non c’è nessuna via d’uscita?

R.- Chissà, il futuro è imprevedibile. Dovrebbero “moralizzarsi” le recensioni e i premi, rinascere le stroncature, tornare la selezione (pure se non sempre essa ha azzeccato). Oggi, per esempio, vanno solo due filoni di narrativa: parlare del tempo del fascismo (cose trite ritrite) o trattare temi amorosi di evasione (argomento preferito dalle scrittrici). Bisognerebbe che gli autori si impegnassero anche a educare, trattando, per esempio, l’ecologia. D’altronde, Dante e Foscolo, Parini e Alfieri (per citare i maggiori) avevano intenti didattici (in Russia c’è Tolstoj, ma anche Gorki se vogliamo), nella Grecia antica Esiodo, a Roma Orazio, Lucrezio, Virgilio, Columella etc. Oggi è come nel Seicento: evasione, parole, vuoto (ripeto: in letteratura, perché il XVII secolo ha dato Galilei e Malpighi e il XX secolo il genio di Marconi, di Fermi etc., riferendomi solo all’Italia).

D.- Dove si trova il centro della letteratura italiana?

R.- Bisogna tener presente che l’Italia è la terra dei Comuni, anche se Cavour e altri grandi hanno fatto la nazione. Per esempio, Parigi è la Francia, Londra è l’Inghilterra, Mosca e San Pietroburgo sono la Russia etc. Lo Stivale è: Milano, Genova, Torino, Venezia, Bologna, Rimini, Perugia, Assisi, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, e ogni altra città o agglomerato come i Castelli Romani. L’Italia “unita” resta divisa in tante piccole nazioni, distanti fra loro anche per cultura e storia. Per cui un centro della letteratura non c’è. Il genio italiano, del singolo personaggio, è indiscutibile, com’è assolutamente vero che un popolo coeso non esiste. Anzi, credo che poche nazioni al mondo siano litigiose come la nostra. Purché un connazionale non trionfi, diveniamo esterofili.

D.- Quale sarebbe il punto di riferimento per un critico o studioso di letteratura straniero che vuole orientarsi nel mondo letterario italiano?

R.- Potrebbero essercene alcuni. Per primo indico la Società Internazionale Dante Alighieri con sede centrale in Roma: lì non solo si approfondiscono gli studi danteschi, ma si perfeziona la lingua italiana da parte di amatori della nostra cultura di tutto il mondo, e si tengono aggiornamenti letterari con presentazioni di libri che poi si diramano in tutta Italia. Il segretario generale prof. Alessandro Masi spesso tiene conferenze sulla letteratura italiana in altri Paesi compresi anche quelli post-sovietici.

D.- Esiste un mercato nazionale?

R.- Certo. I grossi editori distribuiscono in tutta Italia, la tv copre la Penisola, molti giornali sono a tiratura nazionale, ma c’è pure un mercato fiorente (a suo modo) riguardante i libri di storia locale etc.

D.- Ci sono le associazioni di scrittori, oppure ognuno sta per conto suo?

R.- Quando ero giovane esistevano addirittura i sindacati degli scrittori. Oggi si procede per clan editoriali, televisivi, giornalistici. O entri nel giro, o sei fuori: indipendentemente dal valore.

D.- E quelle associazioni come la FUIS?

R.- Lodevoli. Ce ne sono altre quali la CAPIT, ma si tratta pur sempre di centri che coagulano idee e autori, ma in organizzazioni di settore, anche se lodevoli. Il nostro popolo tende a “individualizzarsi”, non a fare squadra: e questo ovunque. Ora, se pure in Italia non mancano associazioni varie, tuttavia non esauriscono la complessità contraddittoria (forse anche stimolante a suo modo) della situazione nazionale, D’altronde, è stato sempre così, a meno che non si voglia ricordare l’Accademia d’Italia del regime fascista. Ad essa preferisco la sgretolazione nella libertà di pensiero.

D.- Nel 2004 è uscito in Russia un Suo libro di poesie (”Domande assurde”), tradotto e prefato dal noto traduttore Eugenio Solonovich. Può raccontare di questa collaborazione?

R.- Ho conosciuto Solonovich durante i lavori del Premio “Penne-Mosca”, l’anno, mi pare, in cui ci fu un convegno su Solgenitzin. Abbiamo simpatizzato subito. Solonovich è il maggiore studioso russo di Belli, il nostro grande poeta romano. Ci siamo visti a Roma più volte, fino a che un giorno gli ho dato da leggere una mia silloge inedita. Egli l’ha apprezzata ed ha curato sia la traduzione che la pubblicazione a Mosca. È l’unica mia opera uscita prima in un’altra lingua e poi in italiano. Eugenio Solonovich è un grande studioso, ha ricevuto riconoscimenti ufficiali dal governo della nostra Nazione. Purtroppo, da un paio di anni non riesco più ad avere contatti con lui. Io sono un pessimo manovratore del computer. Spero di rintracciarlo prima o poi.

D.- Collabora ancora al premio “Mosca-Penne”?

