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La solitudine del diplomatico

Marzo 16
11:33 2011

La telefonata giunse inaspettata e le parole di lei, fredde e precise, sembrarono i colpi di un M12, la mitragliatrice in uso ai carabinieri:

– Sono costretta a casa. Non posso venire. Mi dispiace. Ciao.
Fausto stramazzò sul divano in pelle; era un’intera settimana che pregustava quell’uscita con Silvia, l’aveva caricata di aspettative che, in quel preciso istante, gli erano state ammazzate. Per non piangere corse in cucina a prepararsi un caffè ristretto senza zucchero, uno di quelli che quando lo butti giù strizzi gli occhi e fai una faccia buffa.
Si svegliò da quello che sembrava un brutto incubo e scelse di comportarsi da vero uomo e di andare comunque alla festa. La camicia nera da paraculo la indossava già, i jeans attillati che mostravano un pacco non indifferente pure, mancavano solo gli stivaletti Levi’s color ocra che facevano molto Clint Eastwood.
Allacciò la cintura di H&M comprata a saldo, poi quella di sicurezza e schizzò via verso la festa senza la dama che avrebbe voluto avere al suo fianco. Osservò il ciuffo ribelle sul retrovisore centrale e pensò che uno come lui non avrebbe avuto difficoltà a rimorchiare un’altra ragazza, pur col livello massimo di difficoltà rappresentato da una festa in cui non conosceva nessuno dei presenti.
– Pot pot!
Suonò il clacson per chiedere strada a una coppia di fidanzatini su una Panda che ostacolavano la sua rincorsa verso l’approvazione sociale da parte di altri uomini e, soprattutto, di altre donne.
– Driiiinn!
Suonò il citofono con arroganza, attese solo un paio di secondi e poi ci si riattaccò con più veemenza:
– Drrrrrrriiiiiiiiiiiiiiinnn!
– Chi è?
– Fausto!
– Fausto chi?
Silenzio.
Il ragazzo dall’altra parte attese un altro paio di secondi e poi domandò con più curiosità:
– Si può sapere chi è?
– Sono Fausto, un amico di Silvia.
– Vieni Fausto, scala B interno sette.
Alla porta apparve un ragazzo sui trent’anni che ancora non aveva scoperto che per farsi un pizzetto decente esistono rasoi specifici.
– Non c’è Silvia?
– Non è potuta venire.
– Peccato. Bè, tu entra e fai come se fossi a casa tua. Io sono Marco.
Fausto gli strinse la mano come se gli stesse facendo un piacere, poi allungò lo sguardo all’interno dell’appartamento per cercare di scorgere subito qualche tipa carina che gliela avrebbe data dopo quattro stronzate e due cocktail molto forti.
Afferrò un bicchiere e si posizionò all’angolo di un salone circondato da librerie piene di testi di Goethe, Salinger e Baricco.
Fausto cercò rapido con gli occhi qualcosa che gli fosse familiare, il joypad di una playstation o il Dvd di un film dei Vanzina che tanto lo facevano ridere; se proprio doveva essere un libro, che fosse almeno l’almanacco del calcio mondiale edizione duemilanove.
Di nuovo quella sensazione di essere sotto tiro, stavolta non dalle parole dette da Silvia bensì dalle parole scritte da autori che lui aveva sentito nominare in qualche puntata di “Chi vuol esser milionario”.
Si spostò di pochi centimetri, ragazze ce n’erano ed erano pure carine, soprattutto una moretta con due tettine belle sode e appuntite. Poi c’era un grassone con un maglione puzzolente, due ragazzetti con gli occhiali da intellettuali, uno che fumava una pipa, un altro che teneva in mano uno dei mille libri, quattro che avevano formato un capannello e confabulavano animatamente su importanti temi sociali.
Fausto capì di avere a che fare con persone molto diverse da lui. Si spostò ancora, non voleva essere il bersaglio di cecchini dalla mira infallibile come Goethe, Salinger o Baricco. Aveva sentito dire che quelli potevano colpirti dritto nel cuore da cento anni di distanza.
I libri stessi sembravano osservarlo con circospezione, come se in quella casa fosse entrato un estraneo e quelli stessero provando a definirlo.
La cultura che esondava da quelle pareti era davvero troppa, gli dava fastidio.
