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Nigeria: il petrolio in cambio della devastazione ambientale

Febbraio 17
14:50 2013

Nel delta del Niger, in pochissimi riescono a sopravvivere oltre i 42 anni. La maggior parte degli abitanti è colpita da gravi forme tumorali.

La devastazione dell’eco-sistema è iniziata più di 40 anni fa, a causa dell’attività estrattiva del petrolio da parte delle multinazionali occidentali, tra le quali c’è anche l’ENI. Il rapporto dal titolo Il Delta dei veleni, stilato nell’ambito della Campagna della Riforma per la Banca Mondiale (CRBM) promossa dalla ONG “Mani Tese”, in collaborazione con altre associazioni ambientaliste, mostra dati allarmanti. La fotografia del Delta del Niger è quella di un luogo spettrale in cui il fetore nauseante delle acque intorbidite dal petrolio riesce a tenere lontani persino gli insetti. Scene simili siamo abituati a vederle quando si verifica un disastro ambientale: lo scafo di una petroliera si rompe, rilasciando il petrolio nel mare, ma poi col tempo, tutto torna ad uno stato di (quasi) normalità. Nel delta del Niger, invece, la presenza del petrolio nelle acque è permanente. Un manto grigiastro e uniforme ne ricopre la superficie. La Nigeria è uno dei più grandi produttori di petrolio al mondo e da sola soddisfa il 20% del fabbisogno del combustibile in Europa. Nonostante ciò, la terra che costeggia il fiume è rigogliosa ma poverissima, perché le piogge acide sono la prima causa di distruzione, per i raccolti e per l’intero ecosistema. Nel rapporto si parla degli effetti devastanti del “gas flaring”, di quel gas che, fuoriuscendo insieme al petrolio durante l’attività estrattiva, viene espulso e brucia direttamente nell’aria, provocando gravi malattie respiratorie alle persone. In altri giacimenti petroliferi (situati nel Nord del mondo o in Arabia Saudita, per esempio), la fuoriuscita di questo gas viene tenuta sotto controllo grazie alle più moderne tecnologie. In Nigeria, no. Qui, secondo la CRBM, le corporation (prima fra tutte, la Shell), possono liberamente esercitare la loro tendenza a risparmiare sui costi per la messa a norma e la sicurezza ambientale, grazie soprattutto alla noncuranza dei governi locali.

Eppure, a provocare i danni più gravi non sarebbero nemmeno le esplosioni dei gas combustibili nell’aria ma il petrolio che fuoriesce dalle tubature, ormai obsolete, durante il trasporto del greggio dal giacimento agli impianti di raffinazione. Gli ambientalisti chiedono la cessazione immediata di tutte le attività estrattive. La situazione, tuttavia, è lasciata al caso. «Eni e Shell – dichiara Manes, uno dei responsabili del rapporto della ONG – non hanno portato né ricchezza né lavoro per la popolazione locale.» Secondo il quotidiano La Stampa, la multinazionale inglese, di recente, ha perfino lamentato il fatto che, ogni giorno, circa 150 mila barili di greggio vengono sottratti agli oleodotti che li portano verso il porto di Hancourt. Il furto di petrolio, per gli abitanti del delta, è diventato uno degli espedienti per non morire di fame. Intanto, 2 mila siti in Nigeria sono stati dichiarati inquinati. Ma di bonifica ancora non si parla. Secondo un rapporto dell’agenzia Onu per l’ambiente, il risanamento richiederà almeno 25-30 anni.

Sul sito: http://www.crbm.org è disponibile il video-documentario dal titolo Oil for Nothing, del regista Luca Tommasini, che riporta diverse testimonianze ed una ricostruzione della situazione ambientale del Niger, risalente al 2011.

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