R.- No. Da quando è morto il mio amico Igino Creati, fondatore del premio, uomo di eccezionali capacità organizzative (aveva portato il “Mosca-Penne” ad essere uno dei guiderdoni più ambiti in Italia e in Russia), non faccio più parte della giuria. Per anni ho diretto anche l’ufficio stampa. L’importanza di questo premio consisteva nel coinvolgimento di una vasta giuria popolare e delle scuole superiori, ma soprattutto nell’obiettivo di far conoscere nostri autori tradotti in Russia e scrittori contemporanei russi tradotti in italiano. Conservo ricordi struggenti di quei decenni.

D.- Oltre alla letteratura russa ha avuto il modo di conoscere anche altre letterature nazionali della nostra zona?

R.- Conosco piuttosto ampiamente la letteratura romena, grazie all’amicizia con l’italianista George Popescu, al quale debbo la traduzione di molte mie opere ben note in quel Paese; anche la polacca mi è vicina, perché l’occasione è stata – come sempre – la traduzione dei miei scritti in quella lingua grazie a Karolina Janeczko. Ora mi sto avvicinando con interesse alla letteratura bielorussa: la nostra editrice “Controluce” diretta da me e da Armando Guidoni ha aperto una collana internazionale che viene inaugurata da una silloge di Aksana Danilčyk, la quale mi sta facendo addentrare nelle bellezze letterarie della vostra Terra.

D.- Quali sono le sue preferenze letterarie internazionali?

R.- Quelle russe, anche odierne, ricche e nuove; poi quelle della Corea del Sud, che conosco grazie al prof. Han Hyeong Kon, primo traduttore della Divina Commedia direttamente dall’Italiano (e, con modestia e onore, mio traduttore); quelle francesi alle quali mi ha iniziato (parlo sempre dei recenti studi) la dannunzista Solange De Bressieux (alla quale debbo la mia piccola notorietà in Francia), ma poi devo passare alla zona latino-americana, alla quale mi hanno introdotto i poeti Francisco Bendezù Prieto peruviano, Leoncio Gianello H. argentino, Guillelmo Gudel spagnolo (a loro devo gratitudine per aver tradotto alcune mie opere). Un’esperienza strana mi fu data dalla traduzione del mio primo libro di narrativa (“Gli ultimi sono gli ultimi, prefato da Carlo levi e Luigi Volpicelli, 1966): il prof. Giuseppe Lacertosa, esperantista, lo tradusse in esperanto: fui a contatto con tutto il mondo e potei affrontare l’iniziazione alla contemporanea produzione cinese.

D.- È possibile fare un cammino sereno in letteratura? In altre parole, è possibile un equilibrio tra il mercato e il talento?

R.- In linea di massima, no. Per avere successo di mercato, bisogna aderire alle mode del momento. Siccome le opere originali precorrono i tempi (come è accaduto sempre), al momento trovano o indifferenza o resistenza sul mercato e anche nella critica. Pensiamo a Melville, a Kafka, a Proust, a Dante che ha dovuto attendere 5 secoli per essere capito e valutato a pieno, allo stesso Shakespeare “scoperto in toto” da Samuel Jonhson etc. Francoise Sagan, “Love Story”, “Cinquanta sfumature di grigio” hanno sfondato il mercato, ma sono scomparse sia le autrici che le opere.

D.- Quale sarebbe un suo consiglio ad un giovane scrittore italiano o bielorusso che sia?

R.- Fissare in mente il monito di Leonardo da Vinci: “Il tempo non terrà conto di quelle opere che non hanno avuto conto di lui”. Niente fretta, molta autocritica, ascoltare i giudizi negativi che insegnano più delle lodi, accettare la sconfitta per crescere, leggere leggere leggere, limare, gioire e soffrire con la pagina, e mai mirare solo al successo. Questo si può raggiungere in modi estranei all’arte, ma sono fumo di un mese. Perché un’opera resti, deve pensare ai posteri. Chi rincorre il successo immediato scrive sulla sabbia. Sono illuminanti – a tal proposito – le pagine di Schopenhauer sulla gloria e anche quelle di Foscolo e di Leopardi: quest’ultimo nell’Operetta Morale “Il Parini ovvero della gloria”, Foscolo nelle lezioni all’Università di Pavia, il filosofo tedesco nel libro “Aforismi sulla saggezza di vivere”. Impegnarsi a fondo ma, contemporaneamente, prendere come un gioco il resto, cioè il risultato della pubblicazione e le stranezze della fortuna. Il miglior giudice è il tempo: “Giusta di glorie dispensiera è morte” (Ugo Foscolo); “Ai posteri l’ardua sentenza” (Manzoni). Ma i posteri saranno impegnati in ben altre occupazioni, sospetto: la sopravvivenza, dato l’aumento del clima a livello globale, la desertificazione della Terra e le migrazioni bibliche scaturite dall’innalzamento del livello degli oceani. Però, non mettiamo limiti alla speranza, purché si giunga in tempo a frenare l’inquinamento planetario…

D.- Grazie per la conversazione!

 

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