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La parola alle parole – 1

Ottobre 01
02:00 2007

“In principio erat Verbum” proclama Giovanni nel suo Vangelo: all’origine era il Verbo. A distanza di secoli gli fa eco Goethe “Am Anfang war die Tat”: all’origine era l’azione. Nella sua replica, traducendo/tradendo il modello, e lasciando cadere le implicazioni teologiche giovannee, Goethe seleziona nell’ampio campo semantico del latino VERBUM (‘parola’)soltanto l’accezione strettamente grammaticale (‘verbo’), che indica appunto l’azione, e rovescia così con un semplice gioco di parole un’intera concezione del mondo. La parola dunque come strumento e arma, pensiero e immagine, forma e creazione, nome e sostanza, significante e significato. L’universo del “superbo viandante” è fatto di parole. Vorremmo dunque lasciare ad esse per un po’ la parola. Soprattutto in un paese e in un’età in cui spesso non si attribuisce loro (soprattutto a quelle date) alcun valore, ma dove pure accade che un gruppo di ragazzini della scuola media senta il bisogno di costituirsi in associazione e aprire un sito in difesa del congiuntivo.
L’italiano, come è noto, è una lingua neolatina o romanza e rappresenta dunque la continuazione diretta del latino, trasformatosi in un lungo processo, e sotto la spinta di influssi di substrato (rappresentati dal riaffiorare di abitudini linguistiche degli idiomi preromani) e influssi di superstrato (rappresentati dall’azione delle lingue germaniche degli invasori barbari), in una serie di ‘volgari’, tra i quali quello fiorentino, destinato poi a dar luogo, attraverso un processo ancora più lungo, all’italiano odierno, cioè ad una vera e propria lingua, con tutta la pienezza delle sue funzioni. Anzi, con le caratteristiche di una lingua di cultura, e dunque con un amplissimo patrimonio lessicale. Il GRADIT (Grande Dizionario Italiano dell’uso) di De Mauro consta di 260000 parole, senza contare i termini tecnico-specialistici. Questo insieme di parole (lessemi) forma il lessico della nostra lingua: patrimonio acquisito non una volta per tutte, ma sistema aperto e in continua evoluzione attraverso il decadimento di alcuni elementi che, sempre meno usati, divengono desueti e passano quindi tra gli arcaismi e l’acquisizione di nuovi che vengono formati ex novo (neoformazioni o neologismi), o presi in prestito da altre lingue. Applicando dunque al lessico e, in generale, a tutto il sistema della lingua la vecchia metafora biologica di matrice positivistica, possiamo immaginarlo come un organismo vivente costituito da cellule, apparati e sistemi, e per descriverne i componenti e il funzionamento possiamo ricorrere a parametri e criteri vagamente assimilabili a quanto l’anatomia e la fisiologia definiscono rispetto a quello. Così nella grammatica di una lingua la fonetica individua e descrive unità minime chiamate fonemi, cioè i suoni articolati con valore distintivo; la morfologia i morfemi, quegli elementi appunto che, con la loro variazione, individuano e attivano diverse funzioni di una parola (come ad esempio i casi latini distinguevano la funzione del soggetto o dei vari complementi); la sintassi i sintagmi, cioè le unità minime di associazione di parole, ad esempio sostantivo e aggettivo o sostantivo e verbo, ecc. E al ragazzo che si avvicina allo studio sistematico della lingua materna vengono fornite metodiche atte a riconoscere ed attivare consapevolmente elementi, funzioni, processi del sistema. Così attraverso l’analisi grammaticale si abituerà a riconoscere nelle singole parole alcune categorie grammaticali (nome, pronome, verbo, ecc), mentre attraverso l’analisi logica imparerà a riconoscere la funzione che singole parole o gruppi assumono all’interno della proposizione, e infine attraverso l’analisi di un periodo complesso si abituerà a razionalizzare la gerarchia di rapporti tra singole proposizioni, e quindi tra il valore di singole informazioni. In tal modo, insieme alle altre funzioni, il ragazzo sviluppa quella metalinguistica, cioè la capacità di una lingua di parlare di se stessa.
(Continua)

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