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La scrittura della medicina – 2

Marzo 05
12:42 2011

Penserete che questa paternità non sia sufficiente a legare, collegare opere diverse per epoca, luogo, contesto, significato. Penserete che quella del medico-scrittore non è l’unica tipologia di letterato che deve spartire il suo tempo con un’altra professione e che, in fondo, le due sfere non debbano necessariamente collidere o collimare. Eppure, a ben pensarci, qualcosa lega Luca di Antiochia, l’evangelista, a sir Arthur Conan Doyle e, insieme, li connette a Michail Afanas’eviè Bulgakov, Louis-Ferdinand Céline o a Karl Theodor Jaspers – per fare degli esempi illustri. È quella speciale, caratteristica capacità di penetrare a fondo nella sostanza delle cose, è uno sguardo tagliente come bisturi, mai superficiale, mai superfluo, uno sguardo che agisce, non limitandosi alla sola osservazione ed entra attivamente in contatto con ciò che osserva, vi dialoga, ne provoca il mutamento o la piena espressione. Se svelare l’essere umano può essere considerato uno dei fini ultimi della letteratura universale, esso è punto di partenza della “scrittura della medicina”: al pari della nudità del paziente, la nudità di corpo e dell’anima è la frontiera da varcare per scandagliare opere, passioni, sentimenti, pensieri. La bellezza, quindi, nella “scrittura della medicina”, non sta tanto in un uso estetizzante del linguaggio e delle situazioni , quanto nella specificità, nell’accuratezza delle stesse, nella sapiente scelta dei dettagli salienti che insieme fanno diagnosi e racconto, fysis ed epos. Quand’anche, infatti, la narrazione ci porti in luoghi chiusi, freddi, sporchi, ci descriva la miseria o le avversità, ci conduca per mano a incontrare il dolore e la morte – nella difficoltà umana di praticare, secondo le parole di Georges Bataille, «la gioia davanti alla morte» 1- sono proprio la fedeltà e la sincerità di questa scrittura a costituirne la bellezza. Una granitica e delicata bellezza: la condizione umana, tra pulsione di vita e malattia, è fedelmente ritratta, oggettivata nella prospettiva soggettiva del racconto e resa dunque analizzabile, comprensibile, non più fatale, soggetta a forze oscure e ineffabili. È la bellezza della comprensione, dell’intuizione dispiegata e donata attraverso la parola scritta: una forma particolarmente felice di unione tra arte e scienza. Ma come e perché questo strano essere umano sul quale gravano le responsabilità congiunte dell’uomo di scienza e del letterato, quest’uomo la cui coscienza è abitata da sensibilità così intense, questo individuo volto per sua natura e sua stessa scelta alla comunicazione e alla comunanza con gli altri individui, in una forma particolarmente elevata di empatia, perché, dunque, il medico-scrittore è tale? Cosa avviene nella sua mente, cosa agita il suo cuore, qual è, se esiste, il segreto del processo creativo che lo anima? (Continua)

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1 La pratica della gioia davanti alla morte, in G. Bataille, Il Labirinto, Piccola Enciclopedia SE, Milano 1993. Vi si legge, tra l’altro: «Felice solamente colui che avendo provato la vertigine sino a tremare in tutte le sue ossa e a non misurare più la sua caduta ritrova d’improvviso la potenza insperata di fare della sua agonia una gioia capace di gelare e di trasfigurare quelli che la incontrano» (p. 80); «la gioia davanti alla morte significa che la vita può essere magnificata dalla radice fino alla cima» (p. 82).

didascalia foto: Georges Bataille

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