Finalmente Marco annunciò l’arrivo del vassoio di pastarelle, portato con grazia da una splendida biondina dagli occhi chiari.
– Avanti ciurma, scegliete la vostra pasta preferita!
Bignè al cioccolato, bignè alla crema pasticcera, tortine alla frutta con fragole e kiwi, cannoli siciliani, maritozzi con la panna, millefoglie, babà e l’immancabile diplomatico che non sceglie mai nessuno.
Tra risate discrete e cenni d’intesa partì anche la musica che non era l’unz unz unz che Fausto era abituato ad ascoltare in discoteca ma era la musica tipica delle feste, il Gioca Jouer di Cecchetto, YMCA e altre amenità intervallate da canzoni più raffinate, forse De Andrè.
La moretta con le tette a punta si avvicinò al vassoio, ci pensò giusto un attimo e poi prese il maritozzo con la panna, millecinquecento calorie che non avrebbero fatto un baffo al suo corpicino delizioso. Con le labbra sporche di panna salutò poi il ciccione con un bacio sulla guancia e restò a parlare con lui.
Una ragazza alta coi capelli lunghi e lisci che se ne stava all’angolo opposto si fece accompagnare da uno dei due intellettuali, rimase titubante davanti alle paste portandosi un dito sulla bocca come segno di indecisione e poi allungò la mano sul millefoglie.
L’intellettuale sorrise, aveva tanti di quegli aneddoti da raccontarle che lei, ascoltandolo, si sarebbe sciolta e l’avrebbe premiato con un abbraccio o con un bacio.
Fausto fece un passo in avanti, la biondina gli piaceva eccome, però c’era quel famigerato di Goethe alle sue spalle che lo teneva per le braccia e gli impediva di andare.
Una riccia che aveva un bel culo fece una mezza sfilata nel salone prima di scegliere come compagni di serata un cannolo siciliano e l’altro intellettuale, uno sbarbato con una coppola in testa gelosissimo di chiunque avesse lanciato sguardi alla sua ragazza.
Fausto ebbe un fremito, la situazione si stava mettendo male. Le ragazze più carine si erano scelte gli uomini più affascinanti e le pastarelle più buone mentre lui era ancora in piedi, da solo, con un bicchiere vuoto in mano.
Partì YMCA dei Village people e tutti quanti, ragazze e ragazzi, si allinearono per ballare insieme e fare il gesto del dito che indica non si sa chi.
Fausto era l’unico rimasto fermo dall’altra parte del salone e quindi era lui il bersaglio di tutte quelle dita fatte di porri inesplosi e unghie smaltate. Pure Goethe, Salinger e Baricco facevano il ballo gay dei Village people e lo indicavano.
– Non è divertente stare qui – pensò lui mentre tutti lo additavano di essere un ignorante sbruffone senza uno straccio di fascino.
“It’s fun to stay at the YMCA!” e tutti a indicarlo.
Provò a creare un sorriso artificiale sul suo volto per far finta di saper stare al gioco.
“It’s fun to stay at the YMCA!” e ancora dita minacciose.
Finalmente quella orrenda canzone finì, il suo imbarazzo tornò a livelli mediamente sostenibili ma la biondina con gli occhi azzurri scelse la tortina alla frutta andando a pomiciare con un uomo sulla cinquantina sul divano invaso dai cappotti degli ospiti.
Abbassò lo sguardo agli stivaletti di Clint Eastwood, poi lo rialzò per accorgersi che le ragazze erano tutte accoppiate e che le pastarelle buone erano tutte finite, sul vassoio rimaneva solo il diplomatico, quello che non sceglie mai nessuno.
Abbandonò il bicchiere vuoto che non era stato mai riempito su una mensola piena anch’essa, guarda che novità, di libri.
Afferrò il diplomatico senza addentarlo. Lo avvolse con cura in un tovagliolo bianco, un pò di zucchero a velo gli cadde sui jeans ma questo piccolo incidente stranamente non lo infastidì, lui che era sempre molto attento ad apparire forte, bello e pulito.
Lo avrebbe portato a casa e lo avrebbe mangiato lì. O forse no, lo avrebbe semplicemente osservato e studiato e poi, con un coraggio da leone, gli avrebbe domandato per quale motivo, alle feste, era sempre l’ultimo a rimanere nel vassoio delle pastarelle.